La sua «bellezza del vivere insieme»
 Addio a Bollea, mago dei bambini

L’Unità, 07/02/2011

di Manuela Trinci
È morto ieri al Policlinico Gemelli di Roma il professor Giovanni Bollea, psichiatra e medico, padre della moderna neuropsichiatria infantile. Era nato a Cigliano Vercellese. Aveva 98 anni.

Riceveva ancora lassù, in uno studiolo sospeso fra le cime degli alberi e il cielo, come quello d’ogni mago sapiente, e conservava, Giovanni Bollea, a dispetto dei suoi novantasette anni una lucidità sorprendente e una indomita voglia di lottare e di protestare, sempre, con loro e per loro: bambini e bambine, ragazzine e ragazzini. Il fondatore della Neuropsichiatria infantile in Italia, l’anima di «via dei Sabelli», l’uomo che dagli anni Cinquanta instancabilmente aveva rivolto lo sguardo alle connessioni fra il potenziale innato del bambino e l’ambiente sociale e familiare nel quale questi è inserito, se n’è andato, ma aveva cominciato ad andarsene lo scorso agosto nell’acqua cristallina della sua Sardegna, quando entrò in un coma dal quale non si è più ripreso.

Il «Professore» era anche un fervido ambientalista (nel 1987 aveva fondato l’Alvi, Alberi per la vita), il padre di una legge bella e poetica, pressochè ignorata da cittadini e amministratori: quella che impone di piantare un albero per ogni bimbo che nasce. E con l’entusiasmo che lo caratterizzava si arrabbiava di frequente per la mancanza di spazi verdi e sollecitava le famiglie, a fronte della inamovibile stoltezza degli enti locali, a darsi da fare e ad offrirne loro dieci di alberi. In fondo sosteneva: «qualche gioiellino, qualche confetto in meno per poter regalare al neonato, oltre alla vita, anche il suo bagaglio d’ossigeno».

Un uomo roccioso, essenziale, che dell’infanzia aveva una visione assai diversa da quella nutellosa che pervade la nostra contemporaneità. Per lui era forte il ricordo della propria famiglia, dell’impronta etica che da questa aveva ricevuto e non aveva esitazioni ad affermare che la morale, la sua morale, il suo desiderio di giustizia e di darsi al popolo, era ancorato alle parole di suo padre, quando all’età di otto anni lo aveva portato a vedere la casa del Lavoro di Torino, bruciata, devastata, dai fascisti. «Ricorda Giovanni, ricorda. Ricorda, sempre». Gli aveva gridato. La lotta politica, la ricerca psicologica lungo tutto il pianeta infanzia, l’attenzione ai diritti dei bambini, Bollea la ancorava a questo episodio cruciale. Ma sia chiaro. Della vita, Bollea era un entusiasta. Un giocoso elegante signore che sopperiva a un udito ormai scarsissimo con la vivezza degli occhi, ancora luminosi, come quelli dei bambini. Certo, aveva osservato ab ovo con preoccupazione e lungimiranza i rischi, per i più piccini, di separazioni o divorzi imperfetti, (e purtroppo valida rimane la sua frase: «La separazione o il divorzio è una storia d’amore che finisce e una storia di soldi che comincia»), così come aveva sottolineato, in tempi non sospetti, il dovere della scuola di educare i giovani (e i loro genitori!) a internet, di occuparsi dei comportamenti devianti, del bullismo…

A lungo aveva poi parlato di sfide medico e sociali, a lungo le ha sostenute. Da quella per gli asili nidi a quella per scuole a misura-bambino, convinto che qualsiasi sfida dovesse comunque essere affrontata, combattuta e vinta dall’alleanza tra genitori consapevoli del proprio ruolo e delle proprie responsabilità, e una scuola intesa come un luogo dove si insegnano e si trasmettono valori del merito, della solidarietà di contro all’imperante faciloneria e la creazione di falsi idoli. Ha sostenuto battaglie per la partecipazione dei giovani alla vita pubblica (portando a 16 anni il voto alle elezioni amministrative) e per una televisione da usare senza esserne usati (e da vietare in camera da letto!).

Promotore di innumerevoli iniziative per l’infanzia, Bollea è stato un divulgatore di tono alto che non ha disdegnato di partecipare a trasmissioni televisive e radiofoniche con l’intenzione di combattere il pericoloso riduzionismo orchestrato dai media a proposito del sapere che circonda infanzia e adolescenza.

La sua scommessa, anche politica, è stata quella di uscire dai noiosi luoghi comuni che vogliono i genitori affranti dalle responsabilità, ammorbati dalle colpe e bisognosi di ricette per fare bellissimi figliuoli. Dei genitori di oggi ha colto il disorientamento, il timore di intromettersi nella vita dei figli in nome di libertà e indipendenza. Ma ai genitori ha pure detto di dare dare meno ai figli, che hanno troppo, troppo di tutto. Un troppo, un consumismo – proseguiva lo studioso – che fa scomparire il desiderio e apre le porte alla noia.

Ha detto di non preoccuparsi dei giochi «educativi», quelli più belli passano attraverso la fantasia della madre e le mani del padre: bastano due pezzi di legno…

Ha detto di incoraggiare i ragazzini verso il bello, che i soldi spesi per la cultura sono quelli che rendono di più, nel tempo.

E alle mamme, alle mamme, sempre di corsa e trafelate, ha detto di prendersi, ogni giorno, un tempo solo per sé, per trovare un tempo interiore. Perché la disponibilità sta nell’anima. Educare era per Giovanni Bollea una parola bellissima, satura di fascino. Era andare verso i bambini, ascoltarli, sentirli, lasciare loro il tempo per perdere tempo, ciondolare per casa, bighellonare fra le pagine dei giornalini; era la gioia del vivere insieme. Senza timore di sbagliare, perché, e di questo il grande vecchio era sicuro, «i figli perdonano sempre quando si sentono ascoltati».
7 febbraio 2011

Gabriella Alleruzzo

Author: Gabriella Alleruzzo

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