Oltre 3000 bambini “rapiti” alla famiglia da giudici e psicologi. Cronacaqui.it

SEGNALAZIONE

Ho letto questo articolo sull’allontanamento dei minori dalla famiglia:

http://www.cronacaqui.it/news/apri/21228
Già dal titolo utilizza uno dei peggiori stereotipi dei media sul settore “tutela minori”, quello dei bambini rapiti dagli operatori (in genere psicologi ed assistenti sociali).
L’articolo presenta il lavoro dei servizi, e parla esplicitamente più volte degli psicologi, come un’ingiusta persecuzione a danno delle famiglie, utilizzando informazioni parziali e scorrette.
Contiene una svalutazione palese del lavoro dello psicologo in un campo delicatissimo come è quello della tutela.

PARERE DEL DR. MARIO RUSSO

Quando si affrontano argomenti come quelli riportati nell’articolo “Oltre 3.000 bambini ‘rapiti’ alla famiglia da giudici e psicologi” la finalità di difendere l’immagine professionale della psicologia passa in secondo piano rispetto all’esigenza di salvaguardare le conquiste di tutela dei minori, che nel nostro Paese si sono faticosamente consolidate nella cultura sociale e nella pratica giuridica e professionale.

Come interpretare i dati statistici?

Una considerazione preliminare riguarda l’impostazione dell’articolo in questione.

Fin dal titolo, l’articolo presenta come un “fatto” rilevato indipendentemente il presunto fenomeno dell’allontanamento arbitrario dei minori dalla loro famiglia da parte di psicologi e giudici, riportando poi su tale fenomeno le opinioni e le proposte di esponenti politici e associazioni genitoriali. In realtà – come si evince da altre fonti giornalistiche apparse nei medesimi giorni – i presunti “fatti” e le opinioni relative sono contenuti nel “Manifesto” di un movimento associativo nato di recente a Torino la cui conferenza stampa di presentazione, tenuta assieme al gruppo consiliare di centro-destra della regione Piemonte, è stata dedicata al tema della sottrazione coatta dei bambini dalle famiglie d’origine.

In ogni caso, i dati da cui prendono avvio le considerazioni riportate dovrebbero essere tali da suggerire interpretazioni univoche. Al contrario, benché provenienti dall’Osservatorio regionale per l’infanzia, tali dati non sono affatto univoci rispetto alle conclusioni presentate e richiedono una accurata disaggregazione: infatti, si riferiscono genericamente a circa 3.500 minori che nel 2006 si trovano collocati in affido familiare (2.319) o in presidi della Regione Piemonte (1.779). Derivare da questo dato statistico l’esistenza di altrettanti allontanamenti coatti è quanto meno azzardato, poiché affidi familiari e inserimenti in presidi e comunità costituiscono esiti di differenti procedure giudiziarie o socio-assistenziali.

E’ necessario, in primo luogo, distinguere nell’ambito dei circa 3.500 casi evidenziati gli allontanamenti temporanei e finalizzati al ritorno nella famiglia d’origine (come per la quasi totalità degli affidi familiari e in buona parte degli inserimenti in presidi) da quelli definitivi; questi ultimi, propedeutici all’adottabilità del minore e che si collocano quindi al termine di una procedura giudiziaria complessa nella quale tutte le parti hanno avuto modo di essere rappresentate, anche in contraddittorio (legge n. 149/2001).

Inoltre, in assenza di ulteriori approfondimenti, neppure i 2.319 casi di affido familiare segnalati nell’articolo sono indicativi di altrettanti allontanamenti coatti del minore dalla famiglia d’origine, poiché tali affidi possono essere stati disposti anche con il consenso della famiglia stessa.

Affidi, allontanamenti e diritti dei minori

E’ necessario ricordare – anche per non indebolire questo importante istituto di tutela dell’infanzia introdotto dalla legge n. 184 del 1983 – che l’affido familiare, o a comunità di tipo familiare costituisce uno strumento rivolto precisamente a sostenere la famiglia d’origine, quando si trova in un condizione di difficoltà temporanea tale da rendere necessaria la presa in carico nell’ambito di un progetto psicosociale ed educativo.

Il lavoro svolto in più di venticinque anni ha fatto maturare molte riflessioni sulle esperienze realizzate, sia per i successi ottenuti che per le difficoltà incontrate. Nel 2001, con la legge n. 149, oltre a sancire che le condizioni di indigenza non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia, sono state introdotti criteri più precisi sulla durata dell’affido e sul ruolo che debbono svolgere i servizi sociali, proprio allo scopo di finalizzare sempre più l’affidamento di un minore alla prospettiva del suo ritorno nella famiglia d’origine.

In altri termini, l’affido familiare o, più in generale le attività di tutela dell’infanzia che impegnano da anni migliaia di operatori, centinaia di strutture assistenziali e giudiziarie, volontari e famiglie affidatarie rappresentano un fenomeno sociale e culturale che merita di essere guardato con rispetto, maggiormente conosciuto e valorizzato, allo scopo di costruire sulla base di queste esperienze modelli sempre più efficaci di tutela dei minori; mentre, al contrario, troppe volte risulta più facile puntare ad ottenere una presa immediata sull’opinione pubblica enfatizzando le eccezioni problematiche senza approfondirle in tutti i loro aspetti.

Valutazioni soggettive e oggettive

D’altra parte, non ha solidi fondamenti normativi o scientifici la distinzione – che l’articolo riprende dal “Manifesto” torinese – tra motivi “oggettivi” e valutazioni “soggettive” alla base dell’allontanamento dei minori dalla famiglia d’origine.

Infatti, è la stessa Costituzione (art. 30) a prevedere l’ipotesi di una eventuale “incapacità” dei genitori nell’espletare il diritto/dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, prevedendo che in questi casi lo stato e i suoi organi intervengano per garantire al minore il pieno sviluppo della sua personalità.

In altri termini, nel nostro ordinamento, l’orizzonte di riferimento è sempre rappresentato dal “superiore interesse del minore”; principio affermato tra l’altro anche nelle Dichiarazioni internazionali in materia di diritti dell’infanzia.

Come è noto, il codice civile, nell’ambito delle disposizioni sulle potestà genitoriali, prevede sia che il giudice decida la decadenza della potestà sui figli e il conseguente allontanamento nel caso che il genitori trascuri i propri doveri o abusi dei relativi poteri provocando grave pregiudizio ai figli (art. 330); sia che adotti provvedimenti (revocabili in qualsiasi momento) di limitazione della potestà e di allontanamento, quando la condotta non sia così grave come nell’ipotesi precedente ma tale da apparire comunque pregiudizievole al figlio (art. 333).

Ha scarse motivazioni, quindi, sostenere che il ricorso allo strumento dell’allontanamento, provvisorio o a lungo termine, debba limitarsi esclusivamente alle situazioni di abbandono o di grave maltrattamento; poiché, in realtà, può determinarsi pregiudizio allo sviluppo della personalità del minore anche nelle situazioni in cui i genitori non siano in grado di affrontare le esigenze educative dei figli (psicologiche, sanitarie, scolastiche, ecc.) per la presenza di gravi conflittualità familiari, di rilevanti patologie psico-sociali o di trascuratezze continuate, e così via.

Non va neppure dimenticato che la decisione dell’allontanamento del minore giunge al termine di un percorso che, nella maggior parte dei casi, è stato avviato da numerose segnalazioni provenienti dalla scuola, dai vicini di casa, dagli stessi parenti, quindi seguito da interventi di natura psico-sociale realizzati dai servizi e che coinvolgono lo stesso Tribunale.

Oltretutto, questa distinzione tra motivi “oggettivi” e “soggettivi” si basa su una consapevolezza imprecisa della natura dell’atto valutativo, come se nella valutazione psicologica di situazioni di incapacità genitoriale ci trovassimo di fronte solo a opinioni più o meno fondate di operatori psico-sociali, mentre nei casi di maltrattamento o di abuso sessuale il “fatto” sia lì presente e si tratti semplicemente di registrarlo e assumere le decisioni conseguenti. In realtà, in nessun caso la valutazione coincide con la semplice registrazione o misurazione dei fatti, poiché a questa registrazione o misurazione si aggiunge un’attribuzione di “valore”, nel senso di riferire tali risultati ad un sistema di parametri tecnico-professionali, storici, giuridici e persino etici che danno senso al fenomeno indagato e aiutano a prendere le decisioni necessarie. Ciò che varia nell’indagine sulle diverse tipologie di situazioni familiari problematiche non è, pertanto, la natura dell’atto valutativo quanto piuttosto il grado di interpretazione necessario per dare senso ai fatti rilevati e collocarli in specifiche categorie concettuali o diagnostiche.

Apporto delle discipline psicologiche

In questo quadro, è rilevante la questione delle perizie psicologiche o psichiatriche, utilizzate in alcuni casi di allontanamento (ma non in tutti) per aiutare il giudice nell’accertamento dei fatti e della loro gravità ai fini delle decisioni da prendere nell’interesse del minore. Non va neppure dimenticato che l’intervento delle discipline psicologiche avviene anche nell’apporto informativo che i servizi sociali sul territorio forniscono al tribunale e che quindi sostiene il giudice proprio nell’accertamento dei fatti e nella loro valutazione.

Richiedere che psicologi utilizzati dal tribunale debbano essere formati e competenti è un’affermazione ovvia e condivisibile senza difficoltà; per sostenere invece la tesi che gli attuali professionisti non lo siano adeguatamente sarebbero necessari approfondimenti più mirati, che magari finirebbero probabilmente per contraddire tale tesi sia in base ai curricula professionali di questi professionisti e alla loro iscrizione in Ordini e Albi professionali previsti dalla legge sia per l’avvenuta certificazione del possesso di quei requisiti che la legge stessa indica per l’inserimento nell’apposito albo dei periti o per il loro utilizzo in questa funzione.

D’altra parte, numerose e recenti vicende giudiziarie all’attenzione dell’opinione pubblica hanno fortemente indebolito l’opinione che perizie di tipo medico o biologico o balistico siano, per loro natura, meno confutabili di quelle psicologiche o psichiatriche.

Infine, l’invocato principio del contraddittorio e della parità tra le parti è già presente anche nei procedimenti civili che riguardano i minori (legge n. 149/2001), come pure è prevista anche la possibilità della difesa d’ufficio per quei genitori che si trovano in condizioni reddituali di difficoltà.

In conclusione, la rappresentazione talvolta trasmessa dai mass media di genitori alla completa mercè di psicologi, giudici o assistenti sociali pronti ad allontanare i bambini dalla famiglia sulla base di opinioni soggettive è molto lontana dalla verità, ma soprattutto rischia di indebolire presso l’opinione pubblica la credibilità di strumenti e modelli di tutela dei minori che in questi anni hanno contribuito a far maturare una cultura dell’infanzia più consapevole.

LETTERA A CRONACAQUI.IT:

Gentile Direttore e gentile Redazione di Cronacaqui.it,
in relazione al Vostro servizio “Oltre 3.000 bambini ‘rapiti’ alla famiglia da giudici e psicologi”
http://www.cronacaqui.it/news/apri/21228, la redazione dell’Osservatorio Psicologia nei Media ha ricevuto una segnalazione sulla quale è stato successivamente espresso un parere scientifico:

Qui trovate sia la segnalazione che il parere: http://www.osservatoriopsicologia.com/2009/05/04/oltre-3000-bambini-rapiti-alla-famiglia-da-giudici-e-psicologi-cronacaquiit/

Certi della Vostra cortese attenzione e della Vostra disponibilità al miglioraramento dell’informazione psicologica nei media, Vi porgiamo i nostri più cordiali saluti.

Per la Redazione OPM

Dr. Luigi D’Elia

Fabio Fareri

Author: Fabio Fareri

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10 Comments

  1. Spett.le Osservatorio Psicologia nei media,

    apprezzo molto il vostro lavoro di tutela dell’immagine della psicologia e degli psicologia.
    Vorrei comunque esprimere il parere che, fatta salva la tutela della professionalità, per i casi di cui sono direttamente a conoscenza esiste davvero un problema rilevante rispetto alla tutela dei minori; il vero focus andrebbe però sulle procedure previste per legge che, ripeto,nei casi di mia conoscenza diretta sembrano non consentire una adeguata rappresentanza della famiglia e dei genitori, con scarso rispetto del principio del contraddittorio e purtroppo con ricadute negative proprio su quei minori che l’ordinamento aspira a tutelare.
    Proprio sulle procedure e sul ruolo degli assistenti sociali ritengo che l’autore dell’articolo avrebbe potuto essere più preciso.
    Se come professionisti, oltre che come cittadini, vogliamo essere in difesa dei minori, l’articolo ci offre spunti importanti di riflessione.

    Saluti
    Laura Barnaba

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  2. E’ importante rammentare che la psicologia non è una disciplina scientifica e la sua origine è puramente folosofica. Ciò sostanzia il fatto che ogni relazione o perizia altro non è che una pura espressione del proprio convincimento soggettivo o di quel gruppo a cui si appartiene,certamente non è in grado di dimostrare, ripetere … ciò che si è scritto. E bene rammentare che le convinzioni sono per la verità nemiche più pericolose delle menzogne.
    La psicologia certamente ci aiuta in molti casi con le sue ricerche, ma sono pur sempre soggetive, tranne alcune dimostrabili come i falsi ricordi.
    Dunque è bene che i signori professionisti si ridimensionino e si limitino al profilo clinico, in quanto l’aspetto forense può essere valutato solo da professionisti altamente specializzati e non da coloro che hanno fatto un corso di 150 ore di un GURU.

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    • @Peppino,

      Mi spiace, ma dissento fortemente da questo punto di vista, signor Peppino.
      Non mi pare che le tecniche di neuroimmagine siano “puramente filosofiche”, né che lo siano i potenziali evocati, la magnetoencelografia, l’EEG, i test di valutazione delle espressioni facciali, le scale di valutazione dello sviluppo…

      E basterebbe leggere alcune riviste di psicologia per accorgersi che i dibattiti sono serrati, che su molte cose non vi è affatto accordo (la questioni dei falsi ricordi, che lei cita, ha dato origine a visioni diverse della memoria, e ha prodotto tonnellate di articoli e di ricerche).

      Mi rendo conto, piuttosto, che è presente una tensione – a mio parere non risolvibile e con la quale, da psicologo, devo imparare a convivere – tra l’aspetto giuridico della questione, che è “oggettivo” e si basa su norme e regole non derogabili, cogenti, e quello psicologico, che è profondamente soggettivo.

      Ma non conosco psicologi che facciano corsi da 150 ore. Men che meno da guru.

      Buona vita
      Guglielmo

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  3. Gentile Peppino,
    devo assolutamente dissentire dalle sue affermazioni perchè la Psicologia è una scienza umana teoretica e pratica; come tale ha finalità descrittivo-esplicative e prescrittive come le altre scienze terapeutiche mediche e molte altre discipline.
    Al contrario della filosofia, dal quale certo si è originata la psicologia e le conoscenze psicologiche sono continuamente verificate e falsificate a livello sia teorico che empirico e tendono inoltre ad adeguarsi ai mutamenti sociali, storici, politici ed economici.

    La psicologia cui lei si riferisce può essere giusto quella teorica degli inizi e non quella che deriva da ricerche sperimentali occorse da ormai più di 50 anni e trasformata poi in pratica clinica terapeutica ed in applicazione peritale nell’ambito giuridico.

    La macchina giuridica una volta innescata necessita di tempi per la conclusione dell’iter e, nei molti casi di abuso reale sui minori, la celerità di allontanamento dalla famiglia abusante è senz’altro auspicabile. Pare dunque una mera speculazione come tante se ne vedono, anche se in questo caso sia utile a cercare di migliorare il sistema di indagine e la selezione di periti preparati in tale ambito professionale.

    Non ci dimentichiamo infine che il Giudice è il perito dei periti e può prendere la decisione di allontanamento di un minore dalla famiglia anche prima di richiedere una perizia psicologica, avviando quindi l’iter di cui sopra il quale dovrà terminare completamente affinchè, in caso di errore, i bambini possano essere riaffidati ai propri genitori.

    Dr.ssa Sara Ginanneschi

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    • Gentile Dott.ssa Sara Ginanneschi,

      solo una osservazione alla sua esposizione: quando il Giudice, il perito dei periti, come lo chiama lei, sbaglia, (e sbagliano pure gli psicologi, come tutti gli esseri umani soprattutto quando pensano di essere al di là del bene e del male…) cosa succede? Al giudice niente, e non c’è bisogno che sia io a dirglielo. Chi restituisce a quei bambini, ed ai loro genitori, il tempo strappatogli? NESSUNO. La prego, scenda dall’albero sul quale si arrampicano i suoi ragionamenti: lei parla senza cognizione di causa e questo è grave e lo è ancora di più se a farlo è chi si arroga il diritto di giudicare e non si assume la responsabilità della proprie azioni. Esistono casi gravi in cui è drammaticamente necessario intervenire a tutela dei minori, ma ne esistono molti di più in cui l’allontamento è una fonte di reddito per chi lo fomenta e per chi lo gestisce. Inoltre la psicologia non è una scienza esatta: non sto dicendo che è inutile: sto dicendo che le sue asserzioni non sono univocamente dimostrabili ed abbisognerebbero della supervisione del buon senso, cosa che vedo mancare terribilmente a chi dice di occuparsi di tutela dei minori.

      Gabriele Bartolucci

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    • Gentile Dott.ssa Sara Ginanneschi,
      la psicologia non è descritta con formule matematiche o teoremi che rendono oggettivamente veri i suoi assunti, perciò NON è una scienza. Per quanto lei si sforzi di dire il contrario. Può essere una scienza la psicologia applicata alle masse, in quanto ha raffronti statistici ripetibili.
      Per esperienza diretta so che per la psicologia un bambino di 5 anni sano e che corre può essere definito “ipereccitato”, parola interpretata subito negativamente.
      Un padre che non osa imporsi su un figlio vede 1 volta al mese, e che ad ogni incontro deve riconquistare un legame con il figlio, è un padre che “non ha il carattere per educare un bambino”.
      Come vede si può dire tutto e il contrario di tutto. Basta non utilizzare dimostrazioni logiche rigorose.

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      • @Marcello Zucchini, Gentile collega,
        come ho già risposto all’utente Peppino, il fatto che la psicologia non sia una scienza “matematica” non significa che NON SIA una scienza tout court.
        Proprio nell’ambito giuridico più che in ogni altro della psicologia è importante soppesare le parole quindi ribadisco quanto già affermato: “la Psicologia è una scienza umana teoretica e pratica; come tale ha finalità descrittivo-esplicative e prescrittive come le altre scienze terapeutiche mediche e molte altre discipline.”

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  4. Gentile Dott. Mario Russo,

    mi chiamo Gabriele Bartolucci ho 35 anni e le scrivo da Riccione, sono padre di due bambini, di 8 e 10 allontanati dalla madre da più di un anno e collocati presso di me e la mia fidanzata: dico “collocati” perchè le assistenti sociali li hanno “parcheggiati” presso di noi dopo che il tribunale dei minori mi ha sospeso dalla patria potestà, così da potermi sventolare sotto al naso, ogni volta che gli richiamo alle loro ineffcienze, lo spauracchio dell’allontamento e del collocamento in struttura etero famigliare. Dopo più di 100 incontri tra psicologi che vivono nel paese delle favole, neuropsichiatri, tutti al servizio di un unica regia il cui scopo è preservare se stesso, demolire le aspettative degli esseri umani e non risolvere il problema, dopo tre anni passati prima a non poter vedere i miei figli che quando la loro madre me lo consentiva (come saprà bene, una volta ogni due settimane…)poi, a scorrazzarli tra incontri protetti, valutazioni psicologiche, e CTU, credo di sapere bene di che cosa sto parlando e credo di potermi permettere di dire che il problema c’è ed è grande. Caro Dott. Russo: questo non è il migliore dei mondi possibili, se lo scordi. Lei saprà meglio di me che il potere degli assistenti sociali rientra in quella zona d’ombra in cui non c’è nessun genere di controllo, se non teorico, quello che cita lei appunto delle leggi che dovrebbero tutetalre i minori e dei provvedimenti di allontamento “temporaneo” che durano anni: i genitori che finiscono nelle loro grinfie, non sto parlando di persone con problemi di dipendenza da droghe, ma di normalissimi genitori separati con problemi di conflittualità (spesso fomentata ad arte da avvocati e consentita dai tribunali), possono solo sperare di non risultare antipatici agli assistenti sociali con cui hanno a che fare. Provi lei, caro dottore, a rivolgere una segnalazione al tribunale dei minori circa il cattivo operato degli assistenti sociali con cui ha a che fare! provi e mi dica cosa pensa di ottenere.
    Mi dica per cortesia, quali strumenti ha un genitore che ama i propri figli per difenderli, se il sistema sociale che dovrebbe tutelarli, non si preoccupa che del formalismo. Per la legge in Italia dopo la 54/2006 il 75% degli affidi viene dichiarato attuativo del condiviso: se guarda i tempi di frequentazione vede da se (ISTAT) che non è cambiato un accidenti e che uno dei due genitori (il padre, guardacaso) continua a vedere i figli il 13% del tempo della loro vita venendo da questa, in pratica, annullato e non parliamo dei nonni: io desideravo e desidero che la madre dei miei figli possa essere per loro un punto di riferimento: desidero che venga aiutata a superare questo brutto momento speravo e spero che il servizio sociale potesse affiancarci in questo: ho trovato assoluta refrattarietà ed anzi, invece che un elemento di rottura rispetto al passato, il servizo si presta a fare da scudo e stampella alla madre dei miei figli, senza aiutarla a reggersi da sola. Sono sicuro che ci siano delle persone capaci (la legge dei grandi numeri mi da ragione) nel servizio sociale e quando ne incontrerò una sarò molto felice, sinora però ho trovato gente che non è disoccupata perchè fa l’assistente sociale. Vorrei inoltre che ogniuno mostrasse rispetto verso l’associazionismo, tutelato dalla costituzione, e che cominciasse a pensare che se migliaia e migliaia di genitori si associano per dire, ogniuno a modo suo, che l’affido condiviso è una bufala e che l’intervento dei servizi sociali complica, non semplifica, la gestione della conflittualità pre e post separazione: forse non saranno tutti matti e magari un problema c’è. Questa gente, che manifesta, non va a funghi, che prende permessi dal lavoro per andare davanti ai tribunali a farsi sentire, merita rispetto, perchè è grazie a costoro che la ns. società si accorge e corregge i propri errori. Provi infine, chiunque a vedere i propri figli una volta alla settimana, quando va bene e vedete se questo vi lascia indifferenti e non vi fa bollire il sangue per l’ingiustizia. Cerchiamo di avere tutti, un po di rispetto, per i sentimenti e l’amore figliale: prima di essere ciò che siamo, luminari, dottori, ingegneri, scienziati, siamo stati bambini e figli anche noi, e malgrado tutto la carezza di un genitore e l’abbraccio di un figlio sono la cosa più bella del mondo.

    Gabriele Bartolucci

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  5. “la celerità di allontanamento dalla famiglia abusante è senz’altro auspicabile” – la stessa celerità deve essere auspicata per restituire bambini nei casi degli sbagli. Invece la clerità sussiste solo nei casi di allontanamento e mai nei casi di riparazione degli sbagli.

    Il giudice non è “perita dei periti” ma un magistrato non preparato per attività periziali. Il compito di un perita è dare informazioni al giudice per facilitare la valutazione dei fatti. Il compito del giudice è valutare LE PROVE, con diligenza di un padre di famiglia.

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  6. Vorrei portare la mia conoscienza diretta del problema.
    Perché di problema si tratta, basato su due storture dell’attuale sistema italiano:
    1) l’esposizione a sanzioni per l’operatore se non interviene su sospetto,
    2) l’assenza di sanzioni se interviene a torto,
    3) la lentezza cronica delle decisioni dei tribunali.
    Il punto 1 deriva dalle varie disposizioni sulla prevenzione della violenza, derivate a loro volta dal fatto che in Italia non vi è la certezza della pena, tempi troppo lunghi; perciò si è pensato di prevenirla, ovvero di agire sul sospetto. Quindi basta una qualsiasi accusa indotta da un conflitto (ad esempio la separazione, il divorzio, i vicini) perché gli operatori siano indotti sul nulla o quasi a intervenire in maniera deflagrante sulla vita del bambino, togliendolo ai famigliari. A questo punto gli operatori anche se si sbagliano non rischiano molto (vedi caso di Brescia), ma sono comunque incentivati a ingigantire il problema per non essere accusati. La lentezza dei tribunali acuisce la tensione dei genitori per lo stato, il disagio del bambino. A questo punto il problema è sempre più grande. Gli operatori inoltre, se prendono una decisione per cambiare qualcosa mettono a repentaglio la propria carriera e perdono un incarico, quindi soldi. Altrettanto i giudici (il giudice tutelare e il giudice per i minori possono tenere in piedi la causa fino ai 18 anni). A questo punto la decisione, anche di affido temporaneo, è irrevocabile. Questa è la triste realtà di come funzionane le cose, non sulla carta o nell’idea del legislatore, ma nei fatti concreti.

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