Analisi del sangue e diagnosi di depressione negli adolescenti. Quale prevenzione?

SEGNALAZIONE

Mi piacerebbe che qualcuna con competenze mediche ma anche psicologiche commentasse questa notizia apparsa su Sanità News del 19/4/2012

Lettera firmata

ARTICOLO ORIGINALE

Gli esami del sangue sono stati a lungo lo standard per la diagnosi di malattie come la mononucleosi e il diabete. Ora un team di ricercatori statunitensi ha sviluppato un test del sangue in grado di diagnosticare la depressione negli adolescenti, un passo in avanti che gli studiosi sperano porti ad aumentare le possibilità di fronteggiare meglio e prima la patologia nei giovani. “Gli adolescenti sono straordinariamente vulnerabili alla depressione”, ha detto Eva Redei, autrice dello studio pubblicato su Translational Psychiatry e docente di Psichiatria e Medicina Comportamentale alla Northwestern Feinberg School of Medicine di Chicago. “Adesso abbiamo a disposizione un test che cerca i marcatori nel sangue del disturbo depressivo maggiore negli anni dell’adolescenza”, ha aggiunto. La rivoluzionaria analisi si basa sui dati raccolti in laboratorio analizzando i topi con predisposizioni genetiche e ambientali alla depressione. I ricercatori sono stati in grado di individuare 26 indicatori di depressione maggiore. I marcatori sono stati ricercati nel sangue di 28 adolescenti di età dai 15 ai 19 anni, metà ammalati di depressione e metà perfettamente sani. “Abbiamo trovato 11 dei 26 marcatori nel sangue dei ragazzi depressi che non erano presenti nelle analisi dei coetanei in salute”, hanno concluso i ricercatori.

ARTICOLI CONNESSI

http://www.nature.com/tp/journal/v2/n4/full/tp201226a.html

PARERE DELLA DOTT.SSA ANNA MARIA ANCONA

Un team di ricercatori statunitensi ha sviluppato un test del sangue in grado di diagnosticare la depressione negli adolescenti. Gli studiosi sperano che questi risultati portino ad aumentare le possibilità di fronteggiare meglio e prima la depressione nei giovani, essendo gli adolescenti particolarmente vulnerabili a questa malattia.

Vorrei fare qualche riflessione sui risultati di questa ricerca e sul suo possibile uso.

Sappiamo che la mente e il corpo sono un’unità inscindibile. Tutti abbiamo potuto sperimentare in noi stessi, o abbiamo potuto osservare in altri, come uno stato di debilitazione o di malattia fisica comporti stati mentali di apatia e depressione. Sappiamo anche che gli studi – ormai consolidati – sulle malattie psicosomatiche hanno dimostrato che gli stati emotivo-affettivi incidono sul corpo, rendendolo fragile, abbassandone le difese, fino a causare vere e proprie malattie fisiche. Una fra tante, la colite ulcerosa.

Ora, questo studio è riuscito a trovare degli indicatori di depressione in 14 ragazzi depressi, non nei 14 ragazzi “perfettamente sani”. E’ facile che uno stato di depressione prolungato tanto da poterlo definire malattia segni il corpo e modifichi qualcosa anche a livello organico.

Certamente l’adolescenza è un periodo difficile della vita e i ragazzi sono particolarmente esposti a stati di depressione talvolta transitori, talvolta mutevoli, talvolta piuttosto prolungati fino a divenire, purtroppo, stabili e organizzati in vera e propria malattia.

Sappiamo che l’adolescenza è un’età difficile perché i ragazzi sono sottoposti ad un vero e proprio terremoto emotivo-affettivo. I mutamenti del corpo e le sollecitazioni sessuali che da esso derivano, lo sviluppo cognitivo e l’acquisizione di una maggiore conoscenza della realtà fisica e sociale, l’acquisizione di nuove competenze spingono alla conquista di nuove autonomie e ampliano lo spazio di movimento e di vita dei ragazzi. Il distacco dalla famiglia e dalla protezione che essa può offrire è inevitabile. I ragazzi si trovano a dover organizzare da soli e in se stessi le innumerevoli sollecitazioni interne ed esterne che la vita impone: impulsi sessuali ed aggressivi; bisogni di comprensione e riconoscimento; spinte verso l’affermazione e il successo; responsabilità verso doveri e aspettative sociali cui rispondere….  Inoltre, ora più che mai l’adolescente è sotto i riflettori delle richieste sociali che diventano sempre più alte, sia da parte dei familiari che delle diverse agenzie educative, proprio nel momento in cui la società in cui viviamo non è in grado di  consentire ai ragazzi fiducia nel loro futuro. Insicurezza e paura, speranza e desiderio, spinta all’espansione e ritiro o fuga, rabbia e depressione possono rapidamente alternarsi portando l’adolescente ad oscillare tra sentimenti, stati d’animo e pensieri opposti.

Se, dunque, questa oscillazione è fisiologica possiamo considerare normali stati depressivi e periodi transitori di depressione in adolescenza.

E’ vero, però, che i ragazzi più fragili possono tendere ad assestarsi su posizioni di maniacalità o di depressione, oppure in quella del falso adattamento, posizione ancor più pericolosa perché silente.

Talvolta, infatti, l’adolescente può sembrare perfettamente sano, perché riesce a rispondere alle sollecitazioni esterne raggiungendo performance soddisfacenti per quelli che gli stanno intorno, rimanendo apparentemente tranquillo ma nel contempo nascondendo o allontanando da sé sentimenti caotici e perdite di senso, salvo poter poi manifestare improvvisi e drammatici disagi.

Sui ragazzi fragili certamente c’è da vigilare.

Pur essendo d’accordo che la diagnosi precoce serva per fornire tempestivamente l’aiuto necessario a evitare che la depressione diventi cronica, siamo sicuri che la vigilanza migliore si eserciti attraverso un’analisi del sangue? Non c’è il rischio di ridurre la patologia a una disfunzione esclusivamente organica e pensare conseguentemente che la soluzione sia unicamente il supporto farmacologico?

I clinici possono cogliere numerosi altri elementi capaci di segnalare uno stato depressivo incipiente e, caso per caso, valutarne la gravità, la necessità e la qualità dell’intervento anche alla luce della presenza o meno di fattori problematici nella situazione di vita e in considerazione della presenza o meno di risorse ambientali.

Infatti c’è da chiedersi perché alcuni ragazzi sono fragili più di altri. Predisposizioni genetiche e ambientali sono fattori di rischio, ma non sono certezza di malattia. Allora di che aiuto hanno bisogno questi ragazzi?

Forse talvolta possono avere anche bisogno di farmaci che li sollevino da profonde prostrazioni ormai fisiche e/o stati di agitazione e insonnia, ma in ogni caso hanno bisogno di essere aiutati ad organizzare il caos interno e/o le perdite di senso, in modo utile e vitale. Hanno bisogno di poter avere speranze e progetti per il loro futuro, hanno bisogno di fiducia in se stessi e nelle loro possibilità.

Che effetto può fare sulle loro menti l’idea che la loro depressione sia così radicata in loro da manifestarsi attraverso un’alterazione del sangue?

Non dimentichiamo l’espressione tipica della nostra cultura “ce l’ho nel sangue”: con essa intendiamo dire che qualcosa è proprio parte di noi, che è nata con noi e ci contraddistingue, che con noi morirà.

Al proposito mi ritorna in mente Serena, un’adolescente di 15 anni, giunta in psicoterapia per uno stato depressivo importante: lo sguardo spento, difficoltà nel sonno, cattivo umore persistente, svogliatezza scolastica, infelicità di vivere. Il futuro le appariva nero e questo era rinforzato dal fatto che sia il padre che la madre erano ammalati di depressione maggiore e vivevano la vita al minimo riuscendo a mandare avanti la loro impresa grazie ai farmaci. La depressione “era nel sangue”.

Seduta dopo seduta, Serena arrivò alla possibilità di pensarsi figlia dei suoi genitori, grata a loro per tante cose buone che da loro pure aveva ricevuto, ma non destinata inevitabilmente ad “ereditare” la loro depressione. Il riconoscimento dei suoi bisogni e di alcuni desideri le consentì di iniziare ad organizzare il suo mondo emotivo ed affettivo e a guardare al futuro con speranza, con la consapevolezza che il tempo avrebbe portato nuove cose e che a poco a poco si sarebbe definito un progetto per la sua vita da adulta.

Anni dopo ho rivisto Serena, divenuta ormai una giovane donna. Molte cose erano ancora da definire, ma altre Serena era riuscita a costruirle e di esse poteva godere (prima fra queste una sua piccola impresa) traendo dalla sua vita presente fiducia anche per realizzazioni future.

Se ai tempi dell’esordio della sua depressione le avessimo fatto l’analisi del sangue e avessimo trovato i marcatori della malattia, che effetto avrebbe potuto avere su Serena il confermare la sua paura più grande, quella d’essere stata condannata ad una vita infelice?

Chiara Santi

Author: Chiara Santi

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4 Comments

  1. Vorrei solo fare un appunto sulla fonte, sanitanews, che è una rivista ultra-medicalista,ignorata a volte dagli stessi Medici più moderati.
    Complimenti alla Dott.ssa Anna Maria Ancona per l’interessante e condivisibile riflessione.

    Un saluto
    Marco Romeo

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  2. Condivido pienamente i contenuti dell’articolo di commento della Dottssa Ancona.
    Molto utile la specificazione del Dottor Marco Romeo riguardo alla “fonte” da cui provengono i dati commentati, che risulta di chiara impostazione “organicistica”.

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  3. E’ dalle fonti mediche che spesso i quotidiani nazionali attingono.
    Perciò non le sottovaluterei e, come in questo caso, cercherei di relativizzarle.
    F.Pezzoli

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  4. Voi parlate di depressione come malattia ma non avete tenuto conto che nel contesto attuale la depressione nel subconscio si può manifestare come una scusa inconsapevole dell individuo per non affrontare i suoi veri problemi.
    Non servono i farmaci ma solo ritrovare l’autoconsapevolezza dell’essere come natura. E non andando da quei negromanti che fanno corsi per insegnarti come si affronta la vita o sul karma positivo,semplicemente prendere tempo per se stessi una pausa dalla freneticità della vita moderna

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