PAZZI COME NOI Depressione, anoressia, stress: malattie occidentali da esportazione
Autore: Ethan Watters
Edizioni: Bruno Mondadori
Prezzo: 22.00 euro
Pagine: 292
Anno: 2010
di Giuseppe Preziosi
Le pagine più interessanti di questo libro sono le ultime, dove, in una sintesi di pochi passaggi, si concentrano le evocazioni più suggestive, i punti chiave e anche le superficialità del lavoro di Watters. Sono le pagine più recenti, scritte intorno al 2009. Tutte le parole precedenti acquistano nuovo vigore e forza attualizzate dalle riflessioni finali e dagli ultimi sviluppi del mercato della cura contemporaneo. Come un’idra, tagliata una testa ne nascono altre due.
Ethan Watters si propone di analizzare come l’etnocentrismo occidentale, soprattutto statunitense, abbia nelle sue molteplici incarnazioni l’esportazione forzata di un modello di funzionamento mentale, di un conseguente modello di malattia mentale e un ulteriore conseguente modello di cura. Culture antiche, tradizioni, credenze altre, pratiche efficaci vengono spazzate via, travolte sotto gli stendardi del progresso (e della superiorità) e delle regole del profitto. La crisi della società giapponese, lo tsumani in Sri Lanka, la fine del controllo britannico a Honk Kong, l’eternamente bisognosa Africa sono campi sterili da arare, seminare, irrorare per far crescere nuovi mercati, nuova ricchezza, nuovo profitto (naturlamente da non ridistribuire ma da tenere stretto stretto a casa propria).
Tra le quattro storie proposte da Watters scelgo il racconto della gestione della psicosi nella cultura di Zanzibar, il confronto tra due esperienze familiari di gestione di gravi malattie mentali.
La famiglia di Hemed e Kimwana, ancorata alle credenze tradizionali, accettava con serenità il loro disturbo senza allarmarsi nei momenti di acuità e senza festeggiare nelle oasi di benessere. Nessun pressione ad appiattirsi sull’identità di malati e nessun obbligo ad applicarsi in attività non desiderate, “apprezzare il riposo più del lavoro e accettare passivamente un comportamento anormale anzichè esortare o critcare erano espressione di un generlae tono emotivo familiare improntato alla calma”. Watters ipotizza che alla base di questo atteggiamento ci siano le credenze religiose familiari (appartenente alla setta sunnita degli shafi’iti come il 90% della popolazione del’isola) che invitano ad attraversare le difficoltà dell’esistenza con una serena accettazione, “Allah non mette mai sulle spalle di qualcuno dei pesi che non è in grado di reggere”. A questo si mischiano le credenze su spiriti e possesioni, avvenimenti comuni e senza nessuna colorazione negativa a Zanzibar. La possesione permette che comportamenti bizzarri, distruttuvi e pericolosi non portino alla stigmatizzazione della persona e ad ammantare le famiglie sotto la pesante coltre della vergogna. Non si può avere il controllo sull’operato degli dei e degli spiriti.
Nel caso di Sharizin la presenza del modello biomedico occidentale si è manifestato in decine di ricoveri in ospedali psichiatrici, in una gran varietà di farmaci, un pizzico di elettroshock e in una trasformazione dell’atteggiamento familare verso la sua malattia. Il fratello Abdulridha, formatosi tramite i medici dell’ospedale e l’ascolto di programmi di matrice statunitense, aveva assunto un modello secondo il quale il cervello della sorella era danneggiato ma riparabile (tramite la farmaceutica). La sua vita ormai era appiattita sul controllo della malattia di Sharizin: le attività quotidiane, il suo essere o no “presente”, i suoi aspetti più intimi. Tutto nell’ossessiva ricerca di segni della sua malattia. “La concezione biomedica che Abdulridha aveva della malattia di Sharazin sembrava abolire le normali regole di comportamento. Spesso parlava della sorella come se lei non potesse sentirlo. In quelle occasioni Sharazin rimaneva assente e guardava per terra senza risponderea nessuno”, vi ricorda un SPDC dove avete fatto tirocinio? Naturlamente la frustrazione di non ottenere una guarigione inquinava il loro rapporto di rabbia e imbarazzo.
Nelle ultime pagine Watters segnala come la recentissima crisi economica globale abbia già allertato studiosi, medici e psicologi. Si prevedono effetti catastrofici sulle menti delle popolazioni colpite. Non c’e’ da preoccuparsi; il gruppo di pressione delle case farmaceutiche phRMA ha già annunciato che sono in corso di sviluppo 301 nuovi farmaci per le malattie mentali. Per darci maggiori sicurezze l’attore Joe Pantoliano (direttamente dai Soprano) è stato reclutato come testimonial (della sua depressione). Sul sito dell’ APA è possibile poi lasciare un suggerimento rispetto alla cancellazione o all’inserimento di nuovi disturbi sull DSM-V (io ho proposto la sindrome di opposizione politica fallimentare ma penso che verrà depennata). Nuovi disturbi, nuovi farmaci nuovi, mercati.
Watters chiarisce che non è intenzione del suo studio “cadere nel vecchio cliché secondo cui le altre e più tradizonali culture hanno necessariamente ragione quando affrontano la malattia mentale…la mia tesi non è che facciano meglio, ma solo che lo facciano in modo diverso”. Qui forse è rintracciabile un limite del suo lavoro. Anche all’interno dell’occidente esistono molteplici modelli del funzionamento mentale, della malattia e della cura; non esiste soltanto la cultura biomedica paladina dell’uso del farmaco a tutti i costi. Non si sviluppata solo una visione “psichiatrica” della mente. Ma questa parte della storia sembra essere dimenticata, a tratti in modo quasi sintomatico. In un capitolo esamina per esempio gli studi fatti alla fine del dicannovesimo secolo sull’ isteria e dimentica di citare un certo neurologo di nome Sigmund…