Sentenza storica per i cittadini che utilizzano la psicologia professionale.

Pubblichiamo ampi stralci dell’intervista che il collega Nicola Piccinini ha fatto al Prof. Eugenio Calvi, avvocato e psicologo, su una sentenza che renderà più agevole il riconoscimento e l’azione giuridica relativamente agli abusi della professione psicologica.
Anche per i cittadini sarà più chiaro d’ora in poi riconoscere tali abusi laddove questi si rivolgano a figure non qualificate e non abilitate che tuttavia utilizzano strumenti e finalità tipiche dello psicologo e della psicologia.
I subentranti Ordini territoriali degli Psicologi (sono in corso le elezioni per i rinnovi) hanno ora un precedente giurisprudenziale (e nessun alibi elusivo) per effettuare finalmente la tutela dell’utenza e contestualmente delle professioni psicologiche.

Fonte: AltraPsicologia.it (articolo completo)

TESTO INTERVISTA di Nicola Piccinini al Prof. Eugenio Calvi

[…]

Nicola Piccinini:
Gentile prof. Eugenio Calvi, innanzitutto la ringrazio per la pronta disponibilità!
Nel doppio ruolo di avvocato e psicologo, si è occupato del caso Abela, di abuso della professione di psicologo da parte di un naturopata che affermava di praticare counseling, promosso dall’Ordine Psicologi Emilia-Romagna. Potrebbe spiegarci a grandi linee, per quanto possibile, la criticità di questo caso e l’esito della sentenza?

Eugenio Calvi:
Mi sono occupato del caso Abela nel procedimento penale avanti il Tribunale di  Ravenna  per abuso della professione di psicologo, nella veste di perito della parte civile, che nella specie era l’Ordine degli psicologi dell’Emilia-Romagna, difeso dall’Avv. Colliva di Bologna.  Il processo rivestiva una particolare importanza per la nostra categoria, in quanto si trattava di definire con precisione i limiti delle competenze dello psicologo, premessa necessaria per accertare se l’imputato – che psicologo non era  – avesse compiuto atti tipici di questa professione.  La sentenza, assai correttamente motivata, ha concluso per la condanna dell’imputato, ed è una sentenza definitiva, in quanto, pur avendola l’Abela impugnata, l’appello non è stato coltivato e pertanto la decisione del Tribunale è passata in giudicato.
Mio compito era rispondere ai seguenti quesiti:

1. se l’attività dell’imputato avesse invaso il campo riservato alla professione di psicologo, e comunque rientrante nelle attività previste dalla Legge 56/1989

2. in caso affermativo, quali di queste attività riconducibili alla previsione della citata legge abbia compiuto l’imputato

3. se l’attività dello psicologo, psicoanalista o psicoterapeuta sia rivolta esclusivamente al trattamento del disagio mentale e non possa invece riguardare situazioni fisiologiche (c.d. “di salute”).

Le mie risposte, sostenute ovviamente da idonei argomenti, sono state affermativa al primo quesito,  elencativa al secondo, e esplicativa all’ultimo, nel senso di adesione alla seconda alternativa.

Nicola Piccinini:
In altre parole, la sentenza è riuscita ad individuare specifici atti tipici ed esclusivi dello psicologo, ed anche a stabilire che lo psicologo non si occupa solo e tanto di patologia e psicoterapia, ma anche di salutogenesi, ovvero di promozione di benessere. Mi pare un ottimo inizio!
Stiamo parlando di “sentenza definitiva“. Se corretto, può spiegarci tecnicamente cosa significa? Qual è il livello ed il grado di applicabilità di questa sentenza, ovvero la possibilità di utilizzo in ulteriori contesti? 

Eugenio Calvi:
Come è noto, nel nostro sistema giudiziario le sentenze non hanno una efficacia vincolante per i giudizi successivi, e ciò vale anche per le decisioni del supremo organo giudicante che è la Corte di Cassazione.  Ciò significa che ogni giudice è libero di decidere come meglio ritiene, salvo il diritto, per le parti, di impugnare la sentenza e di rivolgersi così ad un giudice di grado superiore; nel caso delle sentenze del Tribunale, la Corte d’appello. Ciò premesso, è altrettanto vero che i “precedenti giurisprudenziali” hanno un valore per così dire orientativo, nel senso di fornire al giudicante elementi di riflessione sviluppati su casi analoghi. E’ allora evidente che questa capacità di influenzare i successivi giudizi è tanto maggiore quanto più convincente e ben argomentata è la decisione; nel  caso che ci interessa, possiamo senza dubbio affermare che si tratta di un precedente di notevolissimo peso.

Nicola Piccinini:
Ne ero convinto e sono felice di averne ulteriore conferma. Vorrei quindi capire se e come questa sentenza si ripercuote, ad esempio, sul mercato formativo che in continuazione sforna figure limitrofe.
In Italia, di fatti, esistono diverse strutture formative, in gran parte gestite da Psicologi, che formano professioni limitrofe come Counselor, Reflector, Psicopedagogisti, Coach, ecc… Questa attività viene giustificata affermando che mentre gli psicologi si occupano di cura, patologia e ristrutturazione della personalità, loro si occupano di salute e benessere. Abbiamo appena visto che nella sua Consulenza di Parte specifica con chiarezza che: a) lo psicologo non è uno psicoterapeuta e b) lo psicologo si occupa anche e soprattutto di salute e benessere.
Potrebbe illustrarci meglio questa posizione che, ricordo, è stata adottata in Sentenza Definitiva?

Eugenio Calvi:
Era necessario chiarire innanzi tutto che l’ambito di competenze dello psicologo non si esaurisce nella psicoterapia.  La condotta dell’imputato, infatti, solo marginalmente poteva essere considerata “psicoterapeutica”, ma era, tuttavia, certamente, specifica della nostra professione.

Dunque andava messo in evidenza che lo psicologo non é solo colui che “cura”, ma, pur rimanendo nell’ambito clinico, é anche quello che si occupa del mantenimento del benessere psichico, tanto che esiste, ormai da qualche decennio, la “psicologia della salute”.  Dunque, si può commettere abuso della professione di psicologo anche non facendo della psicoterapia e non occupandosi dell’eliminazione o attenuazione di quadri patologici, ovvero ponendo in essere comportamenti mirati alla promozione e mantenimento di stati di benessere psichico.

Nicola Piccinini:
Mi sembra, questa sua ultima, un’affermazione importante e sostanziale. Gradirei entrare nel dettaglio: nella sentenza viene affermato che si possono considerare “specifici di tale professione (di psicologo) quei mezzi il cui uso si fonda sulla conoscenza dei processi psichici e che consistono essenzialmente nella osservazione, nel colloquio e nella somministrazione di test aventi lo scopo di individuare particolari aspetti del funzionamento psichico. Detti strumenti, poi, sono psicologici nella misura in cui hanno per finalità la conoscenza dei processi mentali dell’interlocutore, con l’utilizzo di schemi e teorie proprie delle scienze psicologiche“. In pratica, osservazione colloquio e test divengono esclusivi nella misura in cui il fine è quello di individuare e conoscere il funzionamento psichico, secondo quanto previsto dalle teorie psicologiche attualmente riconosciute dalla comunità scientifica, sia esso declinato in termini di gestione del disagio o di promozione del benessere psichico.
Se così è, vorrei chiederle un parere su tutte quelle strutture formative per counselor, coach, reflector e simili che – di fatto – passano competenze e strumenti su colloquio ed osservazione, secondo teorie psicologiche, e la cui applicazione con il cliente finale è necessariamente quella di individuare e conoscere stati psichici, mentali ed emotivi. In tal senso, ed al di là dell’Art.21 del nostro Codice Deontologico, vorrei sapere se e come sia possibile “usare” questa Sentenza definitiva per incidere su questo mercato della formazione in un’ottica di tutela della Psicologia e degli Psicologi 

Eugenio Calvi:
Nella mia relazione ho messo l’accento su quanto è contenuto nell’art. 1 della Legge 56/89, che definisce le competenze dello psicologo quando afferma che “la professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione – riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità“.
Qui occorre aprire una parentesi.  In tutte le attività professionali, le competenze specifiche sono disegnate non già unicamente dallo “scopo” dell’intervento, ma anche e particolarmente dai “mezzi” utilizzati per perseguire il risultato.  Quando si dibatteva, durante la quasi ventennale gestazione della legge istitutiva del nostro Ordine, se la psicoterapia dovesse essere riservata ai medici, in quanto avente lo scopo di curare, a quanti sostenevano che ogni terapia fosse pertinenza della medicina si obiettava, ragionevolmente, che era invece necessario distinguere gli “strumenti” della cura, come é scritto nel citato art. 1.  
E’ allora evidente che appartengono esclusivamente al medico i mezzi chirurgici, farmacologici, fisici, chimici, elettrici e radiolari applicati all’organismo umano, mentre si devono ritenere specifici della professione di psicologo quei mezzi il cui uso si fonda sulla conoscenza dei processi psichici, e che consistono essenzialmente nell’osservazione, nel colloquio e nella somministrazione di test, aventi lo scopo di individuare particolari aspetti del funzionamento psichico, o, altri termini, che hanno la finalità della conoscenza dei processi mentali dell’oggetto indagato, avendo riferimento teorie proprie delle scienze psicologiche. Infatti, non tutte le osservazioni, non tutti i colloqui e non tutti i test hanno tali finalità, e quindi esistono, ovviamente, osservazioni, colloqui e test che non sono di esclusiva competenza dello psicologo
Per conseguenza, le strutture formative che trasmettono competenze relative a strumenti tipici della nostra professione, e che preparano quindi all’applicazione di tali strumenti, devono rivolgersi unicamente e specificatamente allo psicologo.  Diversamente, preparano  il terreno alla commissione del reato di esercizio abusivo della professione.

Nicola Piccinini:
Beh… qui stiamo parlando di una vera e propria bomba! In pratica questa sentenza aprirebbe la strada ad ulteriori iniziative da parte degli Ordini verso quelle strutture – gestite da psicologi – che formano professioni limitrofe, concorrendo – in un certo qual modo – alla commissione del reato?
Penso sia una prospettiva nuova e preziosa, che meriterebbe la dovuta attenzione da parte di Ordini ed anche colleghi psicologi.
Così, per gioco, la invito a leggere le seguenti affermazione ed a dirmi se ed in che modo rientrano “abusivamente” in quanto stabilito dalla Sentenza definitiva:

  1. Prima affermazione: “Il Counselor è in grado di favorire la soluzione di disagi esistenziali di origine psichica che non comportino tuttavia una ristrutturazione profonda della personalità… l’intervento di counseling è mirato a risolvere nel singolo individuo il conflitto esistenziale o il disagio emotivo che ne compromettono una espressione piena e creativa” (link)
  2. Seconda affermazione: “Il counseling è un incontro tra due persone – il counselor e il cliente – che grazie ad un dialogo orientato, instaurano una relazione che favorisce la capacità di individuare, riconoscere e ristrutturare il disagio estrapolando dal cliente stesso le risorse che occorrono per superarlo. Per iniziare si fa un colloquio per conoscersi e: definire il disagio, definire quanto tempo occorre per risolvere il disagio, riconoscere e allargare la propria griglia di rappresentazione del disagio”(link)
  3. Terza affermazione: “Il Counsellor è in grado di favorire la soluzione ad un quesito che crea disagio esistenziale e/o relazionale ad un individuo o un gruppo di individui. Il Counselling non è mai orientato alla cura ma al potenziamento della capacità di scegliere nella propria esistenza; a questo scopo è indispensabile l’uso di una terminologia che si differenzi dall’usuale lessico medico e psicologico” (link)

Eugenio Calvi:
A mio parere, la prima e la terza delle affermazioni invadono nettamente il campo delle competenze dello psicologo.  E’ vero che non si definiscono gli strumenti utilizzati, ma la loro individuazione è implicita nella precisazione degli obbiettivi, all’evidenza perseguibili unicamente con mezzi che si basano sulla conoscenza dei processi psichici.  Non si comprenderebbe, altrimenti, come sia possibile affrontare il “disagio esistenziale di origine psichica“, o il “conflitto esistenziale” o il “disagio emotivo“.
La seconda affermazione, in più, accenna anche allo strumento del “dialogo orientato a favorire l’individuazione, il riconoscimento e la ristrutturazione del disagio“.  Quindi aggiunge un ulteriore elemento che fa ricomprendere il counselling tra le competenze dello psicologo. 

Nicola Piccinini:
[…]
Rimango sinceramente dispiaciuto che spesso queste realtà siano gestite o partecipate da colleghi psicologi. Rimango addirittura disturbato quando poi questi occupano posti in consiglio, con responsabilità di tutela, ed invece in pieno conflitto di interesse […]. (link).

La cosa positiva è che questa Sentenza permette di costruire azioni concrete di tutela verso l’abuso della professione di psicologo, e verso le strutture che formano chi poi tenderà ad abusare della professione di psicologo. Mi chiedo il perché i vari Ordini degli Psicologi, regionali e nazionale, non abbiano ripreso tale sentenza, non la abbiano diffusa tra i colleghi (rendendoli più “forti e coscienti”), non la abbiano adottata per impostare politiche di tutela più efficaci. In tal senso, quale idea si è fatto rispetto a questa curiosa decisione di lasciar cadere nel vuoto questa sentenza da parte degli Ordini?

Eugenio Calvi:
Come prima accennavo, la sentenza in questione, proprio per l’esattezza delle argomentazioni e la profondità dell’indagine, descrive con un perfetto disegno logico i confini delle competenze dello psicologo.  E’ quindi un utilissimo strumento di difesa della nostra professione dai casi di abusivismo.  Sono fermamente persuaso che essa sentenza dovrebbe essere conosciuta da tutti i componenti dei Consigli dell’Ordine territoriali  (e non meno dal Consiglio Nazionale), quale una sorta di “vademecum” per giudicare i casi anzidetti.  Perché questo non sia sino ad oggi avvenuto – con la sola eccezione del Consiglio dell’Ordine costituitosi parte civile – può essere, riterrei, imputato ad una certa carenza di comunicazione più che ad un intenzionale indifferenza.  Si potrebbe forse proporre al Consiglio Nazionale di uscire dall’inerzia e diffondere il testo della sentenza, almeno da pagina 20 a pagina 28, dove sono sviluppate le argomentazioni che ci interessano.

Nicola Piccinini:
Allora siamo in due!
Anch’io avrei piacere che questa sentenza, con l’esposizione delle sue ricadute operative, venisse diffusa dai nostri Ordini professionali!
Sicuramente sarà mia cura segnalare questa intervista e la sua sentenza al mio Ordine regionale, il Lazio, ed invitare tutti i colleghi psicologi a fare altrettanto!

Diffondiamo quindi questa intervista e la conoscenza di questa sentenza a tutti i nostri colleghi. Inviamo email al nostro Ordine regionale per chiedere di dare adeguata visibilità alla sentenza, e per usarla concretamente nelle azioni di tutela all’abuso di professione!

[…]

Prof. Calvi, io la ringrazio nuovamente per la disponibilità e la chiarezza nel fornirci preziosi spunti ed indicazioni. Spero che questa sua, sia l’apripista di ulteriori sentenze di tal portata!

Un cordiale saluto
Nicola Piccinini

 

 

Chiara Santi

Author: Chiara Santi

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6 Comments

  1. Sono una – anziana- psicologa psicoterapeuta. Nel 1990 aprii a Torino la prima scuola di counselling sistemico italiana, l’Istituto CHANGE di Torino. Eugenio Calvi era allora Presidente dell’Ordine, e a lui mi rivolsi quando alcuni colleghi particolarmente biliosi minacciarono di denunciarmi e di chiedere la mia radiazione dall’albo con le stesse motivazioni che oggi accompagnano la polemica contro il counselling: avrei insegnato a non psicologi competenze che attengono esclusivamente allo psicologo. Ricordo una telefonata in cui Eugenio mi disse che il problema non esisteva, visto che la nostra scuola dichiarava ufficialmente di preparare a una professione diversa da quella dallo psicologo, professione del resto esistente e praticata in tutta Europa e nei paesi anglofoni. Non fui radiata. Ho continuato a formare counsellor, con passione e successo. Inviterei tutti – colleghi psicologi, formatori e studenti delle scuole di counselling, a leggere con attenzione le affermazioni di Calvi, come sempre saggio e accurato nelle sue argomentazioni.Dalle sue affermazioni sono stati estrapolati brani che le rendono goffe e ridicole : ad esempio leggo in una sintesi che circola in rete che Calvi avrebbe affermato che sono ” specifici di tale professione (di psicologo) quei mezzi il cui uso si fonda sulla conoscenza dei processi psichici e che consistono essenzialmente nella osservazione, nel colloquio e nella somministrazione di test aventi lo scopo di individuare particolari aspetti del funzionamento psichico”, tralasciando le precisazioni seguenti che ne modificano radicalmente il senso: ” Detti strumenti sono psicologici nella misura in cui hanno per finalità la conoscenza dei processi mentali dell’interlocutore, con l’utilizzo di schemi e teorie proprie delle scienze psicologiche; …. non tutte le osservazioni, non tutti i colloqui e non tutti i test hanno tali finalità, e quindi esistono, ovviamente, osservazioni, colloqui e test che non sono di esclusiva competenza dello psicologo.”
    Cioè, traduco, anche i colloqui di counselling, purchè chi li conduce sia stato preparato a utilizzare altri schemi e altre teorie di riferimento,e a muoversi verso obiettivi diversi dalla “conoscenza dei processi mentali dell’interlocutore”, pur mantenedo però l’obiettivo del miglior benessere della persona (o dovremmo chiedere ai counsellor di avere come obiettivo il malessere delle persone, per evitare di essere accusati di esercizio abusivo???). Io non credo che abbia senso questa specie di guerra santa contro i counsellor in quanto tali. sarebbe semmai utile una riflessione approfondita sulla qualità della formazione: quella dei counsellor ma anche quella degli psicologi. Competenze di conduzione di colloqui non finalizzati alla conoscenza dei processui mentali dell’individuo sono non solo necessarie ma indispensabili in contesti nei quali la persona che si rivolge al prodfessionista non richiede di essere aiutata a conoscere o riconoscere i propri processi mentali, ma di essere informata con competenza, orientata nella rete dei servizi, aiutata a prendere decisioni senza per questo entrare in modo approfondito nell’analisi dei proprui processi mentali, percorsi decisionali ecc. Moltissimi giovani ( e meno giovani) psicologi lavorano in realtà di questo tipo, sanitarie, educative,assistenziali e non sanno condurre colloqui di questo genere. Molti frequentano i nostri corsi di counselling. Ci sono poi educatori, professionisti sanitari, operatori sociali che diventano counsellor proprio per imparare a condurre colloqui non psicologici nell’ambito di lavoro in cui operano, in cui difficilmente verrebbe assunto uno psicologo, mentre è frequente che venga utilizzato un professionista già in organico con funzione di counsellor.Ripeto, il problema vero è la qualità della formazione; e poi la correttezza del dibattito. Non sono i divieti o l’esultanza per sentenze punitive che faranno crescere in qualità e in dignità la professione dello psicologo. Chi insegna nelle scuole di psicoterapia faccia un esame di coscienza, prima di accusare i counsellor di incompetenza: non ne sono nate troppe? Non c’è stata troppa facilità nel riconoscerle? Dal mio osservatorio di anziana supervisore vedo, purtroppo, tanta superficialità e incompetenza…Preferisco un counsellor ben preparato, con una supervisione costante e attenta e l’obbligo di aggiornamento continuo, come imponiamo ai counsellor che escono da CHANGE, a disinvolti psicoterapeuti che sfornano garruli e convinti le loro pensate sui “processi mentali dell’oggetto indagato”, convinti che basti l’iscrizione all’albo per dare credibilità e verità alle loro affermazioni sui suddetti processi mentali.In conclusione, grazie a Calvi per le sue precisazioni, ma per favore leggete TUTTO quello che dice. E poi, cerchiamo di intervenire sulla qualità delle professioni, e non sull’esclusione a priori di professioni che esistono da anni in tutto il mondo,e che non ha davvero senso immagibnare di poter escludere dal panorama italiano
    Silvana Quadrino Istituto CHANGE Torino

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  2. Restano aspetti non chiari: andrebbe cioè precisato quali sono gli schemi e strumenti a cui un counsellor potrebbe riferirsi e che siano presi non dalla psicologia. e quali gli obiettivi. Infatti che un orientamento ad una scelta scolastica possa essere fatta con l’aiuto di un counsellor preparato, non c’è dubbio. ma quali sono le difficoltà a decidersi…? è mentale o no? Non mi dichiaro da una parte o dall’altra, dico solo che il counsellor ha una difficoltà enorme a definirsi senza invadere. il fatto poi che la formazione dei psicologi e dei psicoterapeuti possa essere inadeguata, è un problema istituzionale che nulla ha a che fare con la questione dei counsellor. socialmente per fare lo psicologo occorrono garanzie dettate dallo stato, e chi non vi è dentro e fa cose tipiche dello psicologo è abusivo, stop! se c’è un problema di buona formazione questo non va suscitato in antagonismo ai counsellor, della serie “meglio un buon counsellor che un pessimo psicologo o psicoterapeuta”, proprio perchè, in teoria, dovrebbero fare cose diverse.
    per il bene dei counsellor, credo utile una loro migliore definizione in Italia, che chiarifichi lo spazio dell’intervento. Sono vicedirettore di un centro di formazione per counsellor, e lotto continuamente con i corsisti perchè non caschino nel trucco di fare i piccoli psicologi, memore di una pessima esperienza di una formazione al counselling gestaltico fatta a Milano, dove, onestamente, si insegnava di fatto a fare psicoterapia.

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  3. Volevo ringraziare Nicola e l’avvocato per quanto state facendo per la professione di noi psicologi.Ci si può iscrivere a qualche associazione a Roma per darvi una mano?
    D.ssa Serenella Scaramuzzo
    Il Dr.Piccinini ha già la mia Mail

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  4. Di contro, si potrebbe dire che lo scorso 18 marzo il Tribunale penale di Lucca ha assolto con formula piena – perché il fatto non sussiste – due counselor rinviati a giudizio per esercizio abusivo della professione di psicologo. Il rinvio era avvenuto a seguito dell’esposto presentato dall’Ordine degli psicologi della Toscana. A breve avremo le motivazioni.

    Si potrebbe inoltre dire che Abela non esercitava affatto il counseling, ma la naturopatia. E che il procedimento riguardava anche un uso non autorizzato dei loghi e dei marchi dell’Università di Bologna, la somministrazione di test, l’attività di diagnosi (unica vera riserva di Legge, insieme ai test, che la psicologia ha ottenuto fino ad oggi nella aule penali).

    Si potrebbe inoltre dire che spesso, professionisti non preparati adottano il termine counseling in quanto questo è attualmente non regolamentato, e dunque con l’intento palese di pararsi le spalle. Benché di fatto non esercitino il counseling.

    Si potrebbe inoltre far riferimento all’altra sentenza di condanna (Tribunale di Milano) a carico di un counselor. Peccato che anche in quel caso l’imputato non fosse un “vero” counselor, ma un quasi-psicologo (ora che scrivo regolarmente iscritto all’Ordine) che nell’attesa della laurea e dell’iscrizione all’Ordine esercitava abusivamente utilizzando la dicitura “counseling” (con la connivenza di un collega psicoterapeuta, peraltro…).

    Si potrebbe inoltre dire che l’unica altra sentenza conosciuta sul counseling (oltre a quella di Lucca) mossa contro due counselor da parte dell’Ordine degli psicologi della Sicilia, è stata un’altra batosta per l’Ordine. L’ennesima.

    Insomma, sì, l’intervista è sicuramente una “bomba”, ma più nel senso di come lo intendiamo noi toscani…

    Post a Reply
  5. Caro Valleri

    la Sentenza Abela ha grandi potenzialità, ma l’adozione degli spunti che offre è questione di volontà politica dei vari Ordini Regionali.
    Sinora gli Ordini si sono impegnati in sterili battaglie legali sull’art.21, e giustamente hanno preso sberle. E sinceramente non comprendo se non ci arrivano… o non vogliono appositamente arrivarci… per chi ha orecchie per intendere…

    Come anche tu sai, nella paludosa cesta dei counselor si annida di tutto e di più, e ciò va a danno di tutti. Necessita che assieme si faccia chiarezza, a tutela di entrambi i profili professionali.
    Il problema tuttavia è che quando tocchi queste cose scatta la cortina fumogena di chi nella nebbia sviluppa business. E se non teniamo conto di questo aspetto non arriveremo mai a soluzioni adeguate

    Comunque sia, vedremo quale senso ha questa “bomba”

    Voi state lavorando, ed anche noi stiamo lavorando.

    Buon lavoro
    Nicola Piccinini

    Post a Reply
  6. Caro Nicola,

    è evidente che nella paludosa cesta dei counselor si annida di tutto e di più. Su questo siamo totalmente in sintonia. Paradossalmente nella cesta in questione si era annidato anche il quasi-psicologo (con la connivenza dello psicoterapeuta, così come la naturopata dell’altro processo di Milano era connivente con il marito medico).

    Però non puoi colpevolizzare chi seriamente si occupa di counseling, se il legislatore non si interessa a noi… Non siamo mica noi che non vogliamo avere regole e confini certi! Anzi, per ovviare a questo ci siamo auto-regolamentati. Si può obiettare e discutere se bene o male, ma non puoi non riconoscerci la serietà e la buona volontà di fare le cose per bene.

    Il vero business del counseling ruota attorno alla formazione (come sai bene): non è un caso se AssoCounseling (a differenza delle altre associazioni) non “associa” scuole, ma “accredita” percorsi formativi.

    Sai qual è la verità? Nella maggior parte della altre associazioni sono le scuole a fare il bello e il cattivo tempo, ecco perché non si riesce ad innalzare gli standard. Da noi fortunatamente questo problema non c’è: o le scuole si adeguano ai nostri standard o sono fuori.

    In questo periodo stiamo faticosamente cercando di avere una rappresentanza presso l’associazione europea di counseling. Tutto ruota attorno agli standard formativi. Sai quali sono le associazioni di counseling che si sono tirate indietro? Quelle che hanno più scuole associate, perché senza mezzi termini hanno spiegato di non poter “costringere” le loro scuole ad adeguarsi.

    E, aggiungo io, se l’avessero fatto probabilmente avrebbero perso affiliazioni e dunque soldi.

    Mi domando: si può seriamente ragionare di counseling tra persone civili? Magari evitando che siano i giudici di volta in volta a stabilire cosa è counseling e cosa è psicologia?

    Altrimenti (e anche questo lo sai bene) voi psicologi vi ritrovate sentenze come quelle della Giudice Gatto…

    Sicuramente in me trovi un interlocutore serio e affidabile, che non ha interessi occulti da proteggere.

    Ciao,

    Tommaso

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