Donna Moderna, gli attacchi di panico sono una malattia del cervello?

SEGNALAZIONE: Gli attacchi di panico sono una malattia neurologica

Secondo un articolo pubblicato sul settimanale “Donna moderna” del 1° aprile 2009 gli attacchi di panico sarebbero una malattia neurologica. La terapia è dunque prevalentemente basata sulla somministrazione di psicofarmaci per un periodo di circa due anni, affiancata, al massimo, da una psicoterapia rigorosamente cognitivo-comportamentale, il cui unico obiettivo dovrebbe essere quello di insegnare alla persona, come se fosse una macchina, delle tecniche per gestire l’attacco in attesa che i farmaci facciano il loro effetto.

Lettera firmata.

COMMENTO REDAZIONALE A CURA DELLA DR.SSA PIERA SERRA

Nome testata: Donna Moderna

data di pubblicazione: 1° aprile 2009

autore: Antonella Trentin

Si tratta di un articolo in cui rileviamo tratti comuni a molti altri prodotti mediatici concernenti la psiche, tratti che rappresentano una tendenza sempre più diffusa: i fatti psicologici vengono trattati come fossero fatti cerebrali tout court. Anzi, viene dapprima tratteggiata la definizione del disturbo psichico come disfunzione cerebrale e poi tale definizione viene allegramente miscelata con l’affermazione di una patogenesi psicologica. Esaminiamo alcuni passaggi:

  1. Viene focalizzata una sofferenza psichica: nell’articolo in questione si tratta dell’attacco di panico. Si sottolinea che è un problema comune a tanti, citando statistiche oppure facendo riferimento, come in questo caso, a personaggi famosi che hanno parlato in pubblico di questa loro sofferenza;

  2. Si intervista un neurologo o uno psichiatra. Poiché oggi la tendenza dominante in tali discipline è attribuire l’origine dei disturbi psichici a disfunzioni collocate entro la pelle dell’individuo che ne soffre, l’intervistato dà in genere una definizione del disturbo come malattiae fa riferimento a una patogenesi nei termini di una disfunzione del cervello e del sistema ormonale. In alcuni casi come in questo troviamo un riferimento alle tecnologie di neuroimmagine come strumento che consente di rilevare la patologia: “Che cos’è l’attacco di panico «È un’autentica malattia che ho immortalato per primo con una risonanza magnetica su un paziente durante una crisi» spiega Rosario Sorrentino, neurologo…”. Per chi sia addetto ai lavori è ovvio che il ricercatore non ha visto un attacco di panico, ma il lettore profano può ben dedurre dalla frase di cui sopra che sia stata ottenuta una sorta di immagine cerebrale dell’attacco di panico. Su questo genere di equivoci consigliamo la lettura davvero illuminante di Neuro-maniadi Legrenzi e Umiltà, editore Il Mulino: scritto da un neuroscienziato e da uno psicologo cognitivista, il testo offre sia la spiegazione dei limiti degli esiti dell’applicazione di queste tecnologie in campo psicologico, sia l’analisi degli effetti sul pubblico di una certa divulgazione scientifica che fa leva sulla pregnanza percettiva delle immagini visive e sulla rassicurazione e semplificazione offerta dalle “certezze” scientifiche;

  3. Un’altra fonte di equivoco è elencare i sintomi fisici e psicologici ponendoli in una stessa sequenza quasi che fossero fenomeni della stessa natura. È vero che anche nel DSM IV i sintomi sono così allineati, e che è perciò ben comprensibile lo scrupolo del giornalista nel volerne dare il resoconto, ma è anche vero che altro è la semplificazione necessaria e utile in un manuale per professionisti, altro è riproporla al pubblico di non esperti: per questi ultimi può significare che tutti questi segni della sindrome appartengano alla stessa categoria logica;

  4. Cause? Viene regolarmente segnalata innanzitutto la predisposizione genetica anche per le patologie in cui è un fattore di scarso peso. Se poi si fa come in questo caso riferimento a fattori esogeni, essi appaiono cause scatenanti di natura psicosociale: si ignora la complessità delle relazioni interpersonali per citare, invece, eventi traumatici o stressogeni quali separazioni, tensioni nel lavoro, ansia da prestazione ecc.;

  5. Rimedi? La raccomandazione che si sente ripetere in tutti i media per quasi tutti i disturbi mentali è: iniziare al più presto una terapia farmacologica. “«L’essenziale è rivolgersi a uno psichiatra», spiega Tonino Catelmi, docente di Psicologia all’Università Regina Apostolorum di Roma. «Bisogna accettare di assumere medicine per uno-due anni»” Si sottintende che sia comprovato in termini scientifici il come perché e quanto funzionano gli antidepressivi: «servono farmaci che potenziano gli effetti della serotonina, il neuroitrasmettitore che controlla il sistema emotivo. Grazie ai serotoninergici gli attacchi di panico scompaiono»”;

  6. E, contestualmente, il neurologo o lo psichiatra raccomanda anche una psicoterapia dando però di essa molto spesso un’immagine riduttiva. Innanzitutto il consiglio è regolarmente limitato alla psicoterapia cognitivo-comportamentale: vengono ignorate altre psicoterapie altrettanto valide. Oggi la terapia cognitivo-comportamentale sta riscuotendo i più ampi consensi in diversi ambiti psichiatrici: è quella tra le psicoterapie accreditate che più può conciliarsi sia con ipotesi patogenetiche psicologiche, sia con una visione organicista e forse proprio per questo su di essa vengono compiuti i più numerosi studi dell’efficacia, tanto che ormai sono numerose le psicopatologie per le quali si può affermare che solo di questo tipo di psicoterapia è stata provata sperimentalmente l’efficacia; In questo caso poi l’esperto specifica che dovrà essere “breve”, mentre è ben noto che la durata di ogni psicoterapia viene concordata tra terapeuta e cliente in base alla diagnosi e al contratto.L’articolo si conclude con l’affermazione che il panico è alimentato da meccanismi profondi (si cita il caso di una signora i cui attacchi di panico avevano origine nel conflitto tra bisogno di protezione e desiderio di libertà, conflitto alimentato dalla relazione sentimentale che stava vivendo). Non viene nominata la psiche, ma è evidentemente ad essa che si fa riferimento. Tale affermazione finale è in clamoroso contrasto con tutte le affermazioni precedenti, ma vale a conciliare l’articolo con le convinzioni del lettore comune: infatti non solo la psicologia ma anche il buon senso comune conduce a ritenere che se una persona sana pensa di stare per morire è perché soffre di qualche disturbo psicologico profondo.

  7. L’articolo si conclude con l’affermazione che il panico è alimentato da meccanismi profondi (si cita il caso di una signora i cui attacchi di panico avevano origine nel conflitto tra bisogno di protezione e desiderio di libertà, conflitto alimentato dalla relazione sentimentale che stava vivendo). Non viene nominata la psiche, ma è evidentemente ad essa che si fa riferimento. Tale affermazione finale è in clamoroso contrasto con tutte le affermazioni precedenti, ma vale a conciliare l’articolo con le convinzioni del lettore comune: infatti non solo la psicologia ma anche il buon senso comune conduce a ritenere che se una persona sana pensa di stare per morire è perché soffre di qualche disturbo psicologico profondo.

Fabio Fareri

Author: Fabio Fareri

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14 Comments

  1. C’è un modo ancor più efficace di rispondere al dilagare del neurobiologismo: pubblicare i risultati di 100 anni di psicoanalisi e derivati; il guaio è che…..non esistono risultati!

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  2. è un sollievo per un giovane psicologo come me, verso la fine della specializzazione di indirizzo psicoanalitico, sapere che qualcuno si ribella all’imperante riduzionismo biologicista!
    ogni uomo non può essere ridotto al semplice effetto di meccanismi di qualsiasi natura siano.
    una cosa che ho imparato è che il solo parlare di psicoanalisi e di inconscio per me necessita di rigore e rispetto.

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  3. “Un’altra fonte di equivoco è elencare i sintomi fisici e psicologici ponendoli in una stessa sequenza quasi che fossero fenomeni della stessa natura”

    Io non credo esista alcun equivoco. Per parlare di equivoco si dovrebbe poter fornire dati chiari a sostegno dell’ipotesi che fenomeni fisici e psichici siano effettivamente “dissociabili”; se chi sostiene il contrario – tra cui alcuni dei massimi genetisti italiani e la più parte delle correnti neuroscientifiche – fornisce di solito dati sperimentali, oltre che solide riflessioni teoriche, chi si oppone a questa concezione ha di solito da offrire poco più che filosofeggiamenti più o meno interessanti attinti da questo o quel capostipite di questa o quella tra la miriade di scuole psicoanalitiche quando non addirittura filosofiche tout court.
    La mia modesta opinione è che questa iniziativa dell’osservatorio, di cui c’era senz’altro bisogno, farebbe meglio ad occuparsi più dei vari ciarlatani e dei tanti non-idonei che hanno la pretesa di psicoanalizzare, piuttosto che imbastire guerre ideologiche contro la psicobiologia o le neuroscienze sui generis, perchè a volte date proprio l’impressione di non volervi aggiornare.

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    • La PNEI illustra scientificamente le interrelazioni tra i diversi sistemi del corpo e della mente, dimostrando la complessità del funzionamento dell’essere umano nel suo complesso. Non con l’analisi che separa si può giungere ad una comprensione soddisfacente delle cose del mondo, e dell’uomo.
      @Andrea,

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      • @marco,

        Le scienze solitamente lavorano isolando piccoli aspetti, e si accontentano di piccoli passi in avanti per la comprensione di fenomeni molto complessi; nell’ambito delle scienze per così dire classiche, però, integrare nozioni di ad esempio fisica e chimica è più facile rispetto a quelle discipline che studiano l’uomo (non so: psicologia sociale e psicobiologia), in parte perchè le discipline che studiano l’uomo al di fuori delle condizioni riduttive di laboratorio, non forniscono quasi mai risultati chiari e inequivocabili. Non so se la PNEI, o le reti neurali raggiungeranno lo scopo di spiegare la complessità e l’interazione. E’ possibile.
        Tuttavia questo costante astio nei confronti del “riduzionismo”, delle “semplificazioni” e via dicendo non mi trova totalmente d’accordo. Può essere un approccio limitante ma ha dato risultati; gli approcci iper-complessi che cercano di spiegare tutto o che si rifanno a 4000 teorie diverse o che si danno lo scopo di descrivere la natura umana nella loro interezza, di solito fanno fatica ad andare oltre il livello dell’ipotesi o della mera speculazione.

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  4. La PNEI illustra scientificamente le interrelazioni tra i diversi sistemi del corpo e della mente, dimostrando la complessità del funzionamento dell’essere umano nel suo complesso. Non con l’analisi che separa si può giungere ad una comprensione soddisfacente delle cose del mondo, e dell’uomo.

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  5. Gli attacchi di panico come malattia neurologica? Non mi stupisce che vengano pubblicati articoli di questo genere, tali da creare confusione ed informazione scorretta nell’utenza. Le case farmaceutiche spingono ogni giorno di più affinchè i pazienti si affidino al “farmaco magico” per poter risolvere in brevissimo tempo i sintomi, senza avere troppi problemi. Inoltre, la nostra epoca, sempre più centrata sul tempo reale e sul consumismo, ci spinge in questo senso.
    E’ vero che in alcuni casi (ma non tutti!) il farmaco ansiolitico può aiutare ad affrontare momenti di intensa paura, in realtà non sempre questo è vero: sono solamente i sintomi ciò che preoccupano? L’approcciare una psicoterapia in un momento critico quale quello prevalentemente “panico” può diventare un’occasione per conoscere e comprendere l’origine di questo problema ed entrare in contatto con se stessi. Come sappiamo dalla psicoanalisi, la risoluzione del sintomo sarà non il primo obiettivo (al contrario dell’uso di psicofarmaci) ma una conseguenza secondaria a più profondi e proficui meccanismi di analisi di sé. La risoluzione del sintomo tramite psicoterapia sarà duratura e significativa, al contrario della mera cancellazione della sintomatologia che spesso, anzichè sparire, si trasforma in altre modalità di sofferenza.

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  6. Sembra incredibile che delle persone competenti ed aggiornate non abbiano ancora afferrato che il corpo e la psiche costituiscono un’unità inscindibile. E’ evidente ormai a chiunque che processi di natura psicologica influenzano la struttura neuronale e modulano le risposte neurochimiche, esattamente allo stesso modo in cui modificazioni nella performance dell’encefalo determinano vissuti psicologici corrispondenti.

    L’attacco di panico non fa eccezione: è un’espressione complessa di determinanti di origine bio-psico-sociale, e pertanto va trattato considerando attentamente queste componenti. All’inizio del trattamento spesso il farmaco può essere d’aiuto, ed anzi rappresentare un presidio fondamentale, in grado di sottrarre il paziente ad un vissuto di fragilità e sofferenza che protraendosi rischierebbe di cronicizzarsi.

    In seguito, un percorso di psicoterapia in grado di affrontare le ragioni di natura psicologica che sottendono al manifestarsi degli attacchi di panico o che, detta altrimenti, hanno condotto la persona (portatrice di una vulnerabilità specifica) oltre la soglia di ego-sostenibilità dei propri conflitti interiori, è senz’altro necessario per aiutare chi ha vissuto quest’esperienza a ricostruirne il senso, ad acquisire una maggiore consapevolezza di sé, e con essa una maggiore capacità di affrontare la propria esistenza.

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  7. Credo sia necessario considerare che l’influenzamento interpersonale possa modulare l’esperienza emotiva-subcorticale tanto quanto un farmaco se non meglio (in modo più specifico).
    Ormai è dimostrato che la psicoterapia modifica la struttura e quindi il metabolismo cerebrale (e non bisognava essere dei geni per intuirlo, comunque dimostrarlo sperimentalmente pone la parola fine al primato solitario del farmaco come azione biologica).
    Qualsiasi mamma sufficientemente buona è in grado di calmare un neonato che piange d’angoscia di morte(data la sua estrema vulnerabilità psico-biologica) e le “coccole della mamma” modificano non solo l’immagine del metabolismo cerebrale ma altri parametri psico-fisiologici come la frequenza respiratoria, la sudorazione, la frequenza cardiaca ecc… (ricorda qualcosa?…)
    Le persone soffrono di attacchi di panico quando non c’è nessuno con loro che possa modulare l’angoscia che provano.
    Un sostegno psicologico adeguato, nella mia esperienza può far recedere rapidamente il sintomo se la persona che ne soffre si rivolge allo psicologo o allo psichiatra in grado di tranquillizzarla e aiutarla a comprendere meglio e affrontare le sue paure (con qualsiasi tipo di colloquio psicoterapico).
    Certo è molto più facile se questo avviene nelle prime settimane e se si ha l’accortezza di non fare del terrorismo psicologico “fissando precocemente la malattia” prospettando “la lunga cura di un disturbo inspiegabilmente basato su una tara genetica” cosa che secondo me non può che spaventare ulteriormente e non mi sembra neanche serio da un punto di vista scientifico ma solo uno slogan.
    Credo che questo atteggiamento assunto da parte di alcuni addetti ai lavori mascheri il sentimento d’impotenza che essi provano nel non saper sostenere la difficoltà complessa del cambiamento, la resistenza che le persone e le famiglie oltre che in senso più generale le società fanno. Quando ci si sente impotenti sul fronte del sociale ci si dà velocemente per sconfitti, (la situazione sociale non la si può cambiare) sul fronte psicologico pure ( se uno ha la testa dura e non vuole cambiare…) e allora almeno si prova a intervenire direttamente sui meccanismi neurologici recuperando un po’ efficacia. Secondo me molto spesso questo pregiudizio sulla debolezza degli interventi psicologici e interpersonali richiama all’attenzione quanto giochino un ruolo importante le competenze e le convinzioni di chi propone un trattamento: ad espempio: se il clinico ritiene che la società sia “immutabile” e che anche le persone “non cambiano mai” allora la tentazione di proporre rimedi “hard” direttamente nel cervello aumenta.
    Io credo che questa sia una visione a volte tristemente realistica ma non valida per tutti. Certamente esistono situazioni sociali di vita insostenibili e molto resistenti al cambiamento ed esistono persone con scarse risorse psicologiche e resistenti/spaventate di qualsiasi rapporto, oppositive, arroccate. In questi casi anche io penso che la farmacoterapia sia la prima scelta per alleviare le sofferenze di queste persone e cercare in qualche modo di “sbloccare” la situazione ma non estenderei questo ragionamento alla popolazione generale.
    Credo che nella nostra società molte persone abbiano ancora il desiderio e la capacità di consultare un professionista che li rassicuri e li sostenga in un percorso di cura e di ricerca di un modo diverso per stare bene e che hanno la possibilità di risolvere i problemi psicologici con le loro risorse se correttamente sostenuti.
    Anche nel mio caso le mie convinzioni personali e le mia esperienza influenzano la mia opinione sulla appropriatezza delle cure.
    dp

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  8. Non mi stupisce trovare articoli di questo tipo…
    è una diatriba che và avanti da anni… fattori biologici VS fattori psicologici!!! l’integrazione ne è la soluzione!!!

    personalmente credo che un buon sostegno psicologico sia indispensabile ho avuto casi che con pochi colloqui hanno visto completamente scomparire i sintomi ed altri che necessitavano di un affiancamento iniziale farmacologico per tamponare l’angoscia che impediva anche “il minimo funzionamento vitale” dell’utente…

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  9. Riguardo la mia esperienza con persone venute da me in crisi acuta di attacchi di panico posso dire che una buon sostegno terapeutico con tecniche di rilassamento guidato, può far regredire gli attacchi fino a farli scomparire anche senza l’assunzione di psicofarmaci.

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  10. La psicanalisi ed il supporto psicologico classico hanno lo stesso effetto di una chiacchiarata con un amico inteligente.
    Non si guarisce dagli attacchi di panico blaterando per anni sul proprio passato ne sui rapporti conflittuali con i propri genitori.
    L’unico effetto certo dell’analisi e la presa di coscienza di quello che ti sta avvenendo cosa che può essere fatta in maniera più scientifica e immediata.
    Gli psicofarmaci anche se hanno fatto passi da gigante non saranno risolutivi ma qualcosa fanno, e costano molto meno di parlare dei miei genitori a 40 € l’ora.
    Cosa che difatto nell’esperienza personale e di molti amici non risolve nulla!

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  11. Andrea, permettimi di dire la mia.

    A mio parere c’è un errore logico nel ragionamento di tutti quelli che si schierano pro o contro il tal rimedio o la tal figura professionale. L’errore sta proprio nel modo di impostare il problema: non si può cercare “la” soluzione per gli attacchi di panico, come se ci fosse un’unica soluzione buona per tutti i casi e per tutte le persone che sono al mondo.

    In realtà ci sono tante possibili soluzioni perché tanti possono essere gli aspetti che caratterizzano la condizione di chi ha questo problema, e molto diverse soprattutto possono essere le persone che ci stanno dietro.
    Dunque la diatriba “la soluzione è questa – no, non serve a niente, la soluzione è quest’altra” non potrà mai aver fine perché secondo me è mal posta.

    Un modo migliore per affrontare la questione è, sempre secondo me, il seguente: per questa persona, con questo problema, con queste caratteristiche, con questa storia, cosa può essere utile?

    E’ ovvio che poi posso anche sbagliare la risposta, ma l’importante è partire considerando possibili tutte le strade, da quella medica a quella psicologica, senza farsi prendere dallo spirito del crociato per cui “abbasso la psichiatria” o “abbasso la psicologia” o altro ancora.

    Questo è almeno il mio pensiero, e anche il mio modo di lavorare.

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