Rubriche psicologiche? A volte sono meglio dei “pasticci” (culinari, s’intende!)

Brain-Food-Idi Brian Vacchini

Nell’attuale contesto socio-culturale italiano, la professione di psicologo si vede sempre più emarginata dalle Istituzioni Pubbliche dedite unicamente alla salute fisica dei cittadini. I professionisti della mente si trovano quindi a dover mettere in discussione il loro stile di lavoro per cercare nuove nicchie di mercato.

Per fare questo, però, non è possibile rimanere ancorati alla tradizione: l’evoluzionismo insegna che per riuscire a sopravvivere ad un habitat ostile bisogna trasformarsi, senza avere la pretesa che sia l’ambiente stesso ad adattarsi alle proprie necessità.

Psicologi e nuove vie

Come psicologi abbiamo un asso nella manica: la flessibilità della disciplina che tanto amiamo. La psicologia, come scienza del pensiero, consente di uscire dal proprio studio privato e di lavorare direttamente nel mondo, tra la gente. Abbiamo la possibilità e le competenze per osservare e comprendere ciò che interessa maggiormente gli individui e ciò ci permette di ideare soluzioni nuove, atte a diffondere cultura psicologica e, se siamo fortunati, creare anche spazi di lavoro.

A tal proposito, interrogandoci su quale direzione sia meglio intraprendere, abbiamo bisogno di informazioni. I media ci dimostrano che ciò che alla società interessa di più oggi, sono i professionisti della tavola: cucina biologica, vegana, crudista e pasticceria decorativa sono onnipresenti. Ovunque volgiamo il nostro sguardo, infatti, ci sono cuochi che scrivono libri, che raccolgono milioni di visualizzazioni su Youtube e, non contenti, la fanno da padroni nei palinsesti televisivi che dedicano loro interi programmi. Antropologicamente parlando, però, questo non dovrebbe stupirci più di tanto in quanto la cucina ha avuto nella cultura italiana un ruolo di fondamentale importanza fin dall’antichità.

Che cosa potrebbe imparare la psicologia dal mondo dell’arte culinaria?

La risposta a questa domanda, forse, sta nella saggezza con cui i professionisti della tavola utilizzano tutti gli ingredienti a loro disposizione. Innanzitutto dobbiamo riconoscere che i cuochi, meglio di noi psicologi, sono stati in grado di adattarsi alle esigenze delle persone; nonostante la psicologia nasca proprio dalla gente e per la gente, col tempo i suoi seguaci hanno contribuito a far divenire questa disciplina un monolite dedito solo agli aspetti deficitari e sofferenti dell’essere umano. Isolati dal mondo e dalle sue trasformazioni mediatiche, gli psicologi hanno finito per essere tutti uguali nella mentalità comune: figure impegnate a curare la malattia. Basta poco per rendersi conto di quanto l’individuo medio non sia consapevole che la psicologia si occupa anche di aziende, anziani e, perché no, anche di cucina. È giunto quindi il momento di riappropriarci del nostro ruolo di “professionisti della mente” a tutto tondo e ricominciare ad avvicinarci alle persone e ai loro bisogni.

Una buona comunicazione psico-mediatica

Un esempio ben riuscito di tale ambizione è la rubrica PsicoFood, contenuta nella testata giornalistica www.Paginafood.it . Questo progetto, curato da uno psicologo e messo a disposizione di tutta la colleganza, permette a tutti i professionisti interessati di scrivere e pubblicare un proprio articolo che tratti uno dei moltissimi aspetti che correlano tra loro psiche e cibo. Ecco quindi la presenza, nella rubrica, degli articoli sui benefici che la dieta mediterranea ha sul cervello, sul significato che il latte ha a livello simbolico e sociale, sul rilascio di serotonina che il gelato crea in chi lo mangia…e molto altro ancora.

L’intento di PsicoFood è quello di dare al pubblico una visione rinnovata e più ampia della psicologia, attraverso la dimostrazione che questa scienza nasce e cresce a stretto contatto con la realtà di tutti i giorni. Un’occasione nuova per raggiungere le persone attraverso il linguaggio telematico, che impera nell’epoca moderna. Sono tuttavia gli psicologi che, per primi, dovrebbero assumere un atteggiamento diverso nei confronti della professione: essa non può più sopravvivere rinchiusa tra le mura degli ospedali o degli studi privati.

Dobbiamo quindi imparare ad occuparci, oltre che di patologia, anche di tutto il mondo che ruota attorno alla prevenzione e alla promozione del benessere degli individui. PsicoFood nasce quindi non per trattare, come si potrebbe inizialmente pensare, i disturbi alimentari ma per raccontare una storia nuova che parla di scienza e semplicità, di forme, sapori e odori che il nostro cervello elabora ogni volta che gustiamo qualcosa.

Si tratta di uno dei molti esempi possibili che, nel rispetto del decoro della professione, diffondono una buona cultura psicologica attraverso un canale mediatico nazionale. Solo sperimentando e intraprendendo vie sconosciute saremo in grado di scoprire se esse possono offrire qualche vantaggio.

E se dovesse andare male ci viene in soccorso un proverbio della saggezza americana che così recita: “A volte si vince, a volte si impara”.

Author: Brian

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3 Comments

  1. si ,è vero , pur essendo una profana ,ho sempre pensato che la professione degli psicopogi non può essere chiusa in una stanza ,in un ospedale ….. deve deve deve inserirsi nella vita delle persone , nelle case ,nelle strade ,nel lavoro , nelle scuole nei governi ………forse ho detto una cavolata ;ma vedo tante persone in difficoltà ,io stessa , tanti casini che si potrebbero evitare con una maggiore incisività di questa professione . dovete approfittare dei media a spron battuto. Abbiamo bisogno di questo, abbiamo bisogno di voi ,del vostro lavoro .

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  2. Grazie per le sue parole Luciana. Effettivamente è importante avere modo di far conoscere ciò di cui la Psicologia si occupa. Troppo spesso, infatti, veniamo relegati ad un ruolo di sola cura della malattia quando in realtà possiamo fare molto anche a livello di prevenzione.
    Senza contare gli ambiti della ricerca, della formazione e via dicendo.

    Un caro saluto
    BKVG

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  3. D’accordo sulla opportunità di uscire dalla stanza di terapia o d’analisi, come già James Hillman raccomandava….
    e con un sorriso mi viene in mente il libro dello stesso Hillman e di Charles Boer: ‘La cucina del dottor Freud’ ….

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