Riflessioni sul DSM-5. Girolamo Lo Verso

Il D.S.M. nasce, a mio avviso, dall’abile uso di un equivoco. Ovvero, viene definito un manuale statistico. In realtà, all’impostazione statistica viene dato il ruolo di riferimento clinico e scientifico della diagnosi e, quindi, della terapia. Tendenzialmente farmacologica, visti gli enormi interessi industriali delle multinazionali che stanno dietro a questa operazione. Presupposti di base sono l’utilità di avere un riferimento definitivo internazionalmente valido ed unitario e di poter “oggettivare” la malattia mentale. Ciò viene ottenuto attraverso un’osservazione e “conta” dei sintomi comportamentali visibili o no. Qui spunta un primo, irrisolto, problema. Il sintomo, in realtà, è polisemico e può assumere un significato ben diverso a seconda delle persone, delle famiglie, delle culture. In realtà, diviene psicopatologia in relazione al modo di viverlo da parte di che ne è portatore e, per certi aspetti, della cultura in cui è immerso. Nei nostri studi sulla psiche mafiosa è, ad esempio, emerso che il mafioso è “una non persona che uccide una non persona” (Coppola). Il mafioso non ha interessi per la categoria del piacere in ogni sua forma, ma solo in quella del potere. Uccide una persona non sapendo che è, con un’assoluta indifferenza emotiva. Non rivive neanche nel sogno momenti emotivi a questo legati. Viene cresciuto dalla famiglia trans generazionale come una sorta di robot. Ci sono sintomi per dieci diagnosi gravi. Tuttavia, il mafioso nel suo habitat è perfettamente sano. Siamo noi che lo pensiamo “folle” mentre lui espande il suo potere e crea follia nel mondo. Insomma, è insuperata la necessità di creare un collegamento clinico e scientificamente credibile tra sintomo, simbolo e significato. Ciò diventa anche necessario a) per ridare al paziente la sua centralità di persona che patisce; b) per ricordare la centralità di una competenza e preparazione relazionale nel lavoro di cura della sofferenza o patologia psichica; c) per dare alla psicopatologia la possibilità di una lettura e cura ampia ed integrata che potenzialmente possa comprendere fatti psichici, attenzioni socio-culturali e legate alle dinamiche individuo-famiglia, fatti corporei (legati all’interezza del bios e non solo alla clinica); d) per potere costruire progetti terapeutici personalizzati che comprendano ed integrino, ove necessario, trattamenti di vario tipo, tra loro connessi, psicoterapia individuale, familiare, di gruppo, uso di farmaci, ecc. Il D.S.M. non sembra favorire, quindi, un reale lavoro di cura, ma solo accentuare un riduttivismo farmaceutico sempre più diffuso e sempre scientificamente e clinicamente più improbabile ed inefficiente, ma molto ideologico. Ricordo che tutta la ricerca empirica assegna una grande efficacia alla psicoterapia (in varie forme, psicodinamica, sistemica, cognitiva, individuale e di gruppo) e nei casi più gravi ai trattamenti con i farmaci.

Chiara Santi

Author: Chiara Santi

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1 Comment

  1. Ancora una volta trovo adeguato e attuale il pensiero espresso da Heidegger nei Seminari di Zollikon: ovvero che “all’ordine del giorno va posta la radicale necessità che si diano dei medici pensanti, i quali non siano disposti a cedere il campo ai tecnici della scienza.”.

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