Abusi sessuali in psicoterapia

SEGNALAZIONE

Gentile Redazione di OPM, ho di recente letto un articolo che parlava di uno  psicoterapeuta che avrebbe molestato sessualmente una sua paziente e ho visto  nel corso di quest’anno due servizi delle Iene  su fatti analoghi  che vedono coinvolto un altro professionista. Questi episodi mi preoccupano un pò, io ho da poco iniziato una psicoterapia individuale con uno psicoterapeuta  che mi è stato consigliato da un’amica e leggendo e guardando questi servizi  sono rimasta sconcertata dal fatto che questi professionisti, ai quali ci si è  rivolti per essere aiutati, abbiano utilizzato in realtà le loro competenze e  il rapporto di fiducia instaurato con le pazienti per appagare i loro bisogni,  arrivando ad arrecare ancora più sofferenza a queste donne. Mi chiedo come possano accadere cose del genere e come può una paziente capire quando uno  psicoterapeuta sta oltrepassando i limiti del suo mestiere e cosa fare per  evitare di essere coinvolti in questi fatti.

Vi riporto i link dei servizi di cui ho parlato

http://www.corriere.it/notizie-ultima-ora/Cronache_e_politica/Abusi-sessuali-arrestato-psicoterapeuta/03-12-2010/1-A_000146780.shtml

http://www.irpinianews.it/Cronaca/news/?news=79536

http://www.video.mediaset.it/video/iene/puntata/163258/trincia-uno-psichiatra molestatore.html (video di aprile 2010)

http://www.video.mediaset.it/video/iene/puntata/182248/trincia-psichiatra-molestatore.html (video di settembre 2010)

Lettera Firmata

COMMENTO DELLE DR.SSE IMMACOLATA PATRONE E LORITA TINELLI

… lo scopo della formazione non è quello di trasformare l’analista

in un cervello meccanico capace di produrre interpretazioni

in base ad una procedura puramente intellettuale,

ma piuttosto di metterlo in condizione di

sostenere i sentimenti che vengono suscitati in lui

invece di liberarsene (come fa il paziente) (Heimann, 1950)

Dalla lettera della nostra segnalante traspare sorpresa, preoccupazione e timore, suscitati dalla lettura di una notizia di presunti abusi sessuali da parte di uno psicoterapeuta su una sua paziente/cliente e dalla visione di due filmati della trasmissione televisiva “Le Iene”, nei quali vengono riportate testimonianze  di molestie a carattere sessuale perpetrati  ai danni di ragazze  che si sono rivolte al medesimo psicoterapeuta.

Non entriamo nel merito dell’identità dei professionisti coinvolti in tali documenti segnalatici né in quella della veridicità delle notizie riportate dai mass media. Tale compito spetta alle autorità preposte alle indagini.

Appare assurdo alla nostra scrittrice, come a molte altre persone, che un professionista che dovrebbe aiutare coloro  che a lui si rivolgono per superare traumi, periodi dolorosi, difficoltà di carattere psicologico, possa rendersi colpevole di tali atti deprecabili.

Occorre precisare che questi casi sono rari ma comunque possibili, com’è possibile in qualsiasi professione o mestiere imbattersi in professionisti che non solo non rispettano il codice deontologico, ma che a volte si rendono colpevoli di veri e propri reati, utilizzando in modo manipolatorio  le competenze acquisite. Già nel 1990 negli USA fu pubblicato un libro, dal titolo ‘Sexual intimacies between psychotherapist and patients (Lerman. 1990) in cui, forse per la prima volta, si tentava di analizzare un fenomeno di cui si parlava molto poco, ma che, evidentemente, era presente, anche se in minima percentuale, in alcune relazioni medico-paziente. In uno studio successivo (Schoener et al. 1990) gli autori asserivano che, sempre negli USA, un’indagine realizzata su 8000 tra psicologi e psichiatri evidenziava come il 10% di loro avesse ammesso di aver avuto contatti sessuali con i loro pazienti (tali contatti erano descritti come: baci, abbracci, carezze e rapporti sessuali veri e propri).

Nei video delle “Iene” sono purtroppo evidenti, dai racconti delle pazienti/clienti e dalle affermazioni del terapeuta, fatti che presumibilmente riporteranno alla formulazione di reati.

In tali casi, infatti,  non solo c’è violazione del codice deontologico ma probabilmente si è di fronte  ad una persona con delle gravi problematiche psicologiche non risolte, che riversa nella sua professione a danno dei suoi utenti, facendo leva sulle loro fragilità, trincerandosi dietro la veste di professionista per difendere il suo comportamento e insinuando sensi di colpa nelle sue pazienti (meccanismi attraverso i quali si agisce “manipolazione psicologica”), o più semplicemente si è di fronte ad una persona in malafede che ha da tempo svestito i panni del professionista o non li ha mai veramente indossati.

Nessuno psicoterapeuta serio e psicologicamente “sano” toccherebbe o richiederebbe toccamenti intimi alle sue pazienti, né farebbe telefonate erotiche o richieste di chattare via internet con ragazze nude. Il forte imbarazzo delle ragazze, il desiderio che quell’ora passasse in fretta, il senso di costrizione e di repulsione provati, sono spie di un malessere crescente e della sensazione di trovarsi di fronte a comportamenti sospetti.

Tutto ciò, ovviamente, non appartiene alla sfera della psicoterapia ma a quella della manipolazione e del reato. Margaret Singer e Janjia Lalich (1998) nel loro libro “Psicoterapie Folli” affermano che tali coinvolgimenti sessuali non fanno parte di relazioni clandestine consensuali, ma sono rapporti incoraggiati all’interno di una relazione impari, in cui uno dei due membri (il terapeuta) ha più potere sull’altro e lo esercita in modo manipolatorio, arbitrario e dannoso per il suo paziente/cliente. Egli anziché definire limiti sicuri e ‘sani’ all’interno del rapporto terapeutico, ignorando la deontologia, sottomette i suoi pazienti, inducendoli a fare tutto quello che desidera, in qualità di figura autorevole.

Il primo passo che egli compie è quello di approfittare della loro fragilità facendo leva su di esse, per creare uno stato di dipendenza totale che gli è utile per iniziare ad indurre nel suo paziente le sue idee, i suoi bisogni  e i suoi desideri personali. La Singer e la Lalich affermano che, in alcune occasioni, il terapeuta viene supportato nel suo progetto anche grazie alla pressione esercitata dagli altri clienti sul nuovo paziente, specialmente nei contesti di terapia di gruppo. L’idea che il terapeuta impone al/la suo/a paziente/cliente è che fare sesso con lui fa bene. Se il/la paziente si ribella il terapeuta fa cadere su di lei/lui il biasimo, utilizzando anche riferimenti teorici ad interpretazione del diniego del paziente nel percorrere la strada che lui asserisce essere quella più idonea alla sua guarigione. In diverse occasioni il terapeuta arriva anche a cacciare il/la proprio/a cliente e quest’ultimo/a arriva, a volte, persino ad implorarlo di non interrompere quel “rapporto professionale” seppur malato, e ad adeguarsi alle indicazioni del terapeuta, segnali questi del legame perverso instauratosi, che vede il paziente succube del suo terapeuta.

Alcune ricerche condotte negli anni ‘80 negli USA, hanno dimostrato che una percentuale compresa tra il 33 e l’80% dei terapeuti che avevano incoraggiato relazioni sessuali con le loro pazienti, avevano manifestato la tendenza a farlo con più clienti. (Gartrell e al. 1989).

Da uno studio realizzato su 400 persone abusate sessualmente dai loro terapeuti, Margaret Singer ha identificato alcuni elementi ricorrenti nelle terapie in cui si sviluppano relazioni sessuali tra terapeuta e paziente (1998).

In generale:

1)   Il terapeuta che commette abusi appare ‘poco competente’ dal punto di vista professionale; tende a parlare di se stesso in terapia e dei suoi personali bisogni e manifesta un grado leggero o medio di narcisismo.

2)   Ha la convinzione egocentrica e semplicistica di essere al di sopra della legge e dei limiti che il suo codice deontologico gli impone. In tal caso riesce a convincere i propri clienti che non è lecito avere rapporti sessuali o intervenire nella vita dei loro clienti, ma lui può farlo perché ‘sa come gestire quella relazione’.

3)   Il terapeuta non effettua una diagnosi sul proprio paziente, ma imposta il trattamento in base alle sue personali teorie preferite, senza peraltro costruire un progetto chiaro di trattamento.

4)   Non rispetta la riservatezza, ma parla alla sua cliente anche dei problemi di altri clienti, iniziando un rapporto di confidenza tanto da farla sentire speciale.

5)   Non è in grado di riconoscere gli elementi del transfert e del controtransfert.

Una manipolazione di dinamiche psicologiche, all’interno del setting terapeutico o in altri contesti , può portare la ‘vittima’ a percorrere tre diversi stati emotivi e comportamentali:

1)   Incredulità, in quanto essa non può credere a ciò che sta accadendo né a ciò cui vorrebbe portarla a fare il suo terapeuta.

2)   Difesa, la vittima tenta di difendersi anche energicamente, ma percepisce il potere del suo terapeuta come fortemente presente e inizia a vivere il suo rapporto ambivalente con lui con tanti sensi di colpa. Del resto il terapeuta è la figura che ha scelto per essere aiutata e non può farle del male.

3)   Depressione, alla fine la vittima si convince che il suo terapeuta, non può non aver ragione, si rassegna, manifestando una sempre maggiore vulnerabilità e dipendenza.

L “effetto finale” è che tali modalità di azione rischiano di danneggiare il destinatario, o il paziente in questo caso, di confonderlo, portandolo ad instaurare forti rapporti di dipendenza, di inadeguatezza  e, di segnarlo per sempre. Come conseguenza, la persona abusata, ha anche messo a rischio le sue relazioni esterne e, quindi, la sua vita.  Le stesse Singer e Lalich (1998) affermano che a questo punto la disperazione e il peggioramento della salute mentale della cliente, portano il terapeuta a non ritenerla più una ‘persona divertente’ . Egli, temendo qualche reazione da parte del marito, amico o parente della sua cliente, o che della relazione possano venire a conoscenza i suoi colleghi, chiude bruscamente il rapporto ‘professionale’, aggiungendo altri problemi alla cliente, dovuti ad una interruzione improvvisa di un rapporto malato. Non sono rari i casi in cui qualcuna ha anche tentato il suicidio.

Al di là di questi spiacevoli fatti di cronaca, vorremmo comunque sottolineare la correttezza e la preparazione  della grande maggioranza dei professionisti della salute e  soffermarci sulle peculiarità tipiche del lavoro psicoterapeutico, che lo differenziano da tutti gli altri. Lo psicoterapeuta, a differenza di altri professionisti, lavora con  una materia molto complessa e delicata, la psiche umana, e per far ciò instaura un rapporto forte e psicologicamente coinvolgente con il paziente/cliente. La relazione psicoterapeutica, in quanto appunto relazione, prevede dinamiche bidirezionali di coinvolgimento,  essa prevede da parte del paziente/cliente  una motivazione ad intraprendere e proseguire il percorso terapeutico, la disponibilità a mettere a nudo la propria anima, a raccontare se stesso, la sua vita relazionale, la sua vita interiore, la disponibilità a fidarsi e ad affidarsi alle “cure” del professionista.

Lo psicoterapeuta, da parte sua, si  assume la responsabilità di prendere in carico il proprio cliente, di accoglierne la domanda, di accogliere e contenere empaticamente le emozioni, i sentimenti, le sofferenze, i conflitti e di elaborarne insieme a lui i significati profondi, ma non solo, egli porta ineluttabilmente nella relazione terapeutica se stesso, le sue caratteristiche di  personalità, la sua storia di vita, le sue emozioni, i suoi sentimenti. Un buon percorso di studio, di supervisione e di formazione, anche psicoterapeutica individuale, alla quale sarebbe auspicabile che qualunque scuola di formazione indirizzasse i suoi allievi aspiranti psicoterapeuti, dovrebbe consentire al professionista di gestire al meglio le dinamiche transferali (ciò che il paziente proietta sul terapeuta e nella terapia)  e controtransferali (“ciò che insorge nel terapeuta per l’influsso del paziente sui suoi sentimenti inconsci”, Freud ),  che inevitabilmente emergono nel corso di un processo terapeutico, e di analizzarle all’interno del setting terapeutico insieme al suo paziente/cliente, al fine di coglierne i significati profondi e  renderle agenti propulsivi di crescita e cambiamento.

Al contrario la negazione, la mancata elaborazione o il rifiuto di dinamiche transferali, (possono verificarsi, per esempio, anche casi d’infatuazione o innamoramento del paziente o della paziente nei confronti del proprio terapeuta) potrebbero rappresentare non solo una rottura del rapporto terapeutico ma un ulteriore ferita o trauma alla psiche dei pazienti/clienti.

Non solo emozioni e sentimenti positivi possono essere oggetto di proiezione sul terapeuta o sul paziente, ma anche sentimenti ed emozioni negative. Questi ultimi sono spesso più difficili da accettare ed elaborare e richiedono anch’esse un’elaborazione reciproca paziente-terapeuta all’interno del percorso terapeutico. Alcuni studi recenti (Galeazzi, G. M. and P. Curci, 2003; Curci P., G.M. Galeazzi and C. Secchi, Ed 2003;  Galeazzi, G.M., K. Elkins and P. Curci, 2005) hanno, per esempio, evidenziato alcuni effetti negativi che possono ripercuotersi sulla figura del terapeuta. Sembrerebbe difatti che  la categoria vittimologica  più a rischio di atti di aggressività o molestia da parte di pazienti/clienti, risulta essere proprio quella dei professionisti dell’aiuto. I due autori hanno evidenziato come su 108 tra psichiatri, psicologi e specializzandi osservati, il 20% di loro avesse subìto per almeno un mese una campagna di stalking da parte di pazienti con cui erano entrati in contatto professionale.

Per lo psicoterapeuta ben formato, dovrebbe essere più facile non solo riconoscere queste dinamiche in se stesso e nell’altro, ma anche accettarle e gestirle nella maniera più efficace, nella relazione con il paziente.

La reciprocità delle dinamiche transferali e controtransferali nella relazione terapeutica è ben sintetizzata dalla Heimann (1950) quando afferma: “ la risposta emotiva dell’analista nei confronti del paziente, nella situazione analitica, rappresenta uno dei più importanti strumenti del suo lavoro. Il controtransfert è uno strumento di ricerca nell’inconscio del paziente… Non è stato sufficientemente delineato che si tratta di una relazione tra due persone. Ciò che distingue questa relazione dalle altre non è la presenza di sentimenti in un partner, il paziente, e l’assenza nell’altro, l’analista, ma, soprattutto, l’intensità dei sentimenti provati e l’uso che se ne fa, giacché questi fattori sono interdipendenti”.

– Curci P., G.M. Galeazzi and C. Secchi (Ed). (2003). La sindrome delle molestie assillanti (stalking). (pp. 157-168). Turin: Bollati Boringhieri. SEE BOOK.

– Galeazzi, G.M., K. Elkins and P. Curci (2005). “The stalking of mental health professionalsby patients.” Psychiatric Services 56:137-138.

– Galeazzi, G. M. and P. Curci (2003). Le Molestie Assillanti nella relazione terapeutica in psichiatria.

– Gartrell N. et al (1989), “Prevalence of psychiatrist-patient sexual contact”. In G.O. Gabbard (a cura di), “Sexual exploitation in professional relationships”, Washington, DC, American Psychatric Press

– Heimann P. (1950), On Countertransference, International Journal of Psychoanalysis.

– Lerman H. (1990), “Sexual intimacies between psychotherapist and patients: An annotated biblioghraphy of mental healt, legal and public media literature and legal cases”, Washington, DC, American Psychological Association

– Schoener G. R. et al (1990), “Psychotherapist sexual involvement with clients: intervention and prevention”, Minneapolis

– Singer M.T. e Lalich J. (1998) Terapie indecenti in “Psicoterapie Folli”, Edizioni Erickson

PARERE DEL PROF. GIROLAMO LO VERSO

I) Premetto che il fenomeno, quantitativamente, non sembra molto diffuso ma che risuona molto per la sua odiosità. Premetto, altresì, che qui non è in discussione la sessualità in sé, che è un valore di vita assolutamente positivo. La sessualità, l’eros, come rapporto consenziente tra adulti è, in ogni sua forma, libertà, vitalità e reciprocità. La cosa diventa orrenda quando tale consensualità viene meno per lasciare il passo all’uso ed all’abuso ed alla  manipolazione. Il capoufficio (ma oggi inizia anche al femminile), il docente universitario  o il politico (a livelli più giovanili entriamo nella pedofilia) o il professionista della salute che con lusinghe di carriere, voti, con intimidazioni e manipolazioni, richiede prestazioni sessuali è equiparabile allo stupratore, e forse è ancora più viscido. Il problema, come dicevo, non è certo il sesso in quanto tale. Già, ma allora perché l’abuso è distruttivo e patologico? Perché si esce dallo scambio e dalla condivisione relazionale, dal gioco condiviso e collusivo, dalla ricerca comune di piacere e complicità e si passa alla dimensione del piacere extra-erotico. Foucault aveva ben individuato che la sessualità è un grande potere (è stata la rivincita del femminile insieme alla maternità). Essa, tuttavia, resta fisiologica quando questo potere resta all’interno della sessualità. La seduzione è uno dei motori del mondo. Il se-durre, il portare a sé, sono il gioco uomo-donna ( e non solo) con cui vive l’umanità. Non è un caso che dai nostri studi sulla “psiche mafiosa” è emerso che in questo mondo la sessualità è quasi inesistente e “cumannari è mugghi ri futtiri” (il potere è meglio dello scambio erotico) e l’omofobia è violentissima.

La cosa cambia quando, in qualche modo, si ha a che fare con forme di manipolazione e costrizione che utilizzano strumenti di potere non sessuali. Il problema si pone come particolarmente grave dove ci sono situazioni di squilibrio. Particolare “scandalo” hanno dato, ad esempio, il diffuso (ed ancora poco studiato) fenomeno dei preti pedofili o quello dei potenti politici, per di più malati di prostata, che “comprano” ragazzine a loro volta disponibili a “farsi comprare”, o l’abuso sessuale nelle professioni in cui qualcuno affida i propri problemi e debolezze all’altro, come in medicina o in psicoterapia. Molti anni fa, in quello che forse fu il primo studio semi-empirico che noi abbiamo fatto sulla psicoterapia, con il professore Profita studiammo il lavoro dei maghi. Cercando di vedere che differenza ci fosse tra loro e gli psicoterapeuti. Ne trovammo solo una: l’elaborazione della dipendenza. I maghi, infatti, subiscono una qualche selezione, fanno un training (a volte, più approfondito di quello di alcune scuole), hanno un setting. Lavorano, però, per indurre dipendenza e sottomissione devota. Utilizzano anche, ahimè, molto bene, i fenomeni gruppali (i clienti in sala d’aspetto) per aumentare il loro carisma e la fama di guaritori onnipotenti. Non a caso, soprattutto classicamente, se il mago è un uomo e la cliente una donna giovane, questo sfocia spesso in agiti di tipo sessuale. Già allora ci chiedevamo, però, quanti psicoterapeuti realmente lavorassero per elaborare e superare la dipendenza? Ciò può avvenire o “indossando il camice” e cioè con un atteggiamento di separazione ed un rapporto asettico, o con un’elaborazione di tipo analitico sulla relazione ed i processi transferali. Personalmente ho radicalizzato questo punto proponendo di integrare l’elaborazione freudiana sul transfert e sul controtransfert (ciò che nel terapeuta risuona di ciò che il paziente mette in lui) con quella sul co-transfert (inizialmente proposto dalla scuola di Napolitani). Indico con questo termine ciò che il terapeuta mette, di suo, nella relazione. Per quanto “ben analizzato”, come si dice, il terapeuta ha una sessualità, una cultura, una storia personale, dei bisogni, ecc. Tutto questo non può, non deve, a mio avviso, essere depurato o neutralizzato. La relazione è lo strumento principale per effettuare psicoterapia. Solo una persona ne può curare un’altra. Entrano, però, in ballo cose come la trasparenza relazionale[1], l’etica e la capacità di auto-svelamento del terapeuta, in primo luogo a se stesso. Senza tutto ciò i rischi di manipolazione dell’altro sono sempre presenti. Solitamente, per fortuna, non portano ad agiti sessuali ma, comunque, portano ad inadeguatezza del lavoro di cura. Come possono i pazienti difendersi in questa situazione, vista anche la scarsa attenzione a queste tematiche da parte degli ordini professionali (tranne nei casi eclatanti), delle commissioni ministeriali e delle scuole, delle società scientifiche e delle università? In primo luogo, va verificato che lo psicoterapeuta sia realmente tale, sia formalmente che informalmente (un’infinità di persone fanno cose che richiederebbero invece una psicoterapia professionale), che la formazione e l’esperienza  di questi professionisti sia robusta e qualificata, fatta in scuole serie che propongono un’etica della cura all’interno di modelli chiari, verificati e rigorosi. Ci sono anche formazioni che sono quasi per corrispondenza purché si paghi e “scuole” che non hanno mai fermato un allievo nemmeno se questi ha nuclei psicotici. È stato, comunque, noto il caso di un “filosofo” che faceva “l’analista” e che veniva “assaltato” dalle pazienti. Potenza del transfert (o della manipolazione) visto che pare fosse assai bruttino ma, soprattutto, malato di narcisismo. È anche da valutare se le eventuali denuncie sono più una patologia della relazione che un reale abuso, dove quindi la “colpa” è più nell’incompetenza professionale che nelle molestie. Senza dimenticare il rischio di ingiuste diffamazioni, (una volta è realmente successo, come ho), come ho potuto verificare in qualche perizia.

Detto questo, va anche ricordato che, nel campo della psicoterapia, l’Italia è piena di professionisti seri, di studiosi attivi ed attenti, di persone che hanno fatto una seria formazione e la cui deontologia professionale è elevata. Il tema degli agiti sessuali ne rilancia un altro: quello della cura personale del terapeuta. Su questo ci sono almeno due soluzioni (escludendo quegli intrattenimenti chiamati “analisi” che consistono in 50 ore di discussione fatte all’interno della stessa scuola, un utile momento maturativo che però non può però essere considerato come un’analisi personale che curi il futuro curante.). Una è quella analitica: solo l’analisi personale può consentire una conoscenza degli aspetti inconsci di sé che eviti gli agiti seduttivi e manipolativi o, comunque, incontrollabilmente narcisistici del terapeuta (aggiungo che ciò è ancora più rilevante nei setting di gruppo per la loro forma e radicalizzazione relazionale). L’altra è quella degli orientamenti cognitivi e sistemici nei quali la relazione è cura dell’altro e sull’altro ( quasi di tipo medico pur con epistemologie e diagnostiche assai diverse) e quindi il problema è che ciò sia professionalmente ben impostato e funzionale). Sono posizioni rigorose entrambe, purchè si definiscano con chiarezza tempi, limiti e obiettivi di ogni trattamento. Ad esempio, una terapia breve non è gestibile con la relativa non direttività analitica e viceversa, una lunga implica la gestione di processi relazionali e transferali profondi. Come si vede, il problema porta alla gestione dell’etica che implica consapevolezza delle metodologie adoperate rispetto agli obiettivi, di sé e del proprio mondo interno ed emotivo rispetto alla relazione, della centralità della vita e della sofferenza dei pazienti, delle possibilità e limiti della formazione, dei propri bisogni psichici (e non solo) che entrano in ballo nel lavoro di cura. Implica l’umiltà di chiedere aiuto a colleghi senior in caso di difficoltà e l’attenzione profonda ed eticamente rigorosa di una comunità professionale che non può stare a guardare le cose non deontologiche che accadono. A mio avviso, in realtà, più spesso ci sono problemi nella mancata cura o nella gestione narcisistica della relazione, che nelle molestie sessuali agite fisicamente. A mio avviso, la formazione alla competenza relazionale ed alla conoscenza di sé e quella all’etica professionale vanno di pari passo.

II) Come accennavo, sin da Freud si è ritenuto che fosse centrale la cura preliminare di se stessi per poter effettuare un lavoro psicoterapico. In maniera più laica ciò che resta, a mio avviso, fondamentale, si sta allargando oggi anche alle più serie scuole non analitiche. La psicoterapia, soprattutto se non breve, si basa su processi che definisco di co-transfert e cioè, di ciò che il paziente ed il terapeuta mettono nella relazione di se stessi, del proprio mondo familiare interno, della propria storia e cultura, ecc. E’ quindi fondamentale, che il terapeuta sia il più possibile consapevole di ciò che accade nella relazione, nel paziente ed in lui, di cosa scatta rispetto alla sessualità ( cosa che va professionalmente elaborata perché sia di aiuto ai pazienti). La formazione deve rendere consapevoli emotivamente e cognitivamente del fatto che la sessualità finisce col rappresentare tutti i simboli della vita. In un certo senso, non esistono problemi sessuali (tranne che per questioni biologiche di competenza non psicoterapiche). In realtà, dietro le difficoltà sessuali ci sono paure o rabbie relazionali interne rispetto all’altro sesso, all’abbandono inconscio del nucleo familiare ( che si può amare o odiare troppo) e delle sue certezze (che si esprime spesso nei disturbi alimentari e nel panico). Un mio paziente, ad esempio, poteva far sesso con la moglie anziana, e non con la giovane amante. Un altro, poteva masturbarsi ma non concedere eiaculazioni alla fidanzata. Alcune donne vivevano rapporti anali ed orali ma evitavano quelli vaginali. Tutte cose, come si vede, che dipendono da vissuti simbolici, psicologici, e relazionali, e non dal sesso in senso stretto. È chiaro che un terapeuta (o chiunque abbia una posizione di potere) che agisce sessualità con i pazienti è un persona sostanzialmente malata, che cerca di usare la situazione per “curare” i propri problemi, sottomettere l’altro al proprio potere. Per entrambi (terapeuta e paziente) c’è una sorta di “fuga dalla relazione terapeutica” per passare ad un rapporto di reciproca manipolazione. È chiaro che c’è una forte violazione della deontologia professionale (ma, in misura minore, c’è anche un gioco seduttivo non espresso  e non elaborato) che è incompatibile con la professione di psicoterapeuta. Il danno al paziente può essere notevole. Si tratta di persone con fragilità e storie di problemi e sofferenze psichiche. Facilmente (come accade alle donne violentate) possono sentirsi in colpa, perdere speranza nella psicoterapia, avere conferma del pessimismo esistente rispetto all’umanità che spesso i problemi psichici già inducono.


[1] Lo Verso G., Di Blasi M., Gruppoanalisi oggettuale. Cortina, Milano 2011.

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9 Comments

  1. Il mio nome è Laura Bonanni, sono una psicoterapeuta ad orientamento analitico transazionale, lavoro , ormai, da una ventina di anni in questo ed in altri campi. Mi congratulo per la qualità della vostra risposta e per l’interessante ed utile bibliografia, indice non solo di professionalità e “trasparenza”, ma anche e non da meno, di essere in qualche modo, “curativa” per gli utenti e lettori più o meno coinvolti nella questione, o comunque sia, interessati ad approfondire scientificamente e con onestà, l’argomento di cui si stà trattando.
    Voglio segnalarvi un testo molto interessante ed utile in cui si evidenzia proprio l’aspetto patologico del professionista che utilizza il setting terapeutico per “curarsi” e “sanare” propri problemi non risolti in sede adeguata: IL GUARITORE FERITO.terapeuti che fanno del sesso con i loro pazienti.” Di Herbert S. Stren, casa ed Astrolabio 1996. L’ho letto con profondo interesse. In questo testo vengono riportati anche casi di donne psicoterapeute che hanno “utilizzato” i propri pazienti per “sanare” problematiche sessuali personali. Con questo voglio dire che non è solo uin fenomeno maschile! Può anche riguardare l’altro sesso:-) e non è certo m,eno grave, chiaramente.
    Cordialmente
    Dott.ssa Laura Bonanni

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  2. Mi chiamo Cristiana Zedda e sono una psicoterapeuta Analitico Transazionale. Ho lavorato per circa 10 anni in una comunità per tossicodipendenti e oggi mi occupo di clinica, docenze e supervisione in una scuola di formazione. A novembre ho partecipato come relatrice ad un congresso, dove ho portato un intervento proprio sull’argomento, sull’utilizzo del contatto fisico in psicoterapia e su come si può utilizzare questo nutrimento affettivo senza scivolare in una violazione del setting. Ho scoperto preparando l’argomento di quanto è vecchio il fenomeno del transfert erotico, parliamo dei tempi di Freud e di quanto già da allora sono elencati innumerevoli casi di terapeuti che sono andati a letto con i propri pazienti. Nella comunità dove lavoravo e di cui dirigevo l’equipè è capitato spesso di interrompere relazioni tra utenti e operatori di struttura, tra cui psicologi, psichiatri, assistenti sociali, ma la riflessione importante è che si è sempre trattato di persone problematiche, di terapeuti con coflitti personali irrisolti che hanno strumentalizzato i loro pazienti per i propri fini. Vi ringrazio per aver pubblicato la vostra risposta sull’argomento in quanto è un ottimo spunto di riflessione su un tema delicato di cui veramente poco si parla.

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  3. Non ho letto gli altri commenti ma può essere interessante il
    libro di Gazzillo e Silvestri (SUA MAESTA :M.Khann),vi sono anche filoni di Film recenti su casi storici ed anche una casistica su psicologia contemporanea…

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  4. Io sono invece una paziente che ha avuto la sfortuna di imbattersi in un terapeuta che non ha rispettato il setting, mi ha perfino accusato plurime volte di essere stata io a manipolarlo. Almeno, a distanza di tre sedute (pagate, ma non fatturate) in cui vi erano stati contatti intimi, mi ha invitato a scegliere fra interrompere la terapia con lui o continuare a vederlo non più come terapeuta, ma in altra veste, ovviamente mantenendo un silenzio quasi totale su quella che era la sua vita privata. Credo che per lui sia stato divertente giocare a carte tenendo le sue nascoste e conoscendo perfettamente quelle che io avevo in mano. Il tutto è stato un disastro e ne sono uscita con le ossa rotte.

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  5. io come chiara sono entrato in relazione con la psicoterapeuta. ho disintegrato la mia vita, e dopo 4 anni sono ancora perso in un transfert senza fine. dopo una storia lunga e intensa, che credevo da 2 parti ho cercato di farla fiorire in qualcosa di maturo e visto che non si decideva ho imposto un aut aut. in silenzio si è preparata a distruggermi e dopo vari pretesti mi ha cancellato senza una parola. devo ancora ritrovare la mia anima.
    se ci fosse una cura la farei a qualsiasi costo. la ma vita gira inutilmente in cerca di una soluzione, eppure sono vivo e forte e dopo 2 anni di altra terapia non ho risolto niente. naturalmente la mia famiglia che ha saputo tutto e ha perdonato mi è meravigliosamente vicina ma io sono un cuore perso nel nulla.

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    • @andre, ma ANDRE
      se leggi la mia storia al link
      http://psicolinea.blogspot.com/2010/05/terapeuti-scorretti-consulenza-online.html
      e pensi che ci sono saltata fuori io che ero molto più persa di te
      non è possibile che tu non riesca a venirne fuori.
      Io adesso seguo una psicoterapia con un uomo e le cose si stanno risolvendo. Non tutti i terapeuti sono uguali. Ci sono anche molte persone oneste. Il fatto di avere incontrato il o la terapeuta disonesto/a non significa che non si possano poi sistemare le cose. Bisogna ritrovare la fiducia in se stessi. E pensare che non sempre va tutto male. Dopo una terapia catastrofica è bello riuscire a ricostruire un altro rapporto con un altro/altra terapeuta che ti rispetta, che non ti sfrutta e che ha davvero come fine il tuo benessere e la tua guarigione. Te lo dico io che ho rischiato di morire per ben 2 volte a causa di un terapeuta pazzo e malato.
      Ma io ho avuto la sfortuna di andare da questa persona !
      Comunque la vita è bella e riserva anche molta felicità e serenità, oltre che molto dolore. E io adesso quando guardo i miei figli e mio marito sono felice, e non m’interessa più niente se uno psichiatra pazzo ha quasi distrutto la mia vita. Io mi sono ricostruita una vita. Io ti faccio davvero tanti auguri.
      La strada per la felicità è dentro te stesso.
      La tua anima è dentro di te, cercala.
      Lei non puà avertela presa. E’ solo tua. Non lasciare che lei continui ancora a disintegrare la tua vita.
      Non darle più importanza di quella che ha. Anche lei non può che essere una terapeuta con il cervello malato, se fosse sana non si sarebbe comporatata così !!
      La cura c’è: trovare un/una terapeuta che ha davvero per fine
      la tua guarigione.
      CIAO

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  6. A proposito di abusi sessuali in psicoterapia vi invito a leggere la mia storia, purtroppo vera ai seguenti link:
    http://psicolinea.blogspot.com/2010/05/terapeuti-scorretti-consulenza-online.html
    http://www.psicologi-psicoterapeuti.it/forum/viewtopic.php?f=61&t=14116&p=85391
    http://forum.alfemminile.com/forum/f485/__f5_f485-Psichiatria-le-morti-per.html
    VORREI SCRIVERE UN LIBRO SULLA MIA STORIA
    VORREI L’AIUTO DI UN ESPERTO DEL SETTORE UNA PSICOLOGA O PSICOLTERAPEUTA
    PREFERIBILMENTE DONNA
    OPPURE UNA SCRITTRICE
    QUALCUNO E’ INTERESSATO ? Marta Rossi

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  7. ma………..questi micidiali abietti personaggi devono restare impuniti? Un problema è stato mio e ne sono uscita, con le ossa rotte ma ne sono uscita; altri problemi sono di mie conoscenti che hanno fatto tentativi di suicidio ed entrano ed escono o dal manicomio.
    Il personaggio continua imperterrito

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    • @Costantina,

      L’abuso è una violenza sessuale, val la pena sottolineare la cosa e, come tale è considerato dal nostro codice penale. La via, perciò, se si vuole veder punito l’abusante, è quella della denuncia e, da vittima, so che non è facile da percorrere, per tutta una serie di motivi che penso non ci sia neppure bisogno di elencare. Va detto che il fatto che vi siano solo sei mesi di tempo per denunciare una violenza dopo che questa è stata subita non aiuta l’abusata. In sei mesi non si riesce neppure a elaborare l’accaduto. Rendersi conto che qualcuno a cui ci si era affidati, a cui si era spalancata la propria intimità, a cui si era creduto quando ci diceva che il setting è un luogo protetto, ci ha fatto così del male è praticamente impossibile.
      Trovo, inoltre, che sia molto difficile, per me lo è stato e lo è, riuscire a far convivivere i sentimenti positivi che si nutrono, nonostante tutto, nei confronti del terapeuta abusante, soprattutto se vi è stata una terapia di lunga durata, con quelli giustamente e sanamente negativi.
      Io sono incappata in uno dei “sanati” all’epoca della creazione dell’albo, non laureato in psicologia (anche se sulla sua home page scrive il contrario) e con una “preparazione”, di cui sono venuta a conoscenza solo in tempi recenti visto che non mi era stato presentato il consenso informato, assolutamente inadeguata e imparagonabile con quella attualmente richiesta a coloro che si occupano seriamente di psicoterapia. Probabilmente non è una via percorribile, ma sarebbe auspicabile che nell’albo, visto che l’ordine dovrebbe tutelare i pazienti, si potesse poter riconoscere chi vi è entrato grazie a una sanatoria le cui maglie, non si può negare, sono state troppo larghe, da coloro che hanno studiato anni e anni: possibile che gli psicologi/psicoterapeuti “tutto in un fine settimana” siano equiparati a coloro che hanno speso quasi dieci anni, studiando, prima di prendere in cura un paziente e che hanno una laurea specifica in tale campo? Non sto dicendo che i “sanati” sono tutti potenziali abusanti, ve ne saranno sicuramente di capaci, ma va riconosciuto che non sono stati passati ad un vaglio serio, credo che ciò sia palese e che una scrematura, penso anche solo a quella che naturalmente si ha durante un corso di studi di lunga durata, non c’è stata.
      Nessuno ha controllato in maniera approfondita il terapeuta da cui ho subito abusi, perché uno che afferma (vi risparmio altre perle) che fino a oltre i trent’anni aveva un enorme paura delle donne, perché sono capaci di creare e di distruggere, qualche problema credo lo evidenzi.

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  1. Abusi sessuali in psicoterapia « Lorita Tinelli - [...] una persona ne può curare un’altra. Entrano, però, in ballo cose come la trasparenza relazionale[1], l’etica e la capacità…

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