Catastrofi, mass media e criteri di oscenità
Giovanni Vaudo
Psicologia per i Popoli – Lazio
Il terremoto di Haiti si va, purtroppo, sempre più configurando come epocale, e coinvolge un numero tale di persone da sconvolgere mente e cuore di chiunque abbia la voglia e la forza di soffermarvisi qualche attimo in più.
Non solo un paese di una povertà assoluta, sul filo della sopravvivenza quotidiana, non solo l’inesistenza di forme organizzate di soccorso, non solo un passato tormentato da eventi politici disastrosi…anche una distruzione fisica di proporzione immane!
Le televisioni e tutto il mondo delle comunicazioni trasmettono informazioni continuamente aggiornate sugli accadimenti in quel paese e sulle decisioni che vengono prese nel contesto internazionale, come oramai è consuetudine anche per eventi infinitamente più ordinari, basta che siano adatti a suscitare qualsiasi forma di curiosità e/o interesse. Proprio su questo tema credo sia importante, ancora una volta, soffermarsi, come cittadini e come professionisti della salute pubblica.
Non mi sono accanito a guardare molte immagini cruente e desolanti nello scenario di Haiti, ma quel tanto che ho visto, e dai commenti di persone a me prossime, appare molto chiaro che ancora una volta lo scoop mediatico, e soprattutto visivo, viene prima di qualsiasi altra considerazione e buon senso. Corpi devastati, membra umane che emergono da polvere e macerie, sguardi persi e attoniti, accanto peraltro a sfoghi teatrali e a reazioni incongrue – ingenuamente evidenziate come positive dal giornalista di turno! – assistenza improvvisata a vittime sistemate in carriole da muratore come giacigli… E’ la realtà, innegabilmente, ma quanto è opportuno che a questa realtà vengano esposte, e tendenzialmente in maniera ossessiva, persone la cui condizione non rende in alcun modo positiva e costruttiva tale esposizione? Bambini, anziani soprattutto se sofferenti, psichicamente labili per motivi di ogni genere…e qui necessariamente il pensiero va a individui che a vario titolo hanno partecipato all’ancora recente trauma del sisma d’Abruzzo. Vittime dirette, ma anche indirette, comprendendo anche soccorritori impegnati per giorni e giorni a tentare di strappare vite alla morte. Per non parlare di tutte le altre tragedie nazionali che negli ultimi periodi si sono rincorse.
Una attività di protezione civile…mentale, mi sembra perciò non vada assolutamente trascurata.
Come proteggersi e proteggere allora le persone vulnerabili da tutto questo? Ho poche scarne idee, ma mi preme qui mettere l’accento sul problema perché ciascuno che condivida questo punto di vista si adoperi perlomeno per una “riduzione del danno”.
In particolare mi rivolgo ai colleghi psicologi, perché non si perda occasione di stimolare genitori, educatori, tutori a vegliare, senza rigidità ma con efficacia, su quanto può andare “occasionalmente” sotto gli occhi di figli troppo giovani e/o persone comunque sensibili.
Un altro invito è di sensibilizzare alcuni settori dell’informazione intelligenti e motivati perché si facciano promotori di una visione più equilibrata di questo come di altri eventi catastrofici, centrata maggiormente sul pensiero e l’azione riparativa piuttosto che sulla sensazione e l’emozionalismo a cui è così facile abbandonarsi.
Il discorso afferisce ad un’area di estrema delicatezza, lo sappiamo tutti, ma la diffusione condivisa di tali principi a fini protettivi su immagini che arrivano sugli schermi televisivi di ogni parte del mondo – riguardo internet il discorso si complica e richiederebbe ulteriori approfondimenti – potrebbe anche portare ad una organizzazione e gestione di forme istituzionali di reale garanzia, condivise e pluralistiche.
25 gennaio 2010
Caro collega, sono psicotraumatologo dell’emergenza, ho operato con l’ARES (protezione civile) a L’Aquila e sono in attesa di partire per Haiti. Concordo in pieno con quanto scrivi. Per quanto riguarda la prevenzione credo che ormai dobbiamo metterci nell’ottica che questi scenari, più o meno catastrofici, ad opera della natura o dell’uomo, saranno sempre più frequenti e quindi doabbiamo promuovere un’opera di costante informazione e cultura dell’emergenza, rivolta non solo ai colleghi ma al cittadino comune. Per esempio qualche giorno fa, con alcuni colleghi, abbiamo organizzato un incontro pubblico, rivolto ai cittadini, in cui abbiamo cercato di fornire informazioni su quello che accade negli eventi critici e quali sono le competenze e le migliori risposte da attivare.