AVE MARY. E la chiesa inventò la donna.
Autore: Michela Murgia
Editore: Einaudi
Anno: 2011
Prezzo: euro 16.00
Pagine: 166
di Giuseppe Preziosi
L’arco temporale che racchiude la lettura di questo testo ha inizio e fine nell’incontro con una statua.
Inizio di luglio, una chiesa nella provincia di Caserta, un luogo che non conosco dove forse non tornerò mai, lì, in un contesto di gioia, commozione, amicizia, mi trovo ad alzare gli occhi e incontrare la statua di una madonna addolorata; il viso rotto dal pianto, bloccato per sempre in una smorfia di dolore; veli neri a coprire il corpo tanto che le forme umane si perdono; un cuore che si mostra trafitto, sanguinante; mi son trovato a pensare a quando non c’erano tv e giornali, quando l’istruzione non era di massa; quale messaggio incarnavano le icone che abitano i luoghi sacri, cosa poteva significare crescere bimba o bimbo all’ombra del dolore di Maria o della crocefissione di Gesù?
Un mese dopo circa. Palermo; sempre portato in viaggio dalla gioia e dall’amicizia finisco alla galleria d’arte moderna dove incontro “la madre dell’ucciso” opera di Francesco Ciusa:
una donna anziana seduta con le braccia a cingere le gambe; il volto fermo in un silenzio infinito, la bocca serrata dalle rughe e dal dolore, una figura rinchiusa in se stessa e nella incomunicabilità.
Hanno qualcosa in comune queste due raffigurazioni, sicuramente il dolore le unisce, ma cosa c’e’ di terreno nella rappresentazione sacra, cosa ci dice dell’umanità di Maria?
Pensieri confusi che una più chiara sistemazione hanno trovato nella lettura di questo testo. Michela Murgia si addentra in questa riflessione sulla matrice culturale della chiesa cattolica come donna, come credente come attenta osservatrice del costume contemporaneo.
Il suo percorso inizia con le narrazioni che avvolgono uomini e donne rispetto alle questioni di morte e dolore: da un parte un ruolo attivo e protagonista incarnato in kamikaze, soldati, sportivi estremi, dall’altra la passività del della sofferenza e della morte femminile; sempre vittima, ammazzata, violentata, stuprata o al massimo cassa di risonanza per la morte di qualcun altro.
All’origine di questa cristallizzazione di ruoli il libro della genesi, il peccato originale; è la colpa di Eva ad aver costretto tutti gli uomini alla morte. L’autrice precisa che le parole della bibbia offrivano interpretazioni alternative ma i primi predicatori della chiesa erano loro stessi imbevuti in una cultura patriarcale e sessista che li precedeva. Quindi possiamo leggere Tertulliano:
ogni donna dovrebbe camminare con Eva nel lutto e nella penitenza, di modo che con la veste della penitenza essa possa espiare pienamente ciò che le deriva da Eva, l’ignominia, io dico, del primo peccato, e l’odio insito in lei , causa dell’umana perdizione.
La possibilità di una redenzione per la donna arriva con Maria madre di Gesù. Leggiamo Sant’Ireneo:
era conveniente e giusto che Adamo fosse ricapitolato in Cristo… e che Eva fosse ricapitolata in Maria, affinché… potesse annullare e distruggere… la disobbedienza verginale.
Un particolare però fa questione della madonna: non è mai morta. Se a Gesù si offre la possibilità di una elevazione spirituale con il suo sacrificio sulla croce, a Maria sua madre è assegnato il luogo della sofferenza, del dolore, dell’afflizione per la morte altrui. Un nodo che lega la maternità e il dolore a partire a dal “partorirai nel dolore”. Un nodo che sembra dover segnare l’appartenenza per chi voglia dirsi madre e cattolica. Un nodo che arriva lontano fino a papa Pio XII che sull’onda del progresso scientifico arriva a dire:
così pure, nel punire Eva, Dio non ha voluto proibire e non ha proibito alla madre di usare i mezzi che rendono il parto più facile e meno doloroso. Non bisogna eludere le parole della Scrittura: esse restano vere nel senso inteso e espresso dal Creatore: la maternità darà molto da sopportare alla madre.
Come a dire: si all’epidurale ma ciò non slega la condizione di madre a quella del dolore. Una sorta di destinazione immanente, il posto della cura dell’ altro con la conseguente afflizione che ne deriva. Al dono di sé sono tenuti tutti i cristiani ma la donna mostra di avere una particolare disposizione a questo ruolo. Giovanni Paolo II scrive in Mulieris Dignitatem:
… ai nostri tempi la questione dei ” diritti della donna” ha acquistato un nuovo significato nel vasto contesto dei diritti della persona umana… la donna- nel nome della liberazione dal “dominio” dell’uomo-non può tendere ad appropriarsi delle caratteristiche maschili, contro la propria “originalità” femminile… contemplando questa Madre… il pensiero volge a tutte le donne sofferenti del mondo… in questa sofferenza ha una parte la sensibilità propria della donna…
Esempio di questo genio femminile la storia di Gianna Beretta Molla unica laica santificata da papa Giovanni Paolo II. Il Vaticano la definisce come ” madre di famiglia”. Madre, moglie, medico, fervente devota, malata di cancro preferì morire che accettare cure che potessero recare danno al feto che portava in grembo.
A strappare alle donne un ideale di femminilità possibile, una figura che incarnasse dolori, esperienze, caratteristiche comuni al loro vivere mortale è stato un processo andato avanti nel XX secolo che ha reso la madre di Gesù sempre più eterea, distaccata, eternamente identica a se stessa, senza forme, senza morte, sola con il suo dolore. Per l’altro. Provate ad immaginare in una chiesa una madonna vestita con abiti contemporanei in un contesto di una metropoli come tante tipo un bilocale sulla Prenestina.
Eppure a leggere bene la Bibbia nella storia di Maria è possibile leggere altro da quella passività che comunemente viene tramandata: incinta prima di entrare in casa del suo promesso sposo, mantiene il suo segreto senza rimettersi alla volontà di suo padre, del suo sposo, del sommo sacerdote ma va in viaggio dalla cugina Elisabetta per tornare quando ormai niente può essere più nascosto. La Chiesa avrebbe la possibilità di portare avanti altri modelli di femminilità e scegliere icone di donne che hanno inciso nella società attraverso il loro lavoro, la loro intelligenza così come succede nel mondo maschile; donne che accettano di invecchiare e morire.
La questione quindi riguarda la predicazione; che tipo di lettura della Bibbia viene privilegiata? Un piccolo esempio: nel Vangelo di Luca Gesù racconta tre parabole molto simili, la parabola della pecorella smarrita, quella del figliol prodigo e quella della dramma perduta; in quanti conoscono quest’ultima? In questo racconto Dio è assimilato non ad un pastore né ad un padre ma ad una donna, autonoma, padrona dei propri averi e della propria casa alla ricerca di una dramma perduta. Quanti preti avete sentito narrare dal pulpito questa parabola?