Niente di nuovo sul web…
di Ilaria Fabbri
Siamo sorpresi dalla modalità estremamente semplicistica con cui alcuni professionisti trattano argomenti così importanti e profondi come la Salute delle persone. Sul web gira (purtroppo) a nostro avviso troppa psicologia spicciola e “fai da te” che rischia di banalizzare nozioni acquisite scientificamente o ancora peggio di renderle fruibili a vantaggio di personaggi carismatici che si ergono quasi a nuovi “guru” in possesso di verità dogmatiche ed esclusive.
Leggiamo sul sito web della dr.ssa Mereu, medico, grafologa ed omeopata, ma soprattutto artefice di una tecnica terapeutica da lei definita “Terapia verbale”, che “..la malattia è un’espressione che non fa altro che rivelare in maniera metaforica un vissuto emozionale che ha portato alla malattia stessa. Usando quali strumenti l’analogia, i simboli archetipici e la grafologia – scienza questa che si fonda su basi analogiche -, traduco al paziente ciò che il suo inconscio desidera comunicare e ciò avviene contro ogni logica dell’attuale medicina”. E ancora: “…La terminologia usata per esprimere le patologie nella medicina ufficiale, nega l’efficacia e la validità del “pazientese” che è invece un linguaggio collettivo ed emozionale. […] Credo che non esistono le malattie, ma “la malattia”. Essa non è altro che l’espressione di un’afflizione del paziente che si manifesta in un diverso modo, sia nel linguaggio che nella sua espressione fisica.” (link: www.terapiaverbale.it). A proposito della “Terapia verbale”, leggiamo su un altro sito correlato che “..ascoltando attentamente il linguaggio del paziente e interpretandolo come metaforico che si può velocemente arrivare a individuare la causa psico-sociale del disagio fisico, e spesso lo si può fare con una precisione tale che il terapista può apparire come un indovino al paziente che non conosce la Terapia Verbale.” E ancora dallo stesso sito: “..il fatto che il paziente prenda coscienza del motivo psicologico per cui è insorta la patologia può essere sufficiente alla sua guarigione..” (link: www.psicoperformance.com).
Alcune di queste affermazioni potrebbero anche essere considerate verosimili da un certo punto di vista, ma certo devono essere ampiamente integrate per poter essere condivisibili. In fin dei conti non possiamo neppure attribuire loro il merito di argomentare qualcosa di nuovo: la Psicologia della Salute studia a livello internazionale, ormai da più di trenta anni, alcuni di questi aspetti e lo fa in maniera scientifica e rigorosa!!
Proveremo quindi a fare un po’ di chiarezza.
La centralità della persona, la nozione secondo cui l’individuo è attore e co-produttore di ogni cambiamento relativo alla sua salute (soprattutto per quanto riguarda il processo di cura, la promozione della salute e la prevenzione della malattia), il concetto-cardine secondo il quale salute e malattia possono essere rappresentate lungo un continuum bivariato, sono alcuni degli aspetti enunciati già nel modello bio-psico-sociale di Engel (1977). Altri modelli hanno cercato poi di spiegare le relazioni esistenti tra fattori psico-sociali e malattia, sia per quanto riguarda l’esordio che il decorso. In alcuni casi gli autori hanno considerato come elemento centrale la valutazione soggettiva di un evento di vita stressante, in altri la regolazione delle emozioni. Così, se da un lato per Rutter et al. (1993) le connotazioni emotive e le rappresentazioni cognitive influenzano le risorse e le strategie con le quali le persone fronteggiano i problemi con esiti comportamentali più o meno appropriati al mantenimento della salute, dall’altro secondo Pennebaker et al. (1990) esiste per ognuno di noi un sistema di regolazione emozionale così detto “normale”, il cui cattivo funzionamento, sia in termini di eccesso che di difetto, facilita l’insorgenza di malattie. Nessuno di questi modelli fornisce tuttavia indicazioni davvero precise e quantificabili sul modo in cui le relazioni tra equilibrio emotivo e malattia agiscono.
L’anello di congiunzione in grado di spiegare i collegamenti tra sistema immunitario e fattori psico-sociali è rappresentato da una disciplina detta Psicoimmunologia, il cui nome per esteso, psico-neuro-endocrino-immunologia, spiega perfettamente la complessità e la completezza del suo oggetto di studio. Fino ad una quarantina di anni fa si pensava che il sistema immunitario fosse un sistema con meccanismi di regolazione intrinseci e su base genetica, quindi indipendente. Oggi sappiamo che esiste invece un gran numero di collegamenti che agiscono sia su base nervosa che ormonale tra il sistema immunitario e il sistema nervoso centrale, e quindi presumibilmente tra il sistema immunitario e l’insieme delle condizioni mentali e psicologiche (Solano, 2001). Tali collegamenti si esplicano prevalentemente attraverso l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (sia a livello corticale che midollare del surrene) e mediante l’azione dei neuropeptidi (sostanze secrete sia dall’ipotalamo che dalle ghiandole surrenali in condizioni di stress). Le cellule del sistema immunitario possiedono inoltre recettori per alcuni dei neurotrasmettitori più importanti utilizzati a livello del sistema nervoso centrale (ACTH, glucocorticoidi, adrenalina, noradrenalina, metencefalina, β-endorfina), mentre è stato dimostrato che l’attivazione del sistema immunitario può avere effetti a livello del sistema nervoso centrale, dando origine così ad un completo circuito di feedback, tale per cui il sistema nervoso e il sistema immunitario sono in grado di influenzarsi reciprocamente (Solano, 2001). La direzione più immediata di questi collegamenti, per i suoi potenziali effetti nocivi sulla salute, è quella che va verso un’inibizione del sistema immunitario in condizioni di stress, tuttavia, dato che sono stati dimostrati gli effetti della condizione mentale e della qualità della vita relazionale di una persona sulla funzionalità del suo sistema immunitario, è più che lecito prendere in considerazione anche l’andamento opposto, ovvero quello di una stimolazione del funzionamento immunitario in condizioni di protezione, accudimento e benessere psicologico.
Nasce da qui una riflessione sull’importanza e sull’efficacia dell’intervento psicologico come fattore di protezione contro l’insorgenza di malattie e come agente di miglioramento durante il decorso delle stesse, non soltanto per la sua funzione di sostegno, di per sé già molto utile, quanto piuttosto come strumento in grado di sollecitare un’elaborazione cognitiva ed emotiva dell’esperienza soggettiva. Questo sarebbe lo scenario che potrebbe delinearsi nella migliore delle ipotesi, quella in cui un intervento psicologico di base fosse disponibile e accessibile per tutti (e a questo proposito vogliamo ricordare qui la proposta di legge sullo psicologo di base e il dibattito che ne era seguito.
Link:
Psicologo (di Base) e Medico di Base: un’integrazione possibile e necessaria.
Purtroppo lo scenario attuale, almeno quello italiano, è ben diverso. Tocca soprattutto ai medici di base, già sopraffatti da incombenze burocratiche e limiti temporali e molto spesso privi di un’adeguata formazione in questo senso, di doversi occupare di tanti altri aspetti connessi alla salute e alla malattia dei loro pazienti, guarda caso soprattutto aspetti psico-sociali. In questo senso gli effetti possono deleteri, perché purtroppo questi aspetti rischiano o di non essere presi in carico, con le conseguenze che derivano, oppure di essere una facile chiave di accesso attraverso la quale alcuni pazienti finiscono nella rete di professionisti che pubblicizzano facili risultati e a buon mercato. L’esempio più immediato e più semplice che viene in mente in questo senso riguarda l’aderenza alle terapie. Con questo termine si indica, secondo la definizione di Meichenbaum e Turk (1987), una collaborazione tra medico e paziente, caratterizzata da un buon grado di condivisione delle scelte terapeutiche tale da consentire al paziente l’interiorizzazione delle prescrizioni mediche. E’ abbastanza chiaro che il concetto di aderenza non si esaurisce soltanto nell’assunzione puntuale di farmaci, ma in un vero e proprio stile di vita che comprende scelte, comportamenti e cambiamenti. Infatti, come afferma efficacemente Tate (1987, pag. 6): “..nessuno va dal dottore solo con un sintomo, ci va con delle idee sul sintomo, con delle preoccupazioni per il sintomo e con delle aspettative legate al sintomo.”
Non sapremmo quindi dire se il “pazientese”, per usare un termine caro alla dr.ssa Mereu, sia davvero un “..un linguaggio collettivo ed emozionale..”, ma di sicuro è un elemento importante all’interno di qualsiasi relazione terapeutica co-costruita. E lo è soprattutto in qualità di “racconto” che rappresenta una potenziale chiave di accesso alle emozioni e alle rappresentazioni cognitive di un paziente, quindi alla sua vita mentale. Rappresenta un elemento che, se adeguatamente accolto, contribuisce a costruire la relazione terapeutica, al pari del linguaggio e dell’atteggiamento del medico. Da qui a dire che la sua interpretazione in chiave metaforica consente in molti casi la guarigione del corpo, a nostro avviso ce ne corre, soprattutto perché, secondo un approccio sistemico alla salute, i fattori psicologici possono essere considerati a pieno titolo elementi correlazionali, ma non certo causali all’interno del processo di patogenesi.
Bibliografia:
Engel, G.L. (1977). The need for a new medical model: A challenge for biomedicine. Science, 196: 129-136
Meichenbaum, D. & Turk, D.C. (1987). Facilitating treatment adherence. New York, Plenum Press
Pennebaker, J. W., Colder, M. & Sharp, L.K. (1990). Accelerating the coping process. Journal of Personality and Social Psychology, 58: 528-537
Ruttern D., Quine, L. & Chesham, D. J. (1993). Social Psychology approaches to health. London, Harvester Wheatsheaf
Solano, L. (2001). Tra mente e corpo. Come si costruisce la salute. Milano, Raffaele Cortina Editore
Tate, P. (1997). The doctor’s communication handbook. Oxford, Radcliffe Medical Press