Elogio della depressione

Autore: Aldo Bonomi, Eugenio Borgna

Edizione: Einaudi editore

Pagine : 131

Prezzo:10.00 euro

Anno: 2011

Recensione di Giuseppe Preziosi


La mia rivista preferita ha rischiato di chiudere, come ora il Manifesto; il locale di Roma che frequent(av)o più spesso ha cambiato direzione artistica e quindi addio concerti meravigliosi di band semisconosciute ma validissime con 40 spettatori e benvenute serate disco-ruocckk! sold out; una libreria vicino casa mia ha fatto un appello su facebook: se avete 20 euro da spendere fatelo qui altrimenti chiudiamo (fatto naturalmente); sulla via che percorro quasi ogni giorno per andare a lavoro, lungo la prenestina, incrocio un palazzo dove è impiccato da mesi un pupazzo; circondato da striscioni forma la protesta dei lavoratori dei treni notturni contro il loro licenziamento.

Questa è brevemente l’aria che mi sembra si respiri, almeno nelle strade che attraverso io.

Eugenuio Borgna la descrive, molto meglio di me, così: la vita, la nostra vita, la vita sociale è oggi contrassegnata, e anzi dominata, dalla indifferenza, dalla noncuranza, dalla febbrile ricerca del proprio interesse, dall’egoismo, dal fascino stregato dei beni materiali, e anche, ed è la cosa cosa ovviamente più drmmmatica, dalla violenza che si esprime in mille possibili forme.

Il percorso tracciato da questo testo è chiaro.

Partire da una possibile definizione dello stato delle cose, di alcune caratteristiche del nostro tempo, in particolare le modificazioni che hanno attraversato il mondo del lavoro; si parte dalla disgregazione della fabbrica del ‘900, luogo produttore di senso e identità; una condivisione di un mondo, anche sofferente ma comune, dove il soggetto era inserito in una narrazione che lo preservava dall’isolamento. La flessiblità, le dislocazioni del capitalismo contemporaneo hanno sottratto la rete di protezione che circoandva questo soggetto sociale che, ritrovandosi solo dinanzi alle sfide spesso durissime della competizione del mercato del lavoro, arriva a compiere gesti estremi ( pensiamo l’ondata di suicidi a Telecom Francia nel 2008).

C’è poi chi nella mancanza di lavoro è ammalato di troppo lavoro; introiettando dentro di sè tutto ciò che riguarda competizione, miglioramento delle condizioni di vita e lavoro, benessere, ascesa sociale questo tipo di lavoratore vede sfumare i limiti che separano tempo di vita e tempo di lavoro perdendosi in una confusione che si nutre anche di mobilità e pendolarismo esasperanti. Il suo lavoro è un accumulo di oggetti che non avrà mai tempo di usare.

Un terzo aspetto è quello dei lavoratori cognitivi; la messa in produzione delle proprie capacità cognitive, emotive, relazionali; la propria socialità come fonte di reddito. Così la vecchia alienazione si trasforma in frustrazione personale e la naturale propensione alla relazione viene infiltrata da questioni che hanno a che fare con la produttività, la competizione, l’efficacia, il redddito.

Cosa può nascere da questo contesto, così favorevole a sentimenti depressivi, di sconforto, di arresa? Cosa può fare il soggetto umano dinanzi alla sua fragilità monade, al suo isolamente sociale e di destino?

Creare proprio da questa debolezza una comunità di destino, propongo i due autori, dove proprio il riconoscere questi sentimento dentro di sé e accettarli permetta di ritrovarli negli altri; la fragilità e l’insicurezza come antidoti alla violenza e all’onnipotenza; una comunità di destino dove sia possibile sentire ogni forma di sofferenza come, almeno in parte, prorpia; riconoscere all’umano i suoi limiti, la sua fragilità , il suo bisogno di comunità.

È questa una via praticabile? Tutte le esperienze di cittadinaza attiva, autoorganizzazione dal basso sembrano andare in quella direzione: unire le propria debolezza individuale per costruire un forza che sia superiore alla somma delle parti. Ma questi gruppi non si formano forse come antitesi a qualcun altro? Se anche le soluzioni che vengono definite tecniche generano moltitudini di proteste come è possibile pensare a comunità di destino? Non c’è sempre un Altro da attaccare, da cui difendersi se ci si confronta con moltitudini che operano in scala globale?

Gabriella Alleruzzo

Author: Gabriella Alleruzzo

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