L’esperienza del parto e la “libertà di soffrire”, fra scienza e mitologia

SEGNALAZIONE

Buongiorno, sono una psicologa e psicoterapeuta ad orientamento cognitivo e comportamentale, ma soprattutto, in questo momento della mia vita, sono una donna al 9° mese di gravidanza, prossima al parto, e, in questi giorni mi sono imbattuta in un articolo, pubblicato in rete, che riferisce degli effetti collaterali della tecnica di analgesia epidurale durante il travaglio di parto.In questa sede vorrei riportare il passo che parla degli aspetti psicologici, perchè mi ha lasciata molto perplessa come l’autore, un signore che di professione fa l’ostetrico, parli delle implicazioni psicologiche del parto, con tanta sicurezza e senza citare alcuna fonte o dato di eventuali studi che supportino le sue dichiarazioni, che vengono, nel suo sito date per verità sacrosante. Ora, mi piacerebbe avere un confronto con persone qualificate ed esperte in materia, che possano darmi la loro opinione in merito, ritenendo personalmente queste dichiarazioni prive di ogni fondamento, fino a prova contraria. Il brano è tratto da un articolo, di cui voglio allegare il link, in modo che, chi volesse, possa leggerlo nella sua interezza. Lo stesso articolo è poi riportato in un altro sito Internet, sempre ad opera dello stesso signore, di cui riporterò il link. Concludo, esprimendo il mio disappunto rispetto a questa scelta, in quanto nella pagina del sito (Mammole.it, che dovrebbe costituire fonte di informazione per gestanti) non compaiono notizie, letture o posizioni alternative a quella citata, tali da permettere un confronto tra posizioni differenti e operare una scelta consapevole per il proprio piano di parto. Qui sotto il brano tratto dall’articolo: “…Ritornando all’applicazione nel corso del travaglio e parto, rileviamo come frequentemente sia sottaciuta l’implicazione psicologica della tecnica. L’analgesia infatti, non permette alla donna di sviluppare per intero il processo psicofisico della procreazione. La psicologia ha messo in evidenza come l’accettazione della separazione dal proprio figlio “fantastico”, è la condizione necessaria per poter accogliere il figlio reale, e ciò è permesso dall’esperienza del travaglio. Questo processo di accettazione determina la successiva partecipazione attiva materna (le spinte in espulsivo). Il dolore ha pertanto un importante ruolo nell’esperienza del parto, il disconoscerlo o addirittura ritenerlo superfluo, testimonia una scarsa attenzione alle dinamiche umane. Tale atteggiamento evidenza inoltre l’approccio arrogante della tecnica, irrispettosa dei fisiologici travagli umani, quest’ultimi caratterizzati anche dalle fisiologiche debolezze e dalle difficoltà dell’animo. Anziché sostenere, supportare e rendere evidente l’importanza del ruolo materno, si preferisce ripercorrere vecchie strade del passato già a suo tempo abbandonate: l’analgesia nel corso del travaglio e parto.” tratto da:http://www.mammole.it/index.php?option=com_content&task=view&id=123&Itemid=68 http://www.epidurale.it/ Nel ringraziare per la cortese attenzione, saluto cordialmente.

PARERE DELL’ESPERTO DR. LUIGI BARRACCO

Rispondere in poche righe ad un argomento così complesso non è facile ma ci proverò.

Ho una grande esperienza di analgesia peridurale (faccio il ginecologo da oltre trent’anni) perché mi sono formato con l’équipe di anestesisti che tra i primi hanno introdotto la tecnica in Italia.

Nelle varie mail che leggo sul sito ” mammole” vedo che si tende a confondere vari aspetti della questione e che per fare chiarezza bisogna assolutamente separare gli argomenti.

1) facciamo attenzione ad affermare che ciò che consideriamo “naturale” sia necessariamente ” buono”. La natura è spesso matrigna: trattare il parto con i moderni metodi di sorveglianza ha consentito di incidere fortemente sulla mortalità materna e fetale, ma questo, che è un grande risultato, è tutto fuorché “naturale”.

E’ giusta invece è la necessità di trattare la gravidanza ed il parto  come eventi naturali (fisiologici) : potenzialmente pericolosi e perciò da sorvegliare con attenzione, ma senza considerarli malattia; cerchiamo cioè di consentire ai genitori di avere una completa partecipazione emotiva e psicologica alla nascita del proprio figlio, ma evitiamo di correre i tanti potenziali rischi legati all’evento (per dirla con le parole di un mio maestro, non il parto a casa ma la casa in Ospedale).

Di conseguenza, non mi sembra giusto parlare di parto naturale o non naturale: parliamo di parto spontaneo o Taglio Cesareo.

2) In fisiologia il dolore è certamente finalizzato (ha una sua utilità). Immaginiamo cosa succederebbe in assenza del dolore con un solo esempio: metto una mano sul fuoco e non mi brucio, non ho dolore: non ritiro la mano e la perdo. Fortuna che esiste il dolore!

Qualunque ginecologo esperto sa che non bisogna mai associare i termini “contrazione” e “dolore”: infatti le contrazioni non sono associate obbligatoriamente al dolore. Nell’esperienza di ogni ginecologo c’è il caso della partoriente che si attarda a casa nel dubbio che le contrazioni siano o no travaglio, e quando si decidono ad andare, se non partoriscono in macchina, lo fanno pochi minuti dopo l’ingresso in ospedale. Sarebbero probabilmente i parti migliori se non ci fossero tutte le ansie legate ad un evento ritenuto eccezionale. Ma che fine ha fatto il “dolore” in questi casi?

E’ chiaro che l’ultimissima fase, quella espulsiva, è sempre accompagnata dal dolore dovuto alla distensione dei tessuti, come è inutile negare che gran parte dei travagli siano da un certo punto in poi accompagnati dal dolore, ma da qui a sostenere che questo dolore sia “necessario” (finalizzato) alla salvaguardia del benessere psicologico nel rapporto madre-figlio ce ne corre.

Chiarisco con due esempi: avevo uno zio che raccontava con orgoglio di essersi sottoposto all’asportazione delle tonsille senza nessuna anestesia, come allora evidentemente usava in quelle situazioni (era militare in tempo di guerra), senza peraltro aver emesso un solo lamento. Da come lo raccontava, immagino che l’episodio lo abbia fatto sentire un ” vero uomo”, accrescendo la sua autoconsiderazione. Ma noi, oggi, potremmo consigliare l’abolizione dell’anestesia nella asportazione delle tonsille perché questo farebbe “consolidare” il carattere dei nostri figli? Follia!

Secondo esempio: ormai, nei paesi occidentali, oltre un terzo dei parti avviene con taglio cesareo, e la percentuale è in continua crescita. Se il dolore del parto fosse finalizzato al rapporto madre – figlio, almeno un bambino su tre dovrebbe attualmente avere gravi ” disturbi relazionali” con la sua mamma a causa di ciò, e questo è palesemente falso. Sostenere questa tesi, oltre che un falso, è anche assurdo perché induce a ritenere che le mamme che non potranno partorire spontaneamente per un qualsiasi motivo (e partoriranno con il cesareo), non avranno una normale relazione con il proprio bambino. Non scherziamo per favore!

Ma se dunque la finalizzazione biologica del dolore nel travaglio non riguarda il benessere psicologico della mamma e del suo bambino, e noi abbiamo la capacità di eliminare il dolore nel travaglio, perché non dovremmo farlo?

3) Nella mia struttura si conducono da qualche anno in collaborazione con un’équipe di psicologi  studi sulla depressione post -partum. Non esiste alcuna correlazione tra analgesia epidurale al parto e depressione post partum (circa il 98% delle nostre pazienti si avvalgono dell’epidurale). E’ semplicemente un falso.

Identico discorso per quanto riguarda l’allattamento al seno: nessuna evidenza di interferenza tra allattamento ed epidurale. Ma allora, di che stiamo parlando?

4) L’epidurale. Per poter giudicare l’opportunità dell’uso dell’epidurale nel travaglio bisogna sapere di cosa si parla. Il nostro sistema nervoso (semplifico al massimo) è fatto in modo tale per cui un diverso tipo di fibre nervose trasmette un diverso segnale: alcune trasmettono gli impulsi motori (ci consentono di muoverci), alcune trasmettono le sensazioni (per esempio tattili, ma anche il riflesso di spinta, la ” voglia di spingere nell’ultima fase del parto), alcune trasmettono la sensazione del dolore. Molto semplicemente, in estrema sintesi, l’epidurale è un tipo di analgesia (e non di anestesia) che sopprime selettivamente solo la trasmissione del dolore. Tecnicamente questo è possibile, ed è esattamente quello che avviene. Durante un travaglio in epidurale, si conserva la completa capacità di muoversi e la completa  sensibilità; semplicemente, non si sente il dolore. E con questa metodica le sale travaglio sono state rivoluzionate.

Ovviamente, nei circa trent’anni di sviluppo di questa tecnica, i cambiamenti ed i progressi sono stati enormi, ma ritengo il minimo che chi parla di epidurale sia al corrente delle recenti metodiche e non si riferisca a situazioni primordiali.

Parliamo ora delle complicanze. Cominciamo a dire che l’epidurale, ai fini della nascita del bambino, è assolutamente superflua: con o senza, il bambino nascerà lo stesso. E’ possibile immaginare che una cosa assolutamente superflua, che si pratica solo per il benessere della gestante, possa essere pericolosa? Nessuno si azzarderebbe a praticarla o a subirla se davvero comportasse dei rischi.

E’ invece vero che il travaglio in analgesia dura più a lungo, ma questo importa poco se chi travaglia (più a lungo) lo fa in pieno benessere.

Se l’analgesia è ben condotta la madre percepisce il riflesso di spinta ed è in grado di accompagnare bene con le sue spinte il periodo espulsivo. A volte la ” voglia di spingere” viene percepita meno, le spinte sono poco spontanee e per lo più volontarie. Ma il parto avviene ugualmente.

E’ vero anche che la percentuale di parti operativi (ventosa), per quanto detto sopra, aumenta con l’analgesia epidurale, ma le tecniche non sono pericolose né per la madre o né per il bambino (altrimenti, di nuovo, chi si azzarderebbe a praticarle?).

L’applicazione di forcipe non trova indicazione nella rallentata progressione della parte presentata, e infatti le percentuali non risultano aumentate. Non più forcipi a causa dell’epidurale quindi (per inciso, l’applicazione di forcipe con le attuali indicazioni non è pericolosa).

E’ falso invece che ci sia un incremento del numero dei cesarei: questi ormai aumentano per mille motivi, ma non a causa dell’epidurale.

Tutti gli altri effetti collaterali (ipotensione, bradicardia fetale) fanno ormai parte della storia, essendo le tecniche molto cambiate nel tempo, e comunque sono facilmente controllabili dall’ équipe. L’unica complicanza un po’ più noiosa è la cefalea, che è comunque rarissima e si risolve in pochi giorni semplicemente con il restare stesi a letto (in questa posizione la cefalea non si avverte).

In conclusione l’epidurale in travaglio è una metodica che in mani esperte è priva di rischi e di conseguenze fisiche e psicologiche e non si vede nessun motivo che ne rallenti la diffusione.

Sinceramente, la consiglio di cuore a tutte le donne che vogliono affrontare un travaglio sereno.

COMMENTO REDAZIONALE A CURA DELLE DR.SSE ANNA BARRACCO, SARA GINANNESCHI E CARLA PUTZU

Il consenso informato: etica attiva e responsabilità sociale.

La segnalazione tratta dal sito “mammole” è estremamente interessante perché riguarda un tema non specifico della professione “psi”.

Un gruppo di ostetrici, si esprimono su un tema che apparentemente è loro prerogativa, e, – come è giusto in una società libera e nel libero proliferare di informazioni e scambi culturali da diversi “vertici” osservativi – si spingono fino a dire la loro sul dolore del parto, e sulla sua funzione evolutiva, sulla sua utilità fisiologica a fini psicologici.

Eppure, nel momento in cui si esprime, un professionista sanitario ha sempre una responsabilità sociale di cui tenere conto e che implica difficili scelte etiche; egli  deve aiutare il cittadino a prendere una decisione libera e responsabile – tenendo conto anche del suo benessere psicologico ed esistenziale – e non indirizzarlo a priori verso una scelta piuttosto che un’altra se sostenuta semplicemente da una propria visione personale. Anche in questo, infatti, consiste la responsabilità sociale di ogni professionista nei confronti della comunità dei cittadini e questo è forse uno dei pochi motivi che ancora può giustificare, a nostro avviso, in una società complessa e democratica, l’esistenza di ordini professionali che siano a tutela e a garanzia della salute (come è previsto, peraltro dalla Costituzione) e non mere organizzazioni corporative.

Il parto, infatti, è nello stesso tempo un evento naturale che riguarda la vita di tutti gli esseri viventi (tutti nascono), un evento significativo e cruciale nella vita di tutte le donne, sia che si accostino realmente a questa esperienza, sia che invece vi rinuncino.

Molti autori, come Ivan Illic (“Nemesi medica”), come La Kubler Ross (“La morte e il morire”) relativamente alla morte e come Laboyer (“Per una nascita senza violenza”),  sul parto, hanno sollevato per la prima volta forse, negli anni ’70, una robusta critica alla medicina, alla centralizzazione ed all’espropriazione effettuata dal nosocomio, creando vere e proprie scuole di pensiero ed inaugurando stili di approccio alla morte, al morire ed al dolore, non per ultimo quello del parto, che andavano a denunciare ed a sfidare la tecnocrazia medica, nutritasi per anni dei tabù religiosi e scientisti. Si pensi ad esempio all’ineluttabile destino biblico: “donna, partorirai con gran dolore” o ai protocolli medici rigidi che impedivano ai padri l’accesso alla sala parto, ovvero alla madre di prendersi cura del proprio bambino fin dai primi momenti di vita.

Dunque la medicina, così come la psicologia, sono scienze che si declinano dal punto di vista clinico, ma, nel loro versante di prevenzione, hanno una forte connotazione sociale.

Temi come il dolore, la soglia di sopportazione, il diritto di informazione e di accesso alle cure e alle diverse pratiche oggi a disposizione, chiamano in causa direttamente l’etica medica e psicologica, la deontologia professionale, e attraverso di esse ci portano direttamente alla centralità del consenso informato, e dunque alla  responsabilità etica, sociale e politica del professionista della sanità nei confronti del cittadino.

Insomma, come diceva Platone nel “Timeo”, l’alfabeto, cioè il simbolico, è il primo anestetico.

Cosa significa? Significa che la capacità, e direi anzi l’ineluttabilità, la tendenza invariabile e strutturale degli esseri umani ad attribuire senso (e dunque a rendere trasmissibile l’esperienza biologica nel legame sociale)  fa sì che l’esperienza corporea nella sua declinazione soggettiva e simbolica (dunque anche culturale), è e resta centrale in ogni pratica, medica o psicologica, che voglia accostare il trattamento del dolore.

Prima dunque di liquidare sbrigativamente una o l’altra tecnica anestetica o analgesica, occorrerebbe porsi il problema di quale sia  la domanda che ci si trova di fronte, di quale sia la cornice di senso.

Ogni donna che si accinge al parto ha infatti il suo mondo culturale di riferimento, le sue specifiche aspettative e paure, e con questo bagaglio accede ai servizi sanitari e lì troverà determinate risposte. Fino a pochi anni fa, la presenza dei mariti accanto alle partorienti, non era minimamente considerato “un anestetico”, ma anzi un intralcio nel funzionamento della macchina sterile e ordinata dell’ospedale. Camici bianchi e ferri scintillanti avevano il sopravvento su qualsiasi altra considerazione di ordine psicologico e relazionale, e la soggettività, l’affettività, veniva semplicemente “sospesa” e lasciata fuori dai reparti, in una scissione che in alcuni casi si rivelava profondamente patogena. Oggi invece, grazie alle conquiste progressive dei cittadini e all’idea sempre più radicata che il concetto di “salute” sia ben di più del semplice dominio e patrimonio della cultura e della professione medica, o psicologica, e certamente grazie anche alle ricerche in ambito psicologico e sociale (vedi fra le altre, G. Pietropolli Charmet, “La democrazia degli affetti”), i padri in sala parto, e più ancora i genitori dei piccini sottoposti a interventi chirurgici o lungamente ospedalizzati, sono considerati ausili importanti per il medico, e presenze in alcuni casi non solo auspicabili, ma addirittura necessarie.

Oggi dunque assistiamo ad una crescente complessità. Da una parte questa concezione di salute attribuisce sempre maggiore spazio, nella contrattazione e nella gestione della salute, all’immaginario sociale, nel quale convivono “miti” a volte discordanti, se non completamente in opposizione fra loro: dalle teorie “new age” del ritorno alla natura come estrema conquista e tensione al passato, inteso come età dell’oro, e dall’altra, abbiamo invece l’esaltazione delle moderne tecniche chirurgiche, che portano ,all’opposto ,al rifiuto del passare del tempo, al rifiuto del cambiamento, alla possibilità di liberare completamente e di disgiungere, in ultima istanza,  l’esperienza umana dai vincoli biologici. In quest’area si situa, per esempio, l’inquietante aumento dei parti cesarei, anche richiesti dalle partorienti stesse, e che pure è questione che pone dilemmi etici per lo psicologo e penso in generale per il sanitario, eventualmente interpellato.  E’ la donna partoriente proprietaria del proprio corpo fino al punto di poter decidere di accedere ad un metodo che ha costi ed effetti differenti? Oggi si intercede e si è indulgenti sempre più (questo è un dato di fatto), verso queste richieste, per un reale maggiore rispetto del potere delle donne sul proprio corpo, ovvero lo si fa perché i cesarei sono più facili da programmare e presentano probabilisticamente minori complicazioni legali in caso di difficoltà? E’ davvero trascurabile e indifferente incidere, senza indicazioni effettive, l’addome e il tessuto muscolare, la parete uterina, senza indicazioni specifiche ma solo su richiesta?

Sono domande alle quali non credo che debbano essere chiamate a rispondere, da sole, la scienza medica e quella psicologica. Questo è il campo della deontologia e della bioetica, allo stesso modo delle questioni del “fine vita”, anche se siamo forse poco abituati a pensare al parto cesareo, al parto in acqua, al parto in analgesia epidurale, come questioni di questa complessità.

Fa dunque pensare, riflettendo sull’articolo uscito sul sito Mammole.it, non solo che siano emerse verità parziali, non documentate e che mancano di un doveroso rigore scientifico, ma anche che tali affermazioni vengano pubblicate da  un ostetrico. Non si tratta, beninteso,  di vietare a qualcuno l’esperienza del dolore;  anzi spesso capita di trovare donne con l’immenso desiderio di sperimentare il parto nella sua più integrale “naturalità”.

Ciò che andrebbe davvero garantito è un corretto consenso informato, la possibilità per la donna di accedere a determinati protocolli, ovvero rifiutarli, la possibilità di avere a disposizione, ovunque si nasca e ovunque si acceda alle cure, informazioni corrette ed articolate, che non nascondano l’opzione, e dunque la posizione etica del curante. A questo traguardo, molto, moltissimo, a nostro avviso, potrebbe contribuire la diffusione e l’accesso il più possibile facilitato alla consultazione psicologica, quale risorsa non solo episodica, ma costituente parte integrante del patrimonio sociale, all’interno delle équipe multidisciplinari nei nosocomi e in generale nel sociale.

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13 Comments

  1. Che tristezza questi commenti di “professionisti”.

    Alla fine, cara Dimitra, quando si porta un figlio in grembo l’unica cosa da fare e’ cercare di entrare in contatto con noi stesse e con le verità che ognuno di noi ha sepolte dentro di se’, e la maternità è uno stato in cui questa capacità introspettiva e di lettura della verita’ e’ cosi’ piu’ acuita. Solo questo puo’ aiutarti a scegliere a favore o contro l’epidurale, il parto in ospedale anziche’ a domicilio, e tutto il resto.

    Perche’ le conseguenze di ognuna delle scelte che ti si propongono sono aleatorie, e non esiste la scelta giusta o sbagliata. Esiste la scelta giusta o sbagliata “soggettivamente”: per i commentatori della tua richiesta la verità e’ “viva l’epidurale”, per altri ben più noti ed eminenti (ma questo non vuol dir nulla) è “abbasso l’epidurale”.

    Siamo noi, con le nostre personali convinzioni, a fare la differenza. Perche’ di parto si puo’ morire, come di epidurale (gli errori capitano, le allergie esistono), come di qualsiasi altra cosa, e noi non siamo i numeri delle statistiche, ma le persone vere a cui capitano le cose. Dunque per scegliere dobbiamo fare un nostro percorso personale di crescita e di scoperta della nostra verità.

    Le posizioni che ognuno di noi esprime (l’ostetrico di mammole o i commenti di cui sopra) sono filtrate dalle convinzioni e dalle verità delle persone che te le propongono, ed e’ giusto che sia cosi’.
    Quale di questa “risuona” dentro di te?
    Non e’ chi e’ piu’ eloquente, o chi si e’ preso il tempo di andare a scomodare la banca dati o l’autore piu’ recente che ti darà la verità. Ognuno di noi è qui per lanciare un seme, quale di questi è quello che può trovare alloggio dentro di te, in questo specifico momento della tua vita, dovrai essere tu a intuirlo. Intuirlo e’ la parola giusta.

    Lascia stare se le parole dell’ostetrico non sono, nel suo articolo, suffragate da evidenze scientifiche, ti sembrano assurde? allora lo sono. Accendono in te un dubbio? allora coltivalo.

    In bocca al lupo e buona vita alla creatura che porti in grambo.
    bs

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    • Gentile Barbara,
      Il senso dell’articolo di commento, in realtà, andava proprio in questa direzione.
      Qunado si dice che l’alfabeto (ovvero la cultura, il simbolico, il linguaggio) è il primo vero anestetico, che cos’altro si ha di mira, se non questo discorso della verità e validità della libera scelta?

      Oggi esistono vari stumenti a disposizione; la cultura che va tendenzialmente verso il “reale” (chimica, chirurigia, ecc.) tende a favorire un “discorso” che fa prevalere la possibilità di utilizzare anestetici “reali” (farmaci appunto, interventi sul reale, per es. l’aumento dei cesarei). Altri momenti culturali e ideologici, facevano prevalere altri “discorsi” (es. Laboyer).
      Cosa può fare il professionista psicologo per salvaguardare la libertà del soggetto? Per lasciare al soggetto il suo spazio per decidere?
      Può dire la sua, trasmettere la sua esperienza umana e professionale, presentare il più onestamente possibile, il punto in cui si situa, il “posto” da cui parla.
      Questo, penso, è quello che abbiamo chiesto agli esperti innterpellati e questo abbiamo fatto nel nostro commento.
      In realtà, avevamo interpellato diverse esperte (donne anche culturalmente impegnate sul fronte dei diritti della donna)che però non ci hanno inviato il loro parere. Una di queste, una ginecologa, aveva telefonicamente espresso parere critico e tendenzialmente contrario all’epidurale, però poi non ci ha inviato il parere. Sempre più OPM cerca di privilegiare la pluralità dei punti di vista mostrando come la sicenza è embricata con l’etica. Spero che questo scambio permetta di risituare il disocrso.

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    • @barbara, Esattamente, lasciamo le ” Professioniste della pissicologia” fuori della sala parto ed affidiamoci ad una buona ostetrica ed al ginecologo di fiducia; hanno meno chiacchiera e mani infinitamente più abili ed efficaci.

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  2. “Partorirai con dolore” è una traduzione inesatta, pare. Ma prima di precisarlo, voglio sottolineare la tristezza dell’ultimo commento, che i professionisti della pissicologia (con ostentata ignoranza) abbiano “chiacchiere” mentre i medici sono “reali” (“come sei reale”, diceva la moglie di Ivo Perego, il personaggio di Albanese…); se siamo qui a fare l’OPM è perché quelle chiacchiere hanno un senso e aiutano molte persone a riflettere in modo non banale su di sé e i propri bisogni. Che squallore questi commenti.

    Peraltro l’articolo di Anna lo trovo molto pertinente ed equilibrato, fuori dalla logica “viva o abbasso”. A proposito di ALFABETO, Erri De Luca ha detto in una intervista (forse lo ha anche scritto da qualche parte) che la parola abitualmente tradotta con “dolore” compare altre volte nella bibbia, ma tutte le altre volte viene tradotta con “sforzo”, e solo per il parto viene tradotta con “dolore”. Dunque si evince che il testo originale probabilmente asseriva “partorirai con sforzo”, riassumendo non tanto la punizione divina, quanto la storia ontogenetica umana, che dopo la stazione eretta ha dovuto fare alcuni compromessi con la forma del bacino e le dimensioni del nascituro.

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  3. Ciao, mi sento coinvolta nella discussione, essendo al 7 mese della mia seconda gravidanza. Il mio primo figlio e’ nato tre anni fa con un parto naturale, che non posso certo non considerare doloroso, ma sicuramente breve…relativamente veloce, visto che tra travaglio ed espulsione sono passate meno di 5 ore. Credo che affrontare con spirito zen, diciamo cosi’, il dolore come volevo fare io….e’ stata un’esperienza formativa notevole, dopo sentivo l’orgoglio di aver saputo regolare e superare il dolore. avendo frequenatto un corso di preparazione al parto ho tratto vantaggio dalla respirazione corretta, al ritmo delle contrazioni, oltre che dalla presenza del mio compagno al mio fianco. Conta molto sentirsi a proprio agio, come a casa propria. Una mia amica ha partorito l’estate scora a londra e li’ addirittura se si sceglie di partorire in casa, e’ la struttura sanitaria pubblica che porta a casa della partoriente vasca per il parto in acqua e l’ostetrica. sembrano livelli di civilta’ distanti anni luce da noi. Credo cha la scelta finale spetti alla donna e che qualsiasi scelta sia rispettabile. Buon parto a tutte
    Maria Antonietta

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  4. Sono una donna, una madre, un’ostetrica ed una psicoterapeuta.
    A volte serve fermarsi e riflettere, a volte serve agire con mani rapide ed efficaci, sempre serve avere rispetto dell’altro e delle sue scelte. I professionisti tutti serve imparino a collaborare se vogliono servire a queste creature staordinarie (le madri)che certamente non necessitano di diatribe tra chi dovrebbe aiutare a fare chiarezza.

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  5. Ho avuto la fortuna, proprio all’inizio della mia prima gravidanza, di dover approfondire l’argomento per ragioni di lavoro. Mi sento di condividere alcune indicazioni bibliografiche:
    – Di Vita A M, Brustia P, Psicologia della genitorialità, Transizioni
    – La Sala G.B. Iori V., La «normale» complessità del venire al mondo. Incontro tra scienze mediche e scienze umane, Hoepli, 2006
    e anche
    – “Pensieri prematuri” Edizioni Borla
    – Ferrara Mori G, Un tempo per la maternità interiore, Borla
    Buona lettura
    Chiara Mascia

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  6. Grazie a tutti per i vostri commenti. L’intenzione era proprio quella di suscitare la riflessione, di dare un’informazione equilibrata. Informare equilibratamente penso significhi dare il giusto spazio alle opinioni anche diverse dei profesisonisti, al di là di una illusione di neutralità che spesso è causa di fraintendimenti e manipolazioni.

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  7. ho trovato alquanto interessante la discussione in quanto mi sento molto coinvolta ogni volta che si parla della questione “parto” e di come sia meglio farlo.
    Ho partorito quasi tre anni fa e il ricordo ancora mi sconvolge, le conseguenze psicologiche e fisiche si ripercuotono tutt’oggi sulla mia persona e hanno creato un fardello che per molto tempo è stato faticoso da portare.
    ho partorito un figlio di 4.3 kg dopo 12 ore di travaglio e tre ore di spinte. mi sono presentata al parto fiduciosa delle mie forze e della struttura sanitaria a cui mi ero affidata. ma l’integralismo della struttura nel agevolare “il parto naturale” si è scontrato con una realtà di un parto al di sopra delle mie possibilità.
    credo che la risposta a come fare partorire una donna possa essere frutto solo di una mente APERTA in grado di valutare i casi che si presentano di volta in volta.
    credo che sia importante mantenere la “filosofia di pensiero” che ciascuna struttura sanitaria ha scelto di adottare ma con la saggezza e l’intelligenzza di superarla quando il bene della madre e del figlio ne sono messe a repentaglio.
    io questo non l’ho vissuto… e me ne rammarico, soprattutto per tutte quelle donne che si avvicinano all’evento fiduciose e vengono invece deluse e recluse in un pensiero antiquato di donna.
    un augurio a tutte le mamme di incontrare sul loro cammino apertura e intelligenza..

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  8. Gentile Simona,
    grazie per la tua testimonianza! Spero che ora, in ogni caso, tu possa vivere una maternità serena, con un bimbo sano, nonostante quello che ti porti dietro. Penso di capire cosa possa voler dire. Io sono stata anche forutunata; sono stata protetta dalla paura che avevo di non poter tollerare una soglia troppo elevata di dolore, e così ho chiesto di poter avere l’epidurale solo nel momento in cui l’avessi chiesto. In ogni caso avevo accanto a me donne che travagliavano molto angosciate, e altre molto serene. Ho visto proprio come l’esperienza sia molto, molto soggettiva e a volte alcuni piccolissimi dettagli possono fare la differenza, in quei momenti ,fra il sentirsi serene e supportate e, invece, sentirsi improvvisamente sole e incapaci di tollerare e gestire quel momento. Per me qui momenti sono ormai lontani… Le mie due figlie sono adolescenti, ma resto sempre dell’idea che il parto sia un momento mitico, fondamentale nel vissuto di una donna. Senza neanche voler enfatizzare troppo (anche una brutta esperienza, alla fine, può essere integrata, metabolizzata, le si può trovare un significato) penso che fare il possibile per vivere al meglio quei momenti, pensando in anticipo a chi si vuole vicino, a dove andare e a come predisporsi, penso che potrebbe essere facilitato per tutte le madri. Vedo ancora giovani pazienti che invece non ne parlano con i partner, non si preparano, lasciano il tutto all’improvvisazione… Mah. Ho visto anche che enfatizzare troppo la naturalità del parto, a volte porta alle madri strascichi di stanchezza molto forti.

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  9. Il parto
    E’ l’epilogo del meraviglioso processo che da origine ad una nuova vita e di cui solo la donna è
    l’unica artefice e protagonista. Su questo evento molto si è detto, scritto, parlato, ecc.e la sua interpretazione è talmente variegata da far perdere il senso dello stesso. Innanzitutto per parto si definisce l’espulsione ( naturale) o estrazione ( artificiale) del feto e degli annessi fetali dall’utero
    materno al termine della gravidanza..Ogni parto è un evento a se. Ci sono parti lunghi, brevi, più o meno dolorosi o indolori. Al di la del dictat biblico “ tu donna partorirai con gran dolore:::” da sempre si è cercato di alleviare il dolore, con pozioni, farmaci, tecniche respiratorie, chirurgiche, ecc., ma attualmente anche partorire ha trasceso la sua naturalità ed è diventato una moda e un argomento da salotto di cui la madre diventa l’eroina e può essere il centro dell’attenzione che ha
    compiuto un’impresa fuori dalla norma , una specie di guiness dei primati. Ora,dato che i nuovi mezzi a disposizione degli ostetrici hanno realizzato la possibilità di partorire in analgesia , vengono a mancare gli argomenti di interesse. Quindi si sperimentano strade diverse , quali il parto subacqueo, appesi ad una sbarra, ecc.. ecc. e si costruiscono attorno a questi procedimenti tutta una serie di pseudo teorie scientifiche per giustificarne la validità Purtroppo le mode fanno testo non la funzionalità e il benessere della madre e del figlio. Anche gli psicologi percorrono queste strade e teorizzano sul distacco corporeo , sul cordone ombelicale, sul fatto che l’analgesia rende incompleto l’atto della procreazione e simili masturbazioni teoriche che snaturano il concetto di parto. Ora ci sono i profeti del dolore, del parto fatto in casa, una specie di ritorno alle origini, ma non tengono conto che in passato non vi erano le strutture di cui oggi disponiamo ne personale altamente qualificato e in grado di intervenire e salvare sia le puerpere che i figli altrimenti destinati a morte certa. Si tende a togliere la professionalità agli addetti ai lavori che da parte loro rinunciano al loro sapere e manualità.e accollano la responsabilità alla puerpera facendo loro firmre un foglio “di consenso informato “ sgravandosi così di ogni responsabilità. La mia domanda è: quale informazione si può fornire ad una puerpera e pretendere che essa comprenda 1° la terminologia medica” 2° cosa significano in pratica i bei paroloni” 3° quali sono tutte le possibili cause e gli effetti che possono intervenire durante il decorso del parto 4° come si pretende che in caso di intervento di urgenza la donna sia in grado di decidere fra una pratica o l’altra da seguire “ poiché l’addetto ai lavori ha timore di un eventuale insuccesso di venire incriminato e condannato al risarcimento danni o peggio? Così come la pretesa che il partner assista in sala all’evento con
    l’assurda giustificazione di condividere questo evento, come se fosse uno spettacolo da baraccone.
    Chi perora queste modalità non tiene conto degli effetti negativi che ha sul partner. Nella mia pratica professionale ho vissuto troppi pazienti che dopo aver assistito al parte sono rimasti traumatizzati e non sono più stati capaci di avvicinarsi alla moglie o hanno rifiutato i figli, colpevolizzandoli per le sofferenze o peggio , la perdita della loro madre o sono diventati impotenti.
    Chiaramente coloro che teorizzano queste astruserie fanno della demagogia gratuita. Il dolore non a
    mai effetti positivi, anche sulle madri e ne ho sentite tantissime accusare i figli per quello che avevano dovuto soffrire sia durante la gravidanza che nel parto. A questo punto ritengo che una buona preparazione e assistenza durante la gravidanza e se possibile un parto indolore, che si ottenga con l’epidurale , con l’ipnosi ( che ho praticato moòte volte, o con qualsiasi altro mezzo, predispongono ad un rapporto felice fra genitori e figli. Peccato solo che i padri non debbano più far bollire l’acqua ne consumare cinque pacchetti di sigarette e consumare il pavimento camminando fuori della sala parto in attesa del lieto evento. Mamme siete degli esseri meravigliosi e vi vogliamo bene comunque.
    Dr. Tullio Lombardi – psicoterapeuta- Sessuologo

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  10. Io sono mamma di 3 bellissime bambine, avute tutte con parto cesareo. Vorrei fare 2 chiacchere con il medico che dice che non si instaura un rapporto “vero” con i figli con un parto “meccanico”. O forse adesso che mia figlia ha 11 anni e iniziano i conflitti tra madre e figlia sia per il cesareo?? Ooops..forse è l’adolescenza ^__^…Ho 32 anni e in 7 anni ho affrontato il “cesareo” demone di tutte le donne che si vantano di aver avuto un parto “naturale”..o meglio dire spontaneo, dopo 24 ore di travaglio estenuante..ricordo ancora le urla dalla sala parto di una donna dopo un’intera giornata di travaglio!!! Il mio non è stato un parto cesareo di scelta personale..gravidanza oltre termine e nessuna dilatazione..fossi nata in altri tempi non sarei qui a scrivervi…ringrazio tutti i dottori che mettono a disposizione le tecniche per alleviare il dolore nel parto spontaneo e quelli che si aggiornano con nuove tecniche per il cesareo per una ripresa veloce della “normalità” se normalità si può avere dopo la nascita di un figlio ^__^..Grazie a tutti.

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  11. Se è possibile, senza fare male ad altri, è sempre giusto allontanare dall’uomo il dolore.

    Questo io dico sempre nella mia qualità di terapeuta e di uomo alle donne che vengono da me, diversamente affascinate o spaventate dal dolore del parto.

    Il dolore umilia sempre l’essere umano, non per nulla nell’Antico Testamento è mandato all’uomo come punizione.

    Una forma di perversione, nota come “sadomasochismo”, presente in tutti, colpisce però in modo particolare alcuni soggetti che non sembrano purtroppo appagati dalla quantità di dolore esistente dell’universo, ma vanno in cerca di sofferenza credendola, erroneamente, un bene.

    Solo il piacere è bene, la sofferenza è sempre male anche quando è subita dai martiri o dagli eroi. Purtroppo l’essere umano è contraddittorio anche nei modi in cui va alla ricerca del piacere e della felicità.

    Credo quindi che sia giusto che il momento del parto sia liberato per quanto possibile dalle sue componenti dolorose.

    Il parto, come quasi tutti gli altri momenti significativi della vita umana, è stato ritualizzato nel corso dei secoli, da quasi tutte le culture ed accompagnato ora da riti magici, ora da rituali sociali.

    Da Psicoanalisi contro n. 6 – Il trauma della nascita
    maggio , 1995
    Autore Sandro Gindro (psicologo)

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