Autore: Goce Smilevski
Edizione: Guanda
Pagine: 332
Prezzo:18.00 euro
Anno: 2011
Recensione di Giuseppe Preziosi
“..In epoca prefemminista il Sapere sulla Donna era detenuto da una cultura di impianto maschile relativamente coesa e compatta. Un simile Sapere si fondava sull’ignoranza, o meglio sulla rimozione, dei tratti distintivi del discorso femminile. Questo sapere sulla Donna si presentava e agiva come un sapere dottrinario, oggettivo e dogmatico proprio grazie alle sue funzioni di autodifesa nei confronti della soggettività femminile. Tale soggettività, però, risultava misteriosa alla donna stessa, la quale -alla costante ricerca d’identità e di parola- alimentava di oscuri malanni il proprio corpo….non compreso, ma neppure neutralizzato, il corpo sessuale si fa sintomo criptico e ribelle dell’era prefemminista, organizzandosi nella patologia femminile dell’isteria…pensiamo a Anna O. e a Dora, pensiamo a Elisabeth r Lucy (alcune delle celebri isteriche freudiane): la cultura in cui muore la loro domanda ed erompe il loro sintomo è fortemente contrassegnata da un sapere virile sul sesso…sono le “folli” di una società patriarcale che cronicizza nel femminile la passività e la dipendenza… è così che le misteriose ancelle o vestali di fine Ottocento approntavano, senza saperlo, un sintomo, due, tre, con cui riuscivano a paralizzare la propria vita e quella degli altri…”
Gabriella Ripa di Meana, Modernità dell’ inconscio
Essere una giovane donna nei primi del Novecento, crescere a Vienna ed essere sorella di Sigmund Freud. Essere poi da lui abbandonata, dal fratello prediletto e fondatore di una nuova scienza e finire i propri giorni in un campo di concentramento nazista.
La sorella di Freud è il romanzo di una posizione, una posizione cercata per tutta la vita ma mai trovata. Un’esistenza avvolta da legami riverberanti emozioni troppo forti, troppo intense; non avere le parole per conoscerli, per affrontarli, domarli. Essere costretti all’isolamento, alla chiusura, ad avvitarsi in pensieri contorti e infiniti, ripetitivi.
Questo sembra a me il romanzo di vita di Adolphine; dell’incapacità di indossare una vita, qualcosa che ha anche fare con le isteriche, madri delle psicoanalisi; rappresentazioni che non trovano spazio nella coscienza psichica e che si incarnano in sintomi del corpo, in condotte di vita.
Vivere all’ombra di un fratello destinato alla grandezza sin da piccolo, crescere sotto la pioggia incessante di un significante materno – sarebbe stato meglio se non ti avessi partorito – Che vuol dire? Che mi ami a tal punto da preferire che non fossi mai nata? Chiudere la vita in un incastro paradossale; il rifugio diventa la pazzia, che basta attraversare un portone e si è pazzi. “…Proprio così, follia significa fuggire l’obbligo di essere una persona…”. Qui scene melodrammatiche a rischio diabetico di malati in fondo buoni, in fondo un passo avanti rispetto ai “sani”, i folli sapienti, i folli che sono custodi dei veri sentimenti. Insieme l’incubo della detenzione, del controllo sui corpi, sulle esistenze, sui desideri. Il Sapere assoluto del manicomio che satura tutti gli spazi di significato dei sintomi degli “alienati” della società.
Nessuno spazio per essere donna, estirpato anche il diritto di essere madre se non nel ruolo di moglie, pena il marchio della vergogna, del vizio, dell’alienazione dalla società. Anche il pensiero si contorce su se stesso, sterile, che non fa nascere, messo in impossibilità di creare, generare. Teorie dell’io, teorie della felicità, teorie sull’amore ma nessuna vita.
“…Questo era il nostro tempo, il tempo del silenzio della corporeità. Ovunque, tutto ciò che era legato alla parola appena scoperta, sessualità, veniva messo a tacere…per oscurare quella parola, si usavano vestiti che coprissero tutto, dalle dita dei piedi fino al collo…”
Un tempo in cui la soggettività ammantata di sessualità si faceva spazio con scalpore tra le pagine del medico viennese come nelle donne voluttuose e mortifere tracciate dalla mano di Egon Schiele ma che urlava muta nei sintomi senza ascolto delle “ancelle” isteriche.