Shine
Titolo: Shine
Regista: Scott Hicks
Attori: Geoffrey Rush, Justin Braine, Sonia Todd, Chris Haywood, Alex Rafalowicz, Noah Taylor
Fotografia: Geoffrey Simpson
Scenografia: Vicki Niehus
Costumi: Louise Wakefield
Musiche: David Hirschfelder + Frédéric Chopin, Franz Liszt, Niccolò Paganini, Sergei Rachmaninov, Nikolai Rimsky-Korsakov, Robert Schumann, Antonio Vivaldi, Ludwig van Beethoven
Fotografia: Geoffrey Simpson
Montaggio: Pip Karmel
Musiche: David Hirschfelder + Frédéric Chopin, Franz Liszt, Niccolò Paganini, Sergei Rachmaninov, Nikolai Rimsky-Korsakov, Robert Schumann, Antonio Vivaldi, Ludwig van Beethoven
Scenografia: Vicki Niehus
Costumi: Louise Wakefield
Genere: drammatico
Produzione: Australia, 1996
Durata: 101 minuti
Premio Oscar: miglior attore protagonista
di Patrone Immacolata
Ispirato ad una storia vera il film di Hicks ruota intorno alla figura di un geniale pianista, David Helfgott, del quale il regista traccia magistralmente il profilo psicologico, collegandolo con salti temporali, dal presente al passato, ai momenti più importanti della vita del protagonista e alle relazioni significative che ne hanno influenzato il percorso di vita e la personalità.
Emerge forte in primo piano il rapporto difficile, ambivalente, esclusivo tra David e suo padre e il loro vivere “per” e “nella” musica, tutto il resto della vita appare sullo sfondo e sembra avere un’importanza marginale. Con i salti temporali dal presente al passato il regista crea collegamenti e descrive il trascorrere della vita del protagonista dall’infanzia all’adolescenza, all’età adulta, ma contemporaneamente evoca la sensazione di un “tempo sospeso”, che vede nella vita di David concentrarsi il passato, il presente e il futuro in un unico tempo, in cui il padre fa sentire costantemente la sua presenza anche quando non è presente fisicamente, attraverso la rievocazione di ammonimenti, critiche, incitamenti, attraverso lo scorrere di una vita che sembra non appartenergli, attraverso l’emergere di ferite che sembrano non guarire mai, attraverso la ricerca di un’identità che non riesce ad afferrare.
Nel talento musicale del giovane David suo padre intravede la possibilità di realizzare il sogno infranto fin da ragazzo di coltivare il suo amore per la musica e raggiungere grandi successi attraverso essa. Mosso dalla sua passione e dagli incitamenti del padre, David, ancora bambino, inizia a rinchiudersi nel mondo della musica e a perfezionare le sue abilità. Sotto la spinta del padre mette alla prova il suo talento nei primi concorsi di musica e suscita subito stupore ed apprezzamenti, ma questo non basta, lui “deve vincere“. Viene affidato dal padre agli insegnamenti del maestro Rosen affinché si prepari ad eccellere.
Ben presto arrivano i primi successi tanto attesi e addirittura una borsa di studio per l’America, per studiare in una delle migliori scuole di musica del mondo.
Ma David non può allontanarsi da casa, non può rendersi colpevole della distruzione della sua famiglia, non può crearsi una vita autonoma, la sua vita è strettamente legata a quella del padre, il mondo esterno non gli potrà dare l’amore che riceve da lui, il suo mondo è lì, non può fidarsi di nessun altro e nonostante tutto dovrà continuare a rincorrere il sogno.
Ma quello che la vita ad un certo punto toglie in altri momenti restituisce: un’altra grande opportunità arriva, una borsa di studio per il prestigioso Royal College of Music di Londra. David trova per la prima volta la forza e il coraggio di ribellarsi al padre e decide di trasferirsi a Londra, si apre per lui la porta del successo, ma si chiude quella dei legami familiari.
A Londra viene affidato al maestro Parkes, che vede da subito in lui i “lampi del genio” e lo prepara a realizzare il suo sogno (ma anche il sogno di suo padre) di eseguire in maniera eccelsa il “Rach 3” di Rachmaninov. La vittoria tanto attesa e l’invio al padre della medaglia ottenuta sembrano rappresentare la realizzazione di un “mandato paterno” e la possibilità di ricostruire un rapporto che su queste stesse basi si era paradossalmente distrutto. Ma il ripudio paterno, il conflitto derivato dall’ambivalenza di un legame forte e distruttivo, il distacco dalla famiglia, la solitudine, il disadattamento sociale, il tentativo frustrato di ritornare ad un “amore malato”, acuiscono in lui la sofferenza, il dolore e preparano la strada ad un allontanamento dal mondo.
Ma l’imprevedibilità della vita travolge e sorprende al di là di ogni ragionevole previsione o speranza, il tempo ricomincia a scorrere, incontri imprevisti permettono di vivere una nuova “stagione”, l’amore sano viene a curare le ferite, in primo piano ora c’è la vita presente e sullo sfondo il passato.
L’emergere in primo piano del difficile e patologico rapporto tra padre e figlio e del connubio genialità- follia dipana una storia apparentemente estranea allo spettatore, ma le suggestioni fornite dal regista portano lo spettatore ad intrecciare i fili che collegano il proprio presente, la propria storia personale al passato e all’immaginazione del futuro, quei fili che fanno riemergere ricordi di legami importanti e sempre presenti, ricordi di piccole o grandi ferite, di piccoli o grandi dolori, di amarezze per i sogni infranti, che sembravano avere il potere di fermare il tempo, di tenere in sospeso. Ma nulla rimane per sempre immobile, ad una stagione segue un’altra e porta con sé i nuovi frutti, le gioie, i successi, l’amore e così i ricordi sbiadiscono, i dolori si affievoliscono.
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