La violenza dei Media

di Lorita Tinelli

 

Uno studio degli Psicologi Americani ha evidenziato che la violenza in TV e in diversi  Video Game possono procurare effetti dannosi sui minori.
Dalle prime ricerche che l’APA, l’Associazione degli Psicologi Americani,  rende note nel novembre scorso, si evidenziano effetti di destabilizzazione e una potenziale aggressività identiche sia per coloro che sono sottoposti ad immagini violente in TV sia per coloro che usano giocare a videogiochi violenti.
Fin dagli albori della televisione  i genitori, gli insegnanti, i legislatori e i professionisti della salute mentale hanno voluto capire l’impatto dei programmi televisivi in particolare sui bambini.
Particolarmente interessante è stata la rappresentazione della violenza, soprattutto in considerazione del lavoro dello psicologo Albert Bandura, nel 1970, sull’apprendimento sociale e sula tendenza dei bambini a imitare ciò che vedono.
Nel 1969 fu costituito in America un comitato scientifico per la valutazione dell’impatto che la televisione avesse sul comportamento sociale, soprattutto ci si chiedeva quanto incidesse la violenza cui si assisteva, sugli atteggiamenti, valori e comportamenti degli spettatori.
La relazione finale e una relazione di follow-up del 1982 del National Institute of Mental Health hanno identificato questi importanti effetti sui bambini:

1) possono diventare meno sensibili al dolore e alla sofferenza degli altri
2)  possono essere più timorosi del mondo che li circonda
3)  possono essere più propensi a comportarsi in modi aggressivi o pericolosi verso gli altri

Una ricerca di psicologi, tra cui  L. Rowell Huesmann, Leonard Eron e altri, a partire dal 1980 ha evidenziato che i bambini che hanno assistito per molte ore a scene di  violenza in televisione quando erano nella scuola elementare, tendevano a mostrare livelli più elevati di comportamento aggressivo quando diventavano adolescenti. Osservando questi partecipanti in età adulta, Huesmann e Eron hanno scoperto che quelli che avevano guardato un sacco di violenza in TV quando avevano 8 anni avevano più probabilità di essere arrestati e processati per atti criminali da adulti.
Tuttavia, in seguito la ricerca degli psicologi Douglas Gentile e Brad Bushman  ed gli altri  ha evidenziato che l’esposizione alla violenza nei media è solo uno dei numerosi fattori che possono contribuire al comportamento aggressivo.

Altre ricerche hanno trovato che l’esposizione alla violenza nei media può desensibilizzare le persone alla violenza nel mondo reale e,  alcune persone,  considerano addirittua  piacevole la violenza nei media,  che finisce per non comportare più  l’eccitazione ansiosa che ci si aspetterebbe di vedere dinnanzi a questo tipo di immagini.

L’avvento dei videogiochi, d’altronde,  ha sollevato nuove questioni circa l’impatto potenziale di violenza dei media, visto che il giocatore di videogiochi è un partecipante attivo  piuttosto che un semplice spettatore.
Il sette per cento degli adolescenti americani di età 12-17 usa abitualmente i video giochi  su un computer, su console come il Wii , Playstation e Xbox , o su dispositivi portatili come Gameboy , smartphone e tablet .
Molti dei videogiochi più popolari, come “Call of Duty ” e ” Grand Theft Auto” sono violenti, tuttavia, visto che  la tecnologia dei videogiochi è relativamente nuova, ci sono meno studi empirici sulla correlazione della violenza dei videogiochi rispetto ad altre forme di violenza nei media. Eppure diverse recensioni  hanno riportato effetti negativi dell’esposizione alla violenza nei videogiochi.
Nel  2010 una ricerca  dello psicologo Craig A. Anderson e altri, ha concluso che “l’evidenza suggerisce fortemente che l’esposizione a videogiochi violenti è un fattore di rischio causale per un maggiore comportamento aggressivo”.  Anderson in precedenti ricerche ha mostrato che i videogiochi violenti possono aumentare i pensieri di una persona aggressiva , i sentimenti e comportamenti, sia in ambienti di laboratorio che nella vita quotidiana.

Altri ricercatori , tra cui lo psicologo Christopher J. Ferguson , hanno contestato la posizione che la violenza dei videogiochi danneggia i bambini . Nonostante  i suoi studi del  2009 abbiano riportato risultati simili a Anderson, Ferguson sostiene che i risultati di laboratorio non sono traducibili  nel mondo reale in effetti significativi. Egli sostiene inoltre che gran parte della ricerca sulla violenza dei videogiochi non è riuscita a controllare  altre variabili quali la salute mentale e della vita familiare , che possono aver influenzato i risultati. Il suo lavoro ha scoperto che i bambini che sono già a rischio possono essere più propensi a scegliere videogiochi violenti per divertirsi.  Secondo Ferguson  questi altri fattori di rischio, a differenza dei giochi, causano un comportamento aggressivo e violento.

L’American Psychological Association ha avviato un’analisi nel 2013 della ricerca peer-reviewed sull’impatto della violenza nei media e sta riesaminando le sue dichiarazioni programmatiche sull’argomento . Entrambi  dovrebbe essere completati nel 2014.(1)

Che il tema in America sia molto sentito è dimostrato dal fatto che nel 2013 lo stesso Barack Obama, durante una conferenza in ricordo della strage di Newton, abbia annunciato di aver destinato  un “fondo per la ricerca degli effetti dei videogiochi violenti sulle giovani menti“.  “Il nostro primo compito come società è tenere al sicuro i nostri figli.” ha affermato Obama.
In Italia diversi organismi di ricerca, pubblici e privati hanno dedicato attenzione alla tematica. Un’indagine del 2011 dell’Istituto di Ortofonologia di Roma (IdO) condotta su 1.414 studenti della Capitale dai 10 ai 19 anni ha evidenziato che l 75% degli adolescenti italiani gioca ai videogiochi on line e nel 40% dei casi lo fa da solo contro il computer, oppure contro persone conosciute in rete (l’11%).  Interrogandosi  su quanto i videogiochi possano influenzare gli aspetti cognitivi ed emotivi dei minori l’IdO ha evidenziato che essi da una parte  offrono la possibilità di mettere in connessione persone in tutto il mondo, e misurarsi con il concetto di sfida e superamento degli ostacoli, ma dall’altra rischiano di diventare una modalità per isolarsi dalla relazione (2).
Sempre secondo l’IdO i giovani appaiono consapevoli di questi rischi e sanno anche che non tutti i giochi sono positivi per la loro crescita. Di fatto sette studenti su dieci considerano i contenuti dei videogiochi non adatti alla loro età.  Dalla ricerca quindi emerge che i giovani fruitori dei videogiochi sono informati e responsabilizzati e sanno esprimere un giudizio serio sul tema.
Nel frattempo il 7 maggio di quest’anno scienziati, pediatri, clinici e sostenitori della lotta alla violenza si sono riuniti a a Vancouver (Canada), per il meeting annuale Pas-Pediatric Academic Societies, al fine di approfondire l’argomento.  Secondo tali studiosi ‘violenza chiama violenza, anche quando all’aggressività si assiste attraverso lo schermo in un cinema, della tv o di un videogioco” (3).

Certo l’argomento presenta ancora tanti punti da approfondire e tanti interrogativi cui rispondere. Mi piace concludere l’articolo con  il quesito che si pone  di George Carlin (4): “Si fa un gran parlare della violenza in televisione che genera a sua volta violenza nelle strade. Beh!, i programmi comici si sprecano in TV: il che provoca forse un aumento della comicità per le strade?”

Note:

  • http://www.apa.org/research/action/protect.aspx
  • http://www.genitoridemocratici.it/minori-videogiochi-75-usa-quelli-line-e-gioca-solo/
  • http://www.adnkronos.com/IGN/Daily_Life/Benessere/Pediatria-immagini-violente-aumentano-aggressivita-legame-provato_321512409114.html
  • comico, attore e sceneggiatore statunitense.

Author: Brian

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3 Comments

  1. Verso la metà degli anni “80 ho svolto lunghi periodi di volontariato presso il reparto di Neuropsichiatria Infantile dell’ospedale Bambino Gesù di Roma: ricordo che c’era una forte attenzione negli operatori per cogliere nei piccoli pazienti segni e conseguenze di una esposizione alla violenza attraverso il medium televisivo. Già allora si notava come le visione di taluni cartoons lasciasse tracce non irrilevanti sul vissuto e sul comportamento, e soprattutto generasse una ‘falsificazione’ di sofferenza / violenza / morte.. Queste immagini – ripetutamente replicate – generavano una fascinazione da un lato, e dall’altro inducevano la credenza che tutto fosse reversibile ed annullabile con un click o con la messa in OFF del medium. Mi sembra che – a trent’anni di distanza – quelle osservazioni non abbiano influenzato il tenore / contenuto di trasmissioni e giochi… Forse è una domanda retorica il chiedersi perchè tante intuizioni e osservazioni impieghino anni luce per essere tradotte in indicazioni operative…

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  2. Dalle più recenti e complete rassegne e metanalisi di letteratura si conclude che ogni dubbio è stato fugato circa il rapporto tra violenza nei media (videogiochi compresi) e aggressività giovanile; l’esposizione attiva e passiva di soggetti in età evolutiva a comportamenti violenti mediata da schermi (video, TV, playstation, etc.) provoca un aumento dell’aggressività a breve termine, dell’accettazione della violenza a breve e a lungo termine, una riduzione delle capacità empatiche, ed un aumento del rischio di atti violenti ed aggressivi nelle età successive, compresi bullismo e cyberbullismo. Per molti autori questo risultato è sufficiente per mettere una pietra tombale sui dubbi tra il rapporto tra esposizione ad atti violenza ed aggressività, come d’altra parte come già previsto nelle teorie social-learning. Ovviamente, ci sono molte variabili moderanti nel senso di ridurre o amplificare questo rapporto, ma una lettura attenta e non ideologica dei risultati sperimentali porta ad una conclusione inequivoca: videogiochi e film violenti aumentano l’aggressività e la violenza nei ragazzi, con effetti anche a distanza di tempo. Basti leggere:
    Anderson et al. (2010) Violent Video Game Effects on Aggression, Empathy, and Prosocial Behavior in Eastern and Western Countries: A Meta-Analytic Review. Psychological Bulletin, Vol. 136, No. 2, 179 –181.
    Anche in una nostra ricerca su alunni delle scuole di Roma (Studio “RAVAS”, di L. Sibilia e E. De Leonardis), non ancora pubblicata, il rapporto è evidente ed in linea con il modello teorico cognitivo-comportamentale.
    Come nel caso del fumo di tabacco, purtroppo, ci sono giganteschi interessi economici che tentano di nascondere questi risultati (il mercato dei videogiochi e miliardario); di solito lo fanno insinuando nuovi dubbi. Non solo da parte dell’industria, ma anche di alcuni “esperti”, difensori dell’ipotesi della “necessità” dello sfogo ovvero ovvero della catarsi, ipotesi che nasce dall’idea che tali comportamenti siano prodotti da una incontenibile quanto misteriosa energia interna.

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  3. Il quesito che si pone di George Carlin (4): “Si fa un gran parlare della violenza in televisione che genera a sua volta violenza nelle strade. Beh!, i programmi comici si sprecano in TV: il che provoca forse un aumento della comicità per le strade?” speriamo che non sia il quesito che si pongono i lettori informati.
    Il vero quesito che più conta a questo punto – mio avviso – è il seguente: come ridurre l’esposizione dei giovani a contenuti violenti nei film e nei videogiochi?
    Per quanto riguada la comicità nelle strade, mi sembra un argomento distrattivo, da lasciare ai comici, e non certo porre a conclusione di ricerche su un problema serio.

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