LA NOSTRA VITA. Il nuovo neorealismo firmato Luchetti

Regia: Daniele Luchetti
Sceneggiatura: Sandro Petraglia, Stefano Rulli, Daniele Luchetti
Attori: Elio Germano, Raoul Bova, Isabella Ragonese, Luca Zingaretti, Stefania Montorsi, Giorgio Colangeli, Alina Berzunteanu, Marius Ignat, Awa Ly, Emiliano Campagnola
Fotografia: Claudio Collepiccolo
Montaggio: Mirco Garrone
Musiche: Franco Piersanti
Produzione: Cattleya
Distribuzione: 01 Distribution
Paese: Italia 2010
Genere: Commedia
Durata: 95 Min
Formato: Colore


di Manuela Materdomini

Vale la pena andare a vedere l’ultimo film di Daniele Luchetti. Ma, attenzione! Chi desidera assistere con il fiato sospeso ad una storia fantasiosa e imprevedibile o ammirare estasiato acrobazie registiche sullo stile di Paolo Sorrentino (tanto per rimanere in territorio italiano) rimarrà deluso. La Nostra Vita parla di gente comune, di famiglie, del lavoro che ti serve per sbarcare il lunario alla fine del mese e lo fa mediante una regia che, priva di orpelli e artifizi, viene messa a servizio della narrazione. Il mood del film sembra richiamare inequivocabilmente atmosfere neorealistiche: la storia è ambientata in una località laziale imprecisata, forse una borgata romana, e molte scene vengono girate all’aperto. Lo sguardo del regista si sofferma attento sulla vorticosa trasformazione in atto del tessuto sociale italiano e, nello stesso tempo, ritrae con una fedeltà disarmante il quadro di una certa Italia di oggi.
Claudio è un padre di famiglia e di mestiere fa il carpentiere. Dopo la morte della giovane moglie, decide che i soldi e i beni materiali dovranno risarcire i tre figlioletti di una mancanza che non si potrà più colmare. Si butta allora in investimenti lavorativi azzardati che lo introdurranno nel mondo degli appalti abusivi, delle truffe edilizie e del lavoro in nero.
Spicca la capacità del regista di narrare simultaneamente la dimensione più privata e la dimensione sociale della vita del protagonista, mostrando come, in una dinamica di forze e di equilibri, il privato trasforma il sociale e il sociale trasforma il privato. E  così il dramma della perdita apre una finestra su un microcosmo sociale: la famiglia certo, ma anche i vicini di casa – spacciatore lui, ex prostituta nigeriana lei – a cui affidare le cure dell’ultimogenito, gli operai nordafricani e rumeni, i nuovi amici dell’Europa dell’Est. La descrizione lucida, ironica e incredibilmente verosimile di questo piccolo universo sembra suggerirci che, oggi, l’italiano che appartiene ai gradini medi e inferiori della scala sociale condivide più spazi di vita e di lavoro con un extracomunitario che con il ricco connazionale. Contro ogni pregiudizio becero, Luchetti traccia l’identikit dei nostri nuovi vicini di casa: persone venute da lontano in cerca fortuna che ci assomigliano più di quanto crediamo e che, come uno specchio, ci rimandano l’immagine di chi siamo e di come siamo diventati. Forse un popolo per il quale i valori più importanti sono diventati l’apparenza e il denaro? Con il denaro Claudio cerca di rimediare a tutto: lavoro e vita privata. Non si concede nemmeno un momento per il dolore e blinda i ricordi della moglie mancata, pretendendo che anche i figli facciano lo stesso. In realtà saranno loro ad accompagnarlo nel sentiero oscuro del lutto, con uno sguardo autentico e benevolo, a volte spaventato e a volte pieno di compassione. Questo personaggio grezzo, ruvido, umano. Così familiare che ti sembra di conoscerlo, forse anche grazie alle coraggiose scelte di regia. Nelle scene emotivamente più dense, infatti, il protagonista viene inquadrato di profilo, dando allo spettatore la sensazione di guardarlo come si guarda qualcuno che ci è vicino.  Così familiare che quando esci dalla sala, e il giorno dopo quando ti svegli, ti risuonano nelle orecchie le sue battute. “So’ Claudio, ma gli amici me chiamano Claudietto” dice quel diavolo di un Elio Germano, che per questa interpretazione ha conquistato il premio come migliore attore protagonista all’ultimo Festival del Cinema di Cannes.

Chiara Santi

Author: Chiara Santi

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1 Comment

  1. Bellissima la recensione, più del film, forse, che per me è tenuto in piedi solo dalla grande interpretazione di Germano e dagli struggenti paesaggi del litorale laziale, che sono lì forse come metafora dell’italianità: una bellezza incredibile, colori magici, fritture di cui sembra di poter sentire il profumo, nonostante le distruzioni e gli sfaceli dell’edilizia selvaggia.

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