Diconsi “psicoterapie inutili e dannose”

SEGNALAZIONE

Ci giungono molte segnalazioni in relazione alle dichiarazioni del Dr. Rosario Sorrentino  apparse questo mese, tra le altre testate, sull’autorevole quotidiano La Repubblica. Nello specifico, si tratta di prese di posizione piuttosto recise riguardo l’(in)utilità della psicoterapia in relazione agli attacchi di panico.

ARTICOLO ORIGINALE

Vivere nella capitale, che stress un romano su 4 ha attacchi di panico

04 marzo 2011 —   pagina 11   sezione: ROMA

ROMA è anche la Capitale del panico. Un romano su quattro soffre di attacchi cronici. E le più colpite sono le donne laureate di età compresa trai 25 e i 54 anni. È la fotografia che emerge da una ricerca dell’istituto di Neuroscienze globale (Isneg) in collaborazione con l’istituto di sondaggi Swg di Trieste. La metropoli risulta essere una delle più stressanti: caos e traffico contribuiscono ad aumentare il fenomeno. I malati cronici sono il 23% della popolazione, 350mila persone di età compresa tra i 18 e i 60 anni, ma a Roma ad essere particolarmente allarmanti sono gli attacchi “sporadici”: ne soffre il 21% della popolazione circa 300mila tra uomini e donne contro una media nazionale del 19%. «Gli attacchi di panico colpiscono 8 milioni di persone in Italia, nella Capitale il fenomeno è piuttosto diffuso rispetto ad altre città – spiega il neuroscienziato, Rosario Sorrentino che ha curato la ricerca – Ed è in costante crescita anche per gli under 18 e gli over 60. Le ragioni sono da ricercarsi nella maggiore incidenza di situazioni di stress nella capitale generate anche da particolari ambienti come luoghi affollati e traffico intenso». E se le più colpite sono le donne laureate, seguono i lavoratori autonomi tra i 35 e i 44 anni e poi i lavoratori dipendenti tra i 45 e i 54 anni. «Non bisogna sottovalutare questa malattia – sottolinea Sorrentino – occorre evitare il “fai da te”, intraprendere una terapia medico-farmacologica adeguata ed evitare psicoterapie inutili e dannose». E le istituzioni non devono stigmatizzare il fenomeno perché le malattie ansiose depressive, nel 2020, «saranno al primo posto tra le malattie più diffuse del pianeta», conclude il neuropsichiatra. E intanto il Comune muove i primi passi per aiutare chi soffre di panico. «Sono dati allarmanti – commenta Fabrizio Santori, consigliere comunale Pdl – Vogliamo avvalerci dell’esperienza dell’ Isneg per creare un laboratorio e un osservatorio permanente». – LAURA SERLONI

LINK

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/03/04/vivere-nella-capitale-che-stress-un-romano.html

COMMENTO REDAZIONALE A CURA DI SARA GINANNESCHI E GABRIELLA ALLERUZZO

La vita dell’Osservatorio di Psicologia nei Media è iniziata con l’intento di promuovere una buona comunicazione del mondo psy in tutte le sue forme e di rettificare varie tipologie di notizie che, talvolta, proprio nei media possono essere totalmente stravolte. Ci piacerebbe attribuire la causa di tali distorsioni informative ai giornalisti, che di psicologia non trattano, ma a volte sono gli stessi “professionisti della mente” che creano false aspettative di trattamenti miracolosi, denigrando tutti gli altri diversi approcci. È facile pertanto cadere nella diatriba psicologi contro medici assolutamente fuori luogo e deleteria perché al contrario, sarebbe auspicabile una sempre più stretta collaborazione tra diversi specialisti per poter accogliere la persona in difficoltà ed esaminare il suo problema a 360°, cosa che forse non sembra reale, ma che fortunatamente invece accade tranquillamente!

L’articolo, rimbalzato da Repubblica su diverse testate giornalistiche online per giungere fino al sito istituzionale del Comune di Roma – e ci si chiede come mai abbia avuto così tanto risalto mediatico – ha suscitato lo sdegno di un gruppo di psicologi, psicoterapeuti e medici connessi in rete che, con un bel gioco di squadra, si sono rapidamente auto-organizzati e hanno prodotto una replica che è stata inviata a Repubblica con 19 primi firmatari e che ha ricevuto e continua a ricevere adesioni di professionisti della psiche sulla pagina di FaceBook che è stata creata ad hoc e che attualmente conta circa 150 aderenti. L’animatore dell’iniziativa spontanea è il dottor Paolo Maria Clemente, psicologo e psicoterapeuta, che ha curato la stesura del testo che qui riportiamo:

“Gentile Direttore, in merito ad alcune dichiarazioni di Rosario Sorrentino (apparse nell’articolo del quotidiano ‘La Repubblica’ del 4 marzo u.s. “Vivere nella capitale, che stress” e firmato da Laura Serloni) che giudicava le psicoterapie “inutili e dannose”, riteniamo doveroso informare i lettori che numerosi studi che utilizzano le tecniche di neuroimmagine confermano che a livello neurologico gli effetti della psicoterapia sono  sovrapponibili a quelli della terapia farmacologica, in quanto entrambe modificano in modo simile l’attività e l’anatomia cerebrale. Sono proprio le neuroscienze, dunque, a negare che la psicoterapia sia inutile. Per quanto riguarda, poi, i danni prodotti dalla psicoterapia, certamente ci saranno, ma preferiamo che siano i lettori a giudicare se essi siano superiori a quelli prodotti dagli psicofarmaci. Ci limitiamo a far presente (come ha ricordato anche Piero Porcelli in un articolo apparso sul n.2 della rivista “La professione di psicologo” del giugno 2009) che il governo inglese ha deciso recentemente di investire sulla psicoterapia anzichè sugli psicofarmaci per curare i disturbi depressivi. Ciò perchè i consulenti economici dello stesso governo hanno calcolato che trattare la depressione con la psicoterapia conviene sia ai pazienti – a cui vengono risparmiati gli effetti collaterali degli psicofarmaci – che allo Stato, sul quale grava la maggior parte dei costi diretti (trattamenti e ricoveri) e di quelli indiretti (primo fra tutti la disabilità  lavorativa) della depressione. In conclusione, riteniamo che quanto affermato da Sorrentino nell’articolo suddetto sia innanzitutto sintomo di ignoranza, poco professionale e dannoso per i cittadini. La cattiva informazione  danneggia tutti: cittadini, pazienti, noi psicologi e psicoterapeuti, gli stessi medici e ricercatori che fanno il loro lavoro seriamente.”

Tra i firmatari della lettera aperta al Direttore de La Repubblica, non solo psicologi ma anche medici, particolare decisamente non trascurabile in quanto segnala che le motivazioni che ispirano l’iniziativa non sono corporative ma scientifiche. Tale replica inoltre ha il pregio di andare oltre la classica contrapposizione medici-psicologi che, forse, è sempre tanto accesa nei media perchè fa più audience di un’eventuale intesa.

Il 6 marzo anche l’Ordine Psicologi del Lazio ha sentito il dovere istituzionale di prendere posizione, dissentendo sia dai dati epidemiologici che dalle indicazioni terapeutiche date dal dottor Sorrentino, e ha affidato all’Ansa un comunicato stampa, nel quale il Presidente, Marialori Zaccaria, si rivolge direttamente al Comune di Roma chiedendo all’amministrazione di spendersi in una logica di prevenzione e di ascolto del disagio e di non spingere verso interventi di medicalizzazione: «[…]Un’amministrazione comunale non dovrebbe abbracciare asserzioni che sparano a zero su interventi e pratiche come le psicoterapie, ritenute scientificamente valide e adeguate a livello internazionale. C’è da aggiungere che la cultura dell’intervento farmacologico generalizzato sul sintomo psichico non risolve i disturbi e indebita le amministrazioni con la spesa farmaceutica.»

Panico! Si esclama quando vediamo il libro di Sorrentino e non solo perché ne leggiamo letteralmente il titolo, ma perché fin dalla promozione del volume abbiamo visto l’autore, noto neurologo romano, non soltanto caldeggiare la propria teoria solo farmacologica, ormai ampiamente superata da studi clinici di tutto il mondo, ma screditare apertamente l’intervento psicoterapeutico. Sebbene nei particolari egli sembri disprezzare principalmente le terapie di carattere psicodinamico/psicoanalitico, spesso le dichiarazioni di Sorrentino sono laconicamente generalizzate e ne abbiamo un classico esempio nell’articolo in oggetto in cui afferma: “[occorre] intraprendere una terapia medico-farmacologica adeguata ed evitare psicoterapie inutili e dannose”. Ci dica quali e come possono nuocere Dr. Sorrentino, perché sennò siamo tentati di pensare che tutti gli psicoterapeuti siano dei crudeli macellai della mente!

Per i lettori attenti sarà risultato chiaro che nel suo libro Sorrentino attacca non la psicoanalisi in sé, ma alcuni psicoanalisti che, a suo dire, condurrebbero attraverso tortuosi percorsi il povero paziente affetto da Attacchi di Panico semplicemente per “arricchire i loro già dorati salotti” (come lui stesso ha affermato ormai un paio di anni fa in un’intervista rilasciata al TG 5).

Riteniamo che queste digressioni potrebbero essere forse più chiare se compiute ad un tavolo con diversi professionisti, ma assolutamente fraintendibili e fortemente denigratorie se date in ambito prettamente divulgativo, almeno nelle modalità dello stesso Sorrentino.

Gli studi evidence-based degli ultimi 50 anni ci dicono che l’approccio cognitivo comportamentale ha ottimi e rapidi risultati nella risoluzione di alcuni disturbi psicologici, tra cui l’attacco di panico, ma anche l’approccio psicoanalitico, che meno si presta alle misurazioni ma non per questo è privo di studi sulla sua efficacia, ha qualcosa da offrire sui “disturbi di panico” – come vengono definiti dagli psicoanalisti – in particolare per quelle persone che ne soffrono a causa di fattori psicodinamici.

Generalmente i terapeuti svolgono preliminarmente una valutazione complessiva del paziente che ha la finalità di orientare la programmazione del trattamento. Come ha elegantemente sintetizzato Menninger, “La diagnosi […] non è la ricerca di un nome appropriato con il quale indicare tale acciacco in questo e in altri pazienti. È diagnosi proprio nel senso comprendere come il paziente sia malato e quanto sia malato, come si sia ammalato e come usi la sua malattia. Da questa conoscenza si possono trarre logiche conclusioni sul modo in cui potranno essere apportati, nel paziente o attorno a lui, cambiamenti che incidano sulla sua malattia.” Benché di matrice psicoanalitica, questa descrizione é, di fatto, accettabile anche all’interno dell’approccio cognitivo comportamentale.

Allo stesso modo i terapeuti cognitivo-comportamentali durante la prima fase di conoscenza del paziente, non si limitano a fare una diagnosi clinica, ma anche una di tipo funzionale e cioè tentano di mettere in relazione i sintomi della persona con tutto quello che ad essi si collega in maniera estremamente consequenziale (comportamenti di evitamento, atteggiamenti della famiglia, gratifiche o punizioni sociali, etc.). In tal senso, può darsi che gli attacchi di panico non siano il problema primario, ma che costituiscano una sorta di punta dell’iceberg.

Anche la psicoanalisi, che si differenzia da altre forme di psicoterapia principalmente per il riconoscimento del ruolo primario dell’inconscio, ritiene inutile una diagnosi basata solamente sul problema manifesto e pone molta attenzione alla struttura della personalità. All’interno del modello psicoanalitico, il carattere può essere concepito con modalità diverse a seconda della corrente teorica seguita dallo specifico terapeuta; ad esempio come punto di fissazione dello sviluppo secondo i freudiani, come espressione di particolari stili difensivi secondo la psicologia dell’Io derivata dagli studi di A. Freud, come una serie di modelli relazionali interiorizzati che spingono la persona a comportarsi come gli oggetti percepiti nella prima infanzia secondo il modello kleiniano delle relazioni oggettuali, o ancora ponendo attenzione alla dimensione dell’esperienza del Sè secondo la psicologia del Sè di Kohut e Kernberg. In ogni caso uno dei punti fermi nella valutazione psicoanalitica della personalità, oltre alla classica anamnesi, è l’inclusione dell’analisi dei processi di transfert e controtransfert in quanto la cornice concettuale poggia sull’idea che il colloquio coinvolge due persone.

Nel corso di una terapia psicoanalitica emergono diversi fattori eziologici che possono essere implicati nell’insorgenza del disturbo di panico, tra i quali il significato inconscio degli eventi, ma nella clinica si rileva che esistono delle variabili psicologiche discriminanti in grado di mediare tra l’evento esterno e l’inizio del disturbo. Questo accade ad esempio con i pazienti con una costanza d’oggetto scarsamente sviluppata, che non riescono a fare appello a un’immagine interna positiva nei momenti di difficoltà che li aiuti a sentire di avere un senso stabile di identità. Spesso nella stanza d’analisi emergono conflitti riguardanti rabbia, indipendenza e separazione, tuttavia il dato più imponente sembra essere la sensazione di frammentazione del Sè che attiva un panico annientante. Josè Bleger, in Simbiosi e ambiguità (1967), dà una lettura teorica molto interessante di questo fenomeno e spiega come mai l’episodio di panico compaia con frequenza sia quando si instaura la simbiosi (claustrofobia) sia quando si rompe o si indebolisce il vincolo simbiotico (agorafobia), con la conseguente reintroiezione massiva, parossistica ed episodica dell’oggetto agglutinato. La psicoterapia in questo caso deve mirare alla frammentazione dell’oggetto agglutinato, in quanto la sua elaborazione – che porta a una diversificazione dei vincoli – può essere fatta soltanto per “frammenti”.

I terapeuti cognitivo-comportamentali, tendono invece a “smontare” il problema portato dalla persona, per affrontarne le diverse componenti una alla volta seguendo il criterio della minor resistenza del cliente, del rinforzo conseguente che i primi effetti avranno sulla persona aumentandone immediatamente l’autostima, del legame che esiste tra questi sotto-problemi e così via, individuando quindi un trattamento che, pur standardizzato è anche fortemente individualizzato.

Lo psicoterapeuta, sulla base della propria esperienza e del proprio background culturale offre un percorso nel quale egli stesso si cala per accompagnare il paziente. Se il terapeuta cognitivo-comportamentale non afferma inequivocabilmente: “Panico? 3 mesi di esposizione graduata in vivo!” ma cerca la soluzione giusta per la persona, offrendo anche tempi più lunghi di trattamento, se il disturbo in oggetto, non è che la punta di un iceberg più profondo, allo stesso modo i professionisti di altri approcci, prospetteranno una propria ipotesi di trattamento tra quelli possibili, senza per questo “ingannare la persona”.

Affermare su un quotidiano, al telegiornale, o in altri spettacoli tv che bisogna evitare “psicoterapie inutili e dannose” non rende chiaramente atto che alcune psicoterapie permettono di ottenere in soli 3 mesi gli stessi effetti che i farmaci garantiscono dopo 6 mesi e che tali risultati sono monitorabili attraverso l’impiego di tecniche di neuroimmagine e quindi oggettivabili; non rende certamente atto che la psicoterapia non intossica l’organismo come i farmaci, non ha i loro effetti collaterali e non necessita di un percorso per scalarne gradualmente il dosaggio;  ed infine, non rende assolutamente atto del fatto che il cambiamento prodotto dalla psicoterapia è stato agito direttamente dalla persona, che quindi non è il passivo tubo digerente nel quale è semplicemente scivolata una pasticca, ma ha lavorato attivamente per arrivare al suo obiettivo, agendo quindi non soltanto sul sintomo, ma anche su aspetti molto più profondi della personalità. Infine, sottace che tali trasformazioni, proprio perché modificano l’attività e la struttura cerebrale, hanno un’ aspettativa di miglioramento stabile nel tempo e non dipendente da un controllo chimico che va continuamente rinnovato.

Quando il farmaco è necessario, siamo tutti d’accordo che esso deve essere somministrato e che tale terapia debba essere monitorata da uno specialista. Ma come nessuno psicologo psicoterapeuta dovrebbe mai sognarsi di dire che certi farmaci sono dannosi, perché si fidano della professionalità del collega medico che li ha prescritti, allo stesso modo professionisti che non si occupano di psicoterapia dovrebbero evitare di dispensare opinioni personali sprezzanti e non supportate da dati scientifici, perché oltre a dimostrare una conoscenza molto superficiale dell’argomento, non forniscono un utile servizio alle persone che soffrono.

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2 Comments

  1. La scienza ci guarirà e non i farmaci! La scienza ci auterà a generarare equilibri eterostatici, a situazioni di squilibrio ….anche il panico…figlio di quella madre ansia… e non gli psicofarmaci. Cambia stile di vita, pensa positivo, Ti aiuterà la psicoterapia ad aiutarTi a “guarirti” , già nel 1982 Schwartz aveva dimostrato(Science et vie)… le modificazioni avvenute anche nelle strutture profonde del nostro cervello, avvenute in soggetti D.O.C….

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  2. Desidero segnalare un altro intervento dell'”esimio” Dr Rosario Sorrentino dal titolo “Terapie e pseudoTerapie” avvenuto il 3 dicembre 2010 durante un convegno presso la camera dei Deputati a Roma.Naturalmente la terapia farmacologica a suo dire era l’unica efficace per la cura ed il trattamento dei distubi d’ansia ed in particolare del panico. Le pseudoterapie erano invece tutte le terapie effettuate da psicoterapeuti e/o psicologi.Queste sarebbero state solo delle inutili perdite di tempo che invece di risolvere il problema addirittura lo avrebbero aggravato. Pensate per una persona che soffre d’ansia e di panico cosa significa sentirsi dire questo……panico totale !!!!! Inutile è quasi ridicolizzato é stato di conseguenza l’intervento dell’unica Psicologa Dr.ssa Piccinni che seppur intevenendo in maniera più che incisiva proponendo una tecnica cognitivo-comportamentale nel trattamento dell’agorafobia è stata del tutto ignorata. Da notare che il suo intervento in scaletta era stato inserito come penultimo; é intervenuta invece addirittura per ultima….sarà stato un caso????? Mah chissà !!!!Di certo é che per una neolaureata in psicologia, quale sono, è stato veramente frustrante assistere allo smantellamento di una professione in cui credo e per cui stò e continuerò a lavorare sodo. Buona vita a tutti!!!

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