In Europa uno psicologo su tre è italiano

In Europa, è italiano uno psicologo su tre (clicca per vedere il Video Servizio a cura di Zoom.it)

COMMENTO REDAZIONALE A CURA DEL DR. LUIGI D’ELIA

Rilanciamo questo servizio giornalistico, curato da Zoom.in, dell’agenzia ADNKronos, che informa della difficile situazione della professione di psicologo in Italia.
Corretta l’informazione, drammatiche le cifre, anche se in un servizio di 2 minuti non è possibile naturalmente attendersi analisi più approfondite sui dati divulgati.

E dunque si diceva nel servizio: 70.000 gli psicologi iscritti all’albo su 200.000 complessivi europei.
Si accenna, sempre nel servizio, al sottoutilizzo degli psicologi nei comparti pubblici e privati; si accenna anche ad alcune delle potenzialità d’impiego delle competenze e dei servizi degli psicologi; si accenna all’ipersaturazione del mercato del lavoro, specialmente in ambito clinico e psicoterapeutico.

Ma a questi dati occorre aggiungerne altri, altrettanto allarmanti, che rivelano una totale e originaria assenza di programmazione politico-professionale più e più volte segnalata negli ultimi anni (vedi qui).

Si pensi ad esempio al numero di scuole di formazione in psicoterapia (settore nel quale, s’è detto, vi è da anni ipersaturazione del mercato del lavoro), 338 l’ultimo dato (vedi qui), accreditate dalla Commissione per la valutazione dell’idoneità delle scuole di formazione in psicoterapia del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca (MIUR): più della metà di tutte le scuole europee.
Ebbene in tale commissione ministeriale nei diversi avvicendamenti degli ultimi 15 anni, operano da sempre direttori di scuole, docenti universitari (anch’essi docenti nelle scuole private), rappresentanti degli ordini degli psicologi e dei medici, rappresentanti del ministero, e ovviamente a causa di tutte queste “aderenze” nulla si è modificato in termini di permessi facili, mancanza di controlli e verifiche di qualità (e non ci riferiamo solo a quelli burocratici), mancanza di una seria programmazione.
Gli interessi economici sottostanti hanno sempre prevalso sulle valutazioni di opportunità con il risultato che i laureati in psicologia sono diventati un buon affare per tutti, tranne che per i cittadini. Un dato su tutti: il numero di ricettività delle scuole di psicoterapia è praticamente identico con quello annuo dei neolaureati: 6.700 circa. E qui il cerchio si chiude.

Occorre aggiungere che a monte di questo scenario, da quando esiste la legge istitutiva 56/89, poco o nulla s’è fatto per far conoscere ed implementare le enormi potenzialità della professione di psicologo. Volendo spingere (per i motivi di cui sopra) la rappresentazione monocorde legata alla malattia e alla terapia e all’ambito esclusivo della sanità, si sono trascurati tutti gli altri, innumerevoli, campi applicativi dello psicologo, di fatto inutilizzati: dalla scuola (l’Italia è uno dei pochi paesi occidentali che non prevede lo psicologo scolastico, nonostante 14 proposte di legge presentate in Parlamento), ai servizi sociali, ai servizi socio-sanitari, ai settori legati alla prevenzione, alla promozione della salute e alla prevenzione (anche nei luoghi di lavoro), allo sport, alla finanza, alle organizzazioni, al web, agli ospedali, etc.

Risultato: la psicologia professionale è assolutamente sottoutilizzata nella società, e persino nei servizi pubblici, laddove sarebbe un diritto dell’utenza, spesso non vengono garantite le prestazioni dello psicologo, talora dirottate ad interventi solo farmacologici o psichiatrici; gli psicologi non vengono assunti, né le convenzioni con i privati attivate.

Altro storico punto dolente è il totale scollamento tra mondo accademico (coi suoi 26 corsi di laurea in Psicologia) e mondo della professione. La regolazione degli accessi in ingresso, in itinere ed in uscita non è mai stata realizzata dalle parti in causa.
Se ci riferiamo alle ultime ricerche di Almalaurea* ed altre ancora, esse fotografano una professione con elevatissimi livelli di precarietà, sotto-occupazione e disoccupazione (dei 70.000 iscritti all’Ordine, solo 31.000 sono iscritti alla cassa mutua professionale – cioè coloro che esercitano a tutti gli effetti la professione – ed il loro reddito medio è di circa 15.000 euro – dati 2006).
Gli studenti spesso sono del tutto disinformati di ciò che li aspetta dopo, ed i neolaureati si sentono spesso sprovvisti di competenze primarie e specialistiche, per non parlare di quelle abilitanti per affrontare le sfide della professione. Per cui si sfornano formandi a vita che si sentono destinati a specializzarsi nell’unica tipologia (lo psicoterapeuta) disponibile che il mercato della formazione ha pensato per loro, trovandosi spesso con un bagaglio di competenze non sempre all’altezza delle aspettative (la quantità è nemica della qualità), oltre naturalmente ad un disallineamento con il mercato del lavoro, ma anche coi bisogni e le domande sociali (più orientati verso una domanda di benessere).

Questo, in estrema sintesi, il circolo vizioso che presiede a questa inflazione tutta italiana e alla mancata programmazione di una professione che meriterebbe ben altre sorti.

* Espresso 4 Giugno 2009, pag. 81, la laurea in Psicologia risulta all’ultimo posto tra tutte le altre lauree come percentuale di impiego ad un anno dalla laurea specialistica e come valutazione di utilità delle competenze apprese.

Gabriella Alleruzzo

Author: Gabriella Alleruzzo

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