Quali codici per i media: intervista al Presidente dell’Ordine degli Psicologi del Veneto Marco Nicolussi
L’etica nei media: Piera Serra intervista il Presidente dell’Ordine Psicologi del Veneto Marco Nicolussi.
In alcuni suoi recenti articoli (per esempio “La violenza dentro il videogame”, Il Padova, 27.05.2009) viene espresso un parere tecnico sul dis-valore di un videogioco. Se non sbaglio questa è la prima volta che un organismo rappresentativo degli psicologi esprime un parere di natura psicopedagogica su un prodotto dei media: che cosa ha motivato la sua scelta?
La scelta riguarda il mandato sociale della nostra professione che si declina e si comprende nell’articolo 3 del nostro codice deontologico: “lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità”. Come psicologo ritengo pertanto doveroso sia eticamente che deontologicamente intervenire su questioni così importanti. E, come rappresentante dell’Ordine professionale del Veneto, considero che le azioni dell’Ordine non si devono limitare agli interventi a tutela degli iscritti ma anche, e soprattutto, dell’utenza, ovvero della Società in generale. Le nostre conoscenze e competenze possono dare un fattivo contributo a comprendere – e a trasformare – fenomeni e situazioni dove i disvalori e l’incitamento alla violenza possono portare a nefaste conseguenze se non addirittura a tragedie. Quindi l’obiettivo del nostro agire professionale si colloca anche a livello preventivo con interventi volti a valorizzare la cultura dei valori e del rispetto delle regole, dell’importanza e della capacità di stare bene con se stessi e con gli altri.
In Italia milioni di minorenni ogni giorno sono esposti a tv spazzatura con contenuti di basso profilo, nonché a spot pubblicitari studiati ad hoc per i piccoli che spesso veicolano disvalori come per esempio quando hanno per protagonisti bimbi adultizzati o quando inducono all’iperconsumo di dolciumi. Non sarebbe ora che la comunità professionale degli psicologi si facesse carico di offrire indicazioni ai produttori di pubblicità nonché a educatori e genitori su come tutelare i minori?
Certamente sì, anche e soprattutto con interventi sistematici sui media. In tal senso l’Osservatorio psicologia nei media è una importante e positiva novità. Per quanto riguarda la regione Veneto, come presidente dell’ordine tengo regolarmente una rubrica settimanale su un noto quotidiano locale. Inoltre diversi giornalisti di testate locali del Veneto mi contattano per opinioni su “fatti del giorno” e, laddove il parere richieda competenze diverse dalle mie, è disponibile una rete di colleghi esperti dei diversi settori della psicologia. Penso che questo modus operandi dovrebbe essere adottato da tutti gli ordini territoriali.
Riguardo la possibilità di offrire indicazioni ai produttori di pubblicità ritengo che il compito spetti prioritariamente al Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi in quanto rappresentante ufficiale di tutta la comunità professionale. Il CNOP dovrebbe intervenire in sinergia con gli Ordini territoriali e, aspetto non affatto secondario, con le associazioni scientifiche e di categoria, individuando e suggerendo modalità a cui i produttori dovrebbero attenersi, sempre con i criteri sopra esposti. In merito poi alla tutela dei minori ritengo che il CNOP dovrebbe coordinare le attività di informazioni e sensibilizzazione ai genitori e al Sistema Scuola, declinandone poi l’operatività ai professionisti iscritti nei vari Ordini territoriali.
Se lei dovesse stabilire i criteri per discriminare il prodotto da proibire ai minori, da che premesse partirebbe per orientarsi tra la tutela dovuta e i fantasmi della Censura e del Proibizionismo?
I criteri riguardano prioritariamente la tutela da garantire al minore, tutela in quanto soggetto “debole” e come tale particolarmente influenzabile, individuando quali modalità, messaggi, aspetti e strumenti ne permettano la corretta crescita senza l’induzione di falsi bisogni, ideali, disvalori e/o aspettative. In altri termini come psicologi abbiamo il dovere di contrastare l’idea che pur di aumentare le vendite tutto sia permesso e insistere sostenendo l’inutilità o, come spesso accade, il danno della creazione di falsi valori. Per quanto riguarda i fantasmi della censura e del proibizionismo penso che non sia il professionista psicologo a doversi porre questo problema: deve essere una preoccupazione della società in generale. E lo psicologo, come membro di essa, si potrà occupare di come affrontarla e risolverla. Come cittadino però, non come psicologo.
Gli adulti non possono evidentemente essere annoverati tra i soggetti da tutelare. Tuttavia, spesso siamo anche noi bersaglio di messaggi che veicolano disvalori, messaggi che possono influenzare il nostro modo di sentire e pensare, con ricadute su tutta la società, minori compresi: con quali strumenti ci si può difendere da una pubblicità sconvolgente o a una trasmissione tv spazzatura a cui possiamo trovarci esposti?
Volendo gli strumenti a disposizione ci sono e potrebbero, ad esempio, facilmente concretizzarsi nel cambiare programma o spegnere la tv. Ma è sulla parola volendo che, come psicologi, dobbiamo soffermarci. Volere comporta infatti un processo cognitivo di percezione, comprensione e quindi di consapevolezza del proprio pensiero e comportamento. Processo critico che purtroppo non avviene in tutte le persone.
Il mandato sociale dello psicologo – il suo dovere deontologico – è promuovere il benessere delle persone e dei gruppi all’interno della comunità. Benessere così come definito dall’OMS, ovvero la capacità di star bene con se stessi e con gli altri. Non venire quindi infarciti, imbottiti, riempiti di trash e di disvalori, messaggi e input unicamente finalizzati ad indurre ad acquistare sempre e sempre di più, e che indeboliscono e compromettono significativamente la capacità di scelta e discernimento, minando pertanto anche il ben-essere sociale. Come psicologi abbiamo il dovere di evitare che le persone diventino “polli d’allevamento”, come cantava Giorgio Gaber in una vecchia canzone di tanti anni fa.