A Milano un progetto di educazione alimentare nelle scuole. Dieta dei teenager, conta la classe sociale.

A Milano un progetto di educazione alimentare nelle scuole. Dieta dei teenager, conta la classe sociale. L’obesità fra i meno abbienti dipende dalla scarsa cultura più che dalla minore disponibilità economica.

10 ottobre 2009 (ultima modifica: 20 ottobre 2009)

Corriere della Sera

Elena Meli

MILANO – Chi ha la fortuna di nascere in una famiglia «bene» non dovrà preoccuparsi troppo di diete e cicce da smaltire durante la giovinezza. Perché nei ceti medio-alti i ragazzi sono «naturalmente» più propensi ad alimentarsi bene e a considerare importante la forma fisica. Nelle classi sociali inferiori non è così, e il motivo lo sintetizza Wendy Willis, ricercatrice dell’università dell’Hertfordshire che ha condotto l’indagine: «In queste famiglie c’è la preoccupazione del futuro, c’è insicurezza sociale ed economica: i bisogni pressanti sono ben altri, così la forma fisica passa in secondo piano».

INDAGINE La ricerca, promossa dall’Economic and Social Research Council anglosassone, ha indagato famiglie di ceto sociale medio-alto andando a misurare peso, alimentazione e stato di salute dei figli teenager e valutandoli anche attraverso questionari per capirne attitudini, pensieri, preoccupazioni. Lo stesso è stato fatto su adolescenti di ceto sociale basso, per poi confrontare i dati ottenuti nei due gruppi. Il risultato racconta di una classe medio-alta in cui i genitori pensano al futuro dei propri figli cercando di educarli al gusto per il buon cibo e incitandoli a stare in forma per essere adulti «migliori»: nelle famiglie più agiate è infatti radicata la convinzione che una scarsa forma fisica comporti un peggior stato di salute da adulti e riduca la fiducia in se stessi dei ragazzi, diminuendo anche la possibilità di approfittare delle buone occasioni che la vita offrirà loro. Tutt’altra musica nelle famiglie dove arrivare a fine mese è assai più dura: mamma e papà vorrebbero ugualmente migliorare dieta e stile di vita dei loro figli, ma spesso non hanno le capacità sociali e culturali per riuscirci. E a volte, fatto non secondario, non hanno soldi a sufficienza per farlo. «Sappiamo bene che molti cibi a basso prezzo hanno una scarsa qualità nutrizionale – osserva Michele Carruba, responsabile del Centro di Studio e Ricerca sull’Obesità dell’università di Milano -. Ma questo non giustifica completamente il fatto, già ampiamente noto, che l’obesità sia più frequente negli strati sociali inferiori. Questo studio lo conferma, indicando che più ancora dei soldi è il contesto culturale a fare la differenza: spesso mancanza di cultura alimentare e povertà vanno a braccetto, ma l’educazione carente fa più danni della mancanza di denaro». Come dire, se si hanno dieci euro da spendere per il cibo non è detto che si debbano per forza buttare in schifezze.

CONFRONTOQualche segnale che non tutto sia perduto per i meno abbienti arriva anche dagli altri risultati raccolti dall’indagine inglese: la Willis segnala ad esempio che i ragazzi che provengono da un ceto sociale basso spesso sentono di più la responsabilità e la necessità dell’indipendenza, anche in tema di scelte alimentari e di salute; gli adolescenti cresciuti nella bambagia, invece, hanno meno forza di volontà proprio perché i loro genitori controllano molto più da vicino la loro alimentazione e lo sport che praticano. D’altro canto, a leggere fra le righe pare di vedere mamme borghesi che non sopportano l’idea di una figlia non abbastanza snella o curata: la Willis racconta infatti che i genitori di classe medio-alta considerano un imperativo assicurarsi che i loro figli abbiano una taglia «accettabile» e un fisico gradevole. E dal canto loro gli adolescenti-bene ritengono che l’obesità sia il marchio della pigrizia e dell’incapacità di sottrarsi di fronte a cibi poco sani e ipercalorici. «I ragazzi si modellano sulle aspettative dei genitori in materia di comportamenti – dice la Willis -. Di tutto questo occorre tener conto se si vogliono mettere in atto politiche realistiche e incisive per far si che finalmente si riducano le disuguaglianze nell’alimentazione e nello stato di salute, tuttora esistenti fra le diverse classi sociali».

EDUCAZIONECome fare per insegnare anche ai ragazzi dei ceti meno abbienti l’importanza dell’alimentazione sana? Con l’educazione, dice Carruba: «Non è un caso che l’obesità si associ a un livello di scolarità inferiore: occorre cultura, consapevolezza, educazione per capire davvero quanto e perché conta mangiare sano, e soprattutto per modificare i propri comportamenti di conseguenza. L’educazione si insegna fin da piccolissimi: a Milano, ad esempio, grazie al progetto “Più frutta e più verdura” di Milano Ristorazione i bimbi delle scuole cominciano a mangiare meglio – racconta l’esperto -. Seguiamo da tempo circa 80 mila bambini e ci siamo accorti che la maggioranza non mangia frutta e verdura: succede perché in famiglia non sono stati abituati a farlo, così abbiamo messo in piedi un progetto educativo che insegnasse ai bimbi a conoscere e amare i vegetali. Ad esempio, abbiamo ideato una sorta di “laboratorio del gusto” attraverso cui spiegare ai piccoli che un ortaggio cucinato in un modo o nell’altro non ha lo stesso sapore: così il bimbo non lo rifiuta più a priori, ma impara che potrebbe chiedere alla mamma di prepararlo in modo diverso perché gli sia gradito. I risultati finora sono stati strabilianti: il 75 per cento dei piccoli che non mangiavano frutta e verdura ha cominciato a farlo, chi già ne consumava un po’ ora ne mangia il 20-30 per cento in più».

AMBIENTE Tutta questione di educazione, quindi, e meno del previsto colpa di disponibilità economiche scarse: «Sicuramente avere soldi da spendere per mangiare bene conta, ma come dimostra l’indagine inglese la cultura della famiglia ha un ruolo tutt’altro che secondario. Allo stesso modo è importante l’ambiente in cui si vive: è accertato, ad esempio, che in contesti rurali l’obesità è ancora più diffusa che in città – spiega Carruba -. I ragazzi di città hanno una vita sociale più intensa, sono più esposti ai canoni estetici di magrezza che vanno per la maggiore e quindi tendono a tenersi più sotto controllo. A volte pure troppo, o in modo sbagliato: il problema opposto all’obesità, l’anoressia, non a caso è più frequente in ragazze delle classi sociali benestanti. A riprova che un rapporto sano col cibo non è questione solo di portafoglio, ma soprattutto di educazione e cultura alimentare».

 

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