436 miliardi di euro persi in Europa per la mancata salute mentale!

436 miliardi di euro persi in Europa per la mancata salute mentale!

 Luigi D’Elia

 Il Parlamento Europeo e la sua Commissione Salute, approva già nel Febbraio 2009 un’ultima Risoluzione che non lascia spazio ad equivoci: la salute mentale degli europei è una questione molto seria.

“In Europa una persona su quattro soffre di problemi di salute mentale almeno una volta nella vita, mentre molte di più ne subiscono gli effetti indiretti. Il costo finanziario della cattiva salute mentale è stimato per la società tra il 3% e il 4% del PIL degli Stati membri, ossia un totale UE di 436 miliardi di euro la cui maggior parte è legata in primo luogo all’assenza sistematica dal lavoro, all’incapacità di lavorare e al pensionamento anticipato. Approvando la relazione di Evangelia Tzambazi (Grecia), il Parlamento accoglie quindi positivamente il Patto europeo per la salute mentale e il benessere, e il loro riconoscimento «quale priorità d’azione fondamentale».”

La Risoluzione della Commissione europea è il seguito ed in un certo senso la conseguenza di un Libro Verde sulla salute mentale Migliorare la salute mentale della popolazione. Verso una strategia sulla salute mentale per l’Unione europea” dell’Ottobre 2005, che delineava l’analisi della situazione le linee-guida da adottare per gli stati membri e che ne rappresenta la premessa.

Dando un’occhiata ad uno degli allegati di questo Libro Verde, ci accorgiamo dei numeri incredibili di cui si parla, considerando che queste stime sono al ribasso in quanto non conteggiano le problematiche psicopatologiche di bambini, adolescenti e degli ultrasessantacinquenni.

Numero stimato di persone di tutta l’Unione Europea (età 18-65) sofferenti di disturbi mentali nei 12 mesi passati (anno 2005)

Diagnosi (DSM-IV) – Milioni di persone stimati nei 12 mesi

  • Ø Dipendenza da Alcool – 7.2
  • Ø Dipendenza da sostanze illecite – 2.0
  • Ø Psicosi – 7.0
  • Ø Depressione Maggiore – 18.4
  • Ø Disturbo Bipolare – 2.4
  • Ø Disturbo di Panico – 5.3
  • Ø Agorafobia – 4.0
  • Ø Fobia sociale – 6.7
  • Ø Disturbo di Ansia Generalizzato – 5.9
  • Ø Fobie Specifiche – 18.5
  • Ø Disturbo Ossessivo-Compulsivo – 2.7
  • Ø Disturbi Somatoformi (ipocondria, psicosomatici, etc.) – 18.9
  • Ø Disturbi dell’Alimentazione – 1.2

Totale: 82.7 milioni di persone pari al 27.4% della popolazione europea

Al di là di queste cifre bibliche, il dato ancor più sconcertante è quello dei costi economici e sociali indotti da questo genere di problemi. 436 miliardi di euro sono una cifra enorme, da qualunque parte la si voglia vedere.

La concretezza di questo dato dovrebbe essere sufficiente a svegliare qualunque scettico che intendesse sottovalutare il fenomeno o che volesse anche solo derubricarlo tra le problematiche transitorie o settoriali.

Non stiamo cioè parlando di un fenomeno di nicchia, statisticamente attribuibile ad una fetta probabilistica della popolazione che comunque soffrirebbe di problematiche psicologiche, classificabile, anche mentalmente, nella categoria dei problemi strutturali, ed in qualche misura fisiologici.

No, 82,7 milioni di persone in Europa (dato al quale manca la fascia 0-18 anni), che stanno male psicologicamente , che non lavorano e non producono (o che lavorano poco e/o male), che ricadono in vario modo sulle famiglie, che rappresentano dunque un variegatissimo costo per la società, in termini di spesa sanitaria sia diretta che indiretta, in termini di scadente qualità di vita di individui e famiglie, sono diventati un gigantesco sintomo di malessere e d’impoverimento generale – a questo punto anche economico – della nostra società che non si può più ignorare. Ed infatti il Parlamento Europeo (almeno quello) se ne è accorto nel momento in cui s’è superata la soglia critica di un quarto della popolazione, e nel momento in cui la ricaduta economica è divenuta oltre che sistemica anche di proporzioni enormi.

Attenzione però, per non cadere nel solito lessico mediatico dello psicolabile, squilibrato, affetto da esaurimento nervoso, in preda ad un raptus, depresso-omicida (la serie delle stupidaggini è davvero lunga!), occorre sottolineare che qui non stiamo parlando soltanto delle problematiche psichiatriche gravi, tossicodipendenti e alcoliste, che sono per tutti noi, paradossalmente, molto consolatorie perché ci consentono l’artificio, assolutamente improprio, di distinzione qualitativa tra chi è sano e chi è malato mentalmente. Stiamo parlando di TUTTE le problematiche psicologiche che, seppure non da trattamento ospedaliero e/o farmacologico, risultano ugualmente invalidanti.

La Risoluzione “Tzambazi” quando fa riferimento alle tipologie di sofferenze, si sofferma sulle situazioni più gravi: suicidio (50.000 persone l’ultimo anno “una causa significativa di morte prematura in Europa”), depressione, malattie neurodegenerative degli anziani, etc., ma se guardiamo con più attenzione alla distribuzione del disagio, ai numeri dei fobici, dei fobico-sociali, degli ipocondriaci, dei panicosi, degli ansiosi, etc., cioè di tutta quella fascia un tempo definita “nevrotica” (e non stiamo conteggiando la sconfinata galassia delle nuove dipendenze, altra epidemia degli ultimi anni), essi rappresentano la netta maggioranza delle problematiche totali.

Questa stessa Risoluzione indica poi una serie di linee-guida, provvedimenti, accorgimenti che ogni Stato membro è invitato ad assumere per arginare il problema. Ed allora la responsabilità di dover pensare ad adeguate strategie di prevenzione sociale è diventata altissima e urgente.

Avevamo già segnalato in uno dei nostri precedenti editoriali (leggi) una delle principali sorgenti di spreco di spesa sanitaria, gettata nella spazzatura a causa della mancata diagnosi e prevenzione dei diffusissimi (18,9 milioni di persone nell’UE) e sottovalutati disturbi somatoformi, ma anche dei disturbi ansiosi (metà delle analisi e delle visite mediche sono inutili). Ma non è certo l’unico problema non visto. Accanto a questo troviamo innumerevoli altre figurazioni del disagio della nostra contemporaneità.

Avevamo anche detto che molti problemi psicologici appaiono trasparenti ed invisibili in quanto del tutto contigui se non interni alle regole dell’attuale funzionamento economico-sociale. Lo spreco endemico allora diventa funzionale all’organizzazione stessa della società e l’unico modo per intervenire in maniera non palliativa sugli effetti collaterali della postmodernità dovrebbe essere dunque alla radice degli stessi stili di vita.

Prendiamo ancora l’esempio delle patologie compulsivo-dipendenti (videopoker, gratta e vinci, lotterie, shopping compulsivo), in ascesa esponenziale, che prevedono spesso l’uso del denaro e mandano sul lastrico le famiglie: come fare ad intervenire se è lo Stato stesso che ci guadagna?

O prendiamo le patologie ansioso-paniche: a chi conviene rallentare il flusso accelerato della società occidentale, i ritmi di lavoro, la gestione del tempo?

Come evidente, la prevenzione nell’ambito della salute psicologica, da quanto emerge qui, non segue le stesse regole di altre problematiche, come quelle di natura propriamente medica. La prevenzione psicologica ha caratteristiche che coinvolgono metodologie sociali e strumenti culturali attraverso le sinergie con le istituzioni, come la scuola, i presìdi pubblici e privati, gli enti locali, etc.

La Risoluzione “Tzambazi” parla forte e chiaro a questo proposito proponendo una visione moderna e non medicalizzata della prevenzione della salute mentale correttamente basata sulla promozione della salute mentale e del benessere della popolazione. A cominciare, certo, dalla prevenzione della depressione e del suicidio, ma passando soprattutto dalla promozione della salute mentale tra i giovani e nell’ambito dell’istruzione, la promozione della salute mentale sul luogo di lavoro, la salute mentale degli anziani ed infine invitando alla lotta alla stigmatizzazione e all’esclusione sociale.

E veniamo, invece, allo sconsolante panorama italiano.

  1. In Italia (tra le poche nazioni in Europa) manca la figura dello psicologo scolastico (14 proposte di legge ferme in Parlamento nelle ultime legislature) e dello psicologo di base, due figure-chiave della promozione del benessere e della prevenzione della salute mentale completamente ignorate (nonostante che ormai siano oltre 70.000 gli iscritti all’Albo degli Psicologi, molti dei quali sottoccupati/disoccupati: un esercito di professionisti inutilizzato).
  2. Ci si arrovella da decenni su sterili ed ideologici dibattiti sulla controriforma della legge 180 senza però preoccuparsi di applicare i relativi progetti-obiettivo e senza istituire processi di verifica degli interventi, di funzionalità, di economia sanitaria, di implementazione delle esperienze eccellenti.
  3. La proposta di legge per il convenzionamento della psicoterapia della scorsa legislatura è diventato terreno di scontro tra categorie, col tentativo dei medici di colonizzare ulteriormente (come se ce ne fosse bisogno) la salute mentale, laddove in altri paesi più avanzati le Analisi costi-benefici delle terapie psicologiche (Torricelli) e gli studi sull’impatto della depressione (vedi anche Porcelli: La Rivoluzione Inglese: un new deal per la depressione – Giornale Ordine Nazionale Psicologi 2/2009, pagg 31-35) dimostrano ben altra razionalità.
  4. I servizi pubblici soffocano per l’eccesso di richieste e per carenze di personale, spesso con la complicità di burocrazie ingestibili, lotte fratricide interne e culture istituzionali inadeguate.

Un panorama quasi da terzo mondo dove manca un pensiero politico sulla prevenzione psicologica, che non la concepisce, una cultura politica che non riesce ad accedere al mentale, che si ostina ad affrontare il disagio psicologico, sia quello grave che quello più comune e diffuso, attraverso l’unica chiave, perlopiù molto parziale, della biologia.

La salvaguardia della salute mentale, dal quadro che vien fuori dai documenti del Parlamento europeo e dai numeri prevalenti riguardanti i disagi psicologici più comuni, deve poter diventare una questione politica di primissimo piano per tutti noi. Essa riguarda la vita quotidiana, i legami sociali, familiari, comunitari, il rapporto con le istituzioni, la vita nei luoghi di lavoro, le abitudini contemporanee e l’uso della tecnologia, il rapporto con il tempo, con gli oggetti, con i mondi emotivi ed affettivi, col corpo, con l’ambiente naturale e urbano, con le proprie attitudini e i propri desideri.

Ebbene, qui davvero occorre rendersi conto, a partire dall’impoverimento che ci racconta la Commissione Europea, e che mi sembra un imprescindibile argomento, del cambiamento di rotta che necessita nella visione del benessere e della cura di sé.

Chiara Santi

Author: Chiara Santi

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7 Comments

  1. GRAZIE VERAMENTE INTERESSANTE MA…XCHE’ NON INSERIRE QUEI SIMBOLI TIPO FACEBOOK GOOGLE BLOG MYSPACE ECC. AFFINCHE’ POSSA ESSERE CONDIVISO RAPIDAMENTE CON UN CLICK SULLE PAGINE PERSONALI DI QUESTI SOCIAL NETWORK?

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    • @francesco, Ciao Francesco.
      Grazie del commento: come puoi vedere è stato preso in seria considerazione e adesso anche nei nostri articoli è possibile condividere il contenuto sui principali social network.

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  2. Mi associo alla richiesta di Francesco e aggiungo delle considerazioni. Non sono uno psicologo, ma un counselor e non amo il termine “salute mentale”; con questo non nego l’esistenza di patologie vere e proprie che, a mio avviso, rappresentano una minima parte dei casi riportati in questo articolo.
    Mi spiego meglio: dal mio punto di vista, considerare una malattia il disagio di vivere, impedisce di affrontare la questione in modo corretto e in questo, se non ho interpretato male il suo pensiero, credo di avere il sostegno di Martin Seligman il fondatore della psicologia positiva.
    Non solo concordo sul fatto che curare, medicalizzando, chi soffre di disagi psicologici e intervenendo quando ormai il danno è fatto, non sia la soluzione migliore, ma aggiungo che sarebbe molto più produttivo prevenire la questione, insegnando a tutti ad essere felici, cosa quest’ultima che sembra veramente possibile da realizzare.
    Purtroppo questa concreta possibilità si scontra con i meccanismi economici e produttivi del sistema nel quale viviamo, che trovano terreno fertile proprio nell’infelicità che producono.
    Da pare mia segnalerò subito questo articolo nel mio blog, grazie

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  3. Caro Daniele,sei un counselor? Dove lavori, dove ti sei formato? Con il nuovo Ordine degli Psicologi, in Lombardia, sto cercando di mettere in piedi un gruppo di ricerca sul counseling, in particolare sul rapporto fra counseling e psicologia el benessere.
    Qui tu sottolinei uno degli aspetti che secondo me è alla base del fiorire della cultura del counseling, della sua fortuna (peraltro tutta da conferamre, in termini numerici effettivi) rispetto alla psicologia professionale, e cioè il fatto che i counselor propongono un modello di lettura del disagio ,e penso un modello di intervento, che non viene percepito come connotato sanitariamente.
    Mi farebbe piacere una tua risposta!

    Anna Barracco anna.barracco@fastwebnet.it

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    • @Anna Barracco,
      Ciao Anna,

      ci siamo conosciute ai tempi di Bergonzi,
      sono iscritta all’ordine e specializza ta in lavoro e benessere organizzativo e sto facendo tante consulenze in azienda legate ai disorientamenti e ai nuovi ruoli.
      promuoviamo benessere che è la prima forma di prevenzione.
      A presto
      Rosanna

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  4. Domani è in ordine del giorno la discussione di questo articolo al 4° incontro del Gruppo Salute/Sanità/Welfare del Movimento 5 Stelle di Roma.

    Ad Majora!
    MB

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