APP(roposito) di Terapia: un aiuto o un imbroglio?
di Donato Buongiorno e Sara Ginanneschi
(ANSA) – ROMA, 14 FEB – Dalla psicoterapia alla App-terapia, l’innovazione terapeutica ha incassato un primo risultato confortante da uno studio su 338 persone dell’università di Harvard che ha realizzato un’applicazione capace di dirottare l’attenzione dei volontari da sensazioni sgradevoli verso situazioni piacevoli o neutre. Gli scienziati hanno affermato di aver ottenuto un risultato pari a quello di una psicoterapia tradizionale.
Questa soluzione mira ad aiutare le persone con disturbi d’ansia lievi e può essere molto efficace proprio per il fatto che è sempre a disposizione. Prima di un colloquio di lavoro, di un esame o di una decisione importante, lo psicologo tascabile è pronto a sciogliere l’ansia. (ANSA).
(http://wwwext.ansa.it/saluteebenessere/notizie/rubriche/medicina/2012/02/14/visualizza_new.html_98602033.html)
Sul sito I-Phone Italia (http://www.iphoneitalia.com/tag/psicologia) possiamo infatti trovare:
- La “Personalità della tua scrittura”, una nuova applicazione per iPhone che permette di tracciare il tuo profilo caratteriale e psicologico in base alla grafia;
- Un’app che aiuta i veterani di guerra USA a superare problemi psicologici;
- MindColors Test: che, è chiaramente specificato nella scheda dell’App Store, non va considerato come un gioco, bensì come un vero e proprio test proiettivo di personalità basato su stimoli cromatici, secondo dimostrazioni scientifiche.
- MyPersonality: un’applicazione che consente di avere una valutazione della personalità con un vero test psicologico (usato realmente nella ricerca scientifica), ma anche di confrontare i risultati con gli amici;
E molte altre.
Dopo i test “psicologici” sulle riviste, poi sui siti, i libri di divulgazione che danno dritte riguardanti rapporti intimi/sociali/con sé stessi, è arrivata la nuova frontiera della Pop Psychology: le “psy-app”, ossia le famose app per iPhone in chiave psicologica. Queste, almeno nelle intenzioni degli sviluppatori, dovrebbero aiutare gli utenti ad avvicinarsi a certe problematiche della persona ed, eventualmente, spingere gli stessi ad un successivo confronto con uno psicologo “in carne ed ossa” per approfondirle. I temi sono più o meno sempre gli stessi: personalità, amore, figli, amici, ansia, paure, ecc. Ma siamo sicuri che la gente che usa queste app vada, in seguito, da uno psicologo per un approfondimento?
Certo è che viviamo in un periodo particolare: la crisi economica mette tutti in difficoltà e per una persona che ha bisogno di una soluzione psicologica può bastare (o così spera) la psy-app per il momento, che ad un costo contenuto ed alla portata di quasi tutte le tasche, offre l’illusione di un aiuto in un momento di crisi; è proprio nel momento in cui l’utente pensa che l’applicazione sul suo cellulare sia la soluzione a tutti i suoi disagi che nasce il problema ed anche l’inganno. Quando tra gli sviluppatori di “psy-app” troviamo anche la famosissima Università di Harvard nella quale si sono laureati nientemeno che (per quanto riguarda la Psicologia) William James e B. F. Skinner, da un lato lo scetticismo un po’ si placa e dall’altro, forse, i dubbi aumentano a dismisura. In particolare: come mai quell’Università che ha dato tanto alla Psicologia (e non solo) ora ha deciso di mettersi a sviluppare app per iPhone? In particolare ci riferiamo all’app che, secondo gli sviluppatori, ha l’ambizione di curare l’ansia di lieve intensità: questa può essere considerata una geniale idea o un brutto passo falso di una delle più importanti università al mondo? Di sicuro, dall’alba dei tempi, il “genio” è spesso stato colui che è andato controcorrente, percorrendo strade spinose, tortuose e, a volte, considerate “eretiche”. È il concetto alla base della Rivoluzione Copernicana. Gli esperti del settore sicuramente troveranno ben poco di rivoluzionario nell’utilizzo di un dispositivo elettronico in psicoterapia e nel testing psicologico: l’utilizzo del calcolatore elettronico (i cellulari, in particolare l’iPhone, ormai sono dotati di funzionalità molto simili ai Personal Computer) in psicologia ha una lunga storia. Il primo esperimento di questo tipo fu il programma ELIZA, messo a punto da Joseph Weizembaum nel 1966, che simulava uno psicoterapeuta rogersiano impegnato in un primo colloquio con un paziente. In termini di programmazione in ambito di Intelligenza Artificiale, la tecnica tipica dell’analista rogersiano, può ben prestarsi allo scopo perché, modalità consolidata è quella di proporre la domanda a partire dalla fine della risposta dell’utente:
Paziente: “Mi fa male la testa”
ELIZA: “Perché dici che ti fa male la testa?”
Naturalmente, a parte la simulazione dei primi colloqui conoscitivi (che comunque non avevano ingannato molti clienti per la gioia dei Rogersiani) il test era nato come studio di IA applicata e non con finalità imprenditoriali ed economiche .
Il computer è stato utilizzato sempre più, all’inizio semplicemente per registrare risposte agli item e calcolare i punteggi, in seguito si è arrivati a livelli di automatizzazione più elevati. I primi test ad essere automatizzati sono stati quelli di personalità (16PF, MMPI, CPI).
In seguito è arrivata l’E-Therapy, prestazioni psicoterapiche online (a pagamento) in cui si interagisce virtualmente con uno psicologo “in carne ed ossa”.
Da qui all’App-Terapia il passo è stato breve, forse troppo. I principali limiti che vengono imputati all’utilizzo del PC, in particolare nel testing, sono proprio l’assenza del testista e l’uso improprio che di questi test si può fare. Certamente i test citati ben si prestano ad uno scoring automatico e, seppur con i dovuti limiti, anche all’interpretazione automatizzata, trattandosi di strumenti conoscitivi ben standardizzati. Il clinico però, non solo con la propria preparazione ed esperienza dà un senso logico a quanto emerso dai risultati “automatici”, ma inserisce nel quadro più ampio della sua valutazione personale del caso, tali esiti. Il test quindi è e dovrebbe rimanere uno strumento che, nelle mani del clinico che sa come utilizzarlo ed integrarlo nel suo bagaglio professionale, assume un significato anche di progresso. Inoltre gli individui possono mentire più o meno consapevolmente nel rispondere ai test ed è per questo che alcuni di questi hanno una sezione che mira a ridurre (o che misura) la probabilità di dare risposte non veritiere. Tale elemento deve essere considerato in un contesto più ampio che trova quindi il suo rationale solo se analizzato da un professionista preparato a tali risultati. Il PC ha maggiori capacità di calcolo e di immagazzinamento dei dati ed è più veloce ma, alla fine, serve sempre il parere di uno psicologo esperto che tiri le somme dell’esperienza. Gli sviluppatori di queste app lo sanno e lo dicono, ma siamo sicuri che gli utenti tengano in considerazione questa opinione?
L’app che l’università di Harvard sta realizzando, molto probabilmente sarà utile a correggere, tramite il condizionamento (nella migliore delle tradizioni harvardiane), alcune condotte dannose per l’individuo, a patto che chi la usa non abbia problemi seri. Ma i pareri a riguardo sono contrastanti: c’è chi accomuna questa applicazione ad una “pallina anti-stress”, chi dice che il suo effetto sia un placebo. Insomma, il programma non è stato ancora ultimato ma già si contano fautori e detrattori.
Se si parla di un app che mira a sostituire una terapia, allora il discorso si complica ancora di più: somministrare un test tramite un’applicazione o dare una serie di consigli per superare alcune situazioni problematiche, può essere comprensibile finché si hanno di fronte situazioni semplici in cui ci si può accontentare di un consiglio da amico. Ma pensare che un app può sostituire una terapia è una cosa impensabile da accettare, dal momento che il percorso terapeutico dovrebbe essere cucito addosso ai partecipanti.
Non abbiamo visto questa app, pensiamo però che, come strumento nelle mani del professionista potrebbe anche avere il suo quid; si pensi ad alcune tecniche comportamentali di automonitoraggio secondo cui lo psicoterapeuta chiede al paziente di annotare di settimana in settimana dei comportamenti target; in tale contesto una app “bloc notes” sul cellulare potrebbe tornare utile. Certamente senza un professionista che indichi il comportamento target, il motivo per cui esso va riconosciuto ed annotato dall’utente ed una chiara strategia terapeutica che miri ad agire direttamente su di esso, il senso della app viene a decadere completamente.
La tecnologia non è il demone della nostra società e, sicuramente, quand’è ben utilizzata può risolvere molti nostri problemi. Anzi, a volte può offrirci soluzioni nuove, più pratiche e mai pensate. Per questo, se l’utilizzo di un app fosse inserito all’interno di un programma terapeutico, strettamente controllato da uno psicologo (il quale dovrebbe sempre avere l’ultima parola) potrebbe aiutare sia quest’ultimo che il cliente ad approfondire le tematiche trattate in sede di consulenza. Ma finché viene sviluppato un prodotto da lanciare sul mercato e, quindi, per un utilizzo incontrollato ed indiscriminato, spesso con intenzioni puramente commerciali di chi lo propone, esso diventa più utile alle tasche dello sviluppatore che al benessere del cliente. Ciò mina proprio quello che dovrebbe essere il primo comandamento dello psicologo: la promozione, appunto, del benessere.
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