Perché umiliare Carolina Kostner?

SEGNALAZIONE

[Questo è il testo di una segnalazione presentata all’Ordine Psicologi del Lazio dal dottor Brusca, psicologo dello sport, che l’ha voluta inoltrare anche a noi, per conoscenza]

Al Presidente dell’Ordine degli Psicologi del Lazio.

Sono Mauro Busca psicologo, psicoterapeuta e psicologo dello sport.

Scrivo per comunicare il mio sdegno per le parole rilasciate dal presidente del CONI Gianni Petrucci al Tg1 delle 20 andato in onda questa sera, venerdì 26 febbraio 2010:

http://www.tg1.rai.it/dl/tg1/home.html

Commentando la deludente prestazione della nostra atleta Carolina Kostner e chiamato a dare un suo parere sull’utilizzo dello psicologo nella preparazione sportiva, ha affermato quanto segue:

” Non ho mai creduto in queste figure. perché si e’ campioni? si e’ campioni perché si batte un avversario, perché si vincono battaglie difficili, perché si e’ soli, un allenamento duro, e quando si ricorre a queste figure, la mia esperienza mi dice che non servono.” e poi “io dico che i campioni si vedono nelle gare difficili, probabilmente non e’ una campionessa. la prima delusa e’ lei, ma gli altri delusi siamo noi che abbiamo creduto in lei.”

Io credo sia importante che l’Ordine difenda la professione e la professionalità degli psicologi, specialmente quando a rilasciare affermazioni così gravi e superficiali è il presidente del CONI, massimo rappresentante dello sport in Italia.

Inoltre, quanto affermato è diseducativo verso i giovani che ricevono il messaggio “nello sport conta solo vincere, altrimenti non sei niente” e questo non è tollerabile.

Per non parlare dell’aggressività rivolta in modo irrispettoso verso una persona, Carolina, che ha dato il meglio di sé nella gara della sua vita, senza riuscire [la giornalista commenta la prestazione dell’atleta attribuendole una “condizione mentale fragile” e “forti limiti caratteriali”, n.d.r.].

Concludo dicendo che il messaggio del presidente Petrucci getta discredito sulla figura dello psicologo, come accade troppo spesso nel mondo dei media, e l’opinione pubblica si nutre di questo.

Forse è tempo di dire la nostra.

Mauro Brusca

COMMENTO A CURA DEL PROF. DIEGO POLANI

Il 26 sera con un’intervista al TG1 il presidente del CONI Gianni Petrucci, alterato per la performance di Carolina Kostner, attacca quei “mental coach” che si stanno infiltrando nel mondo sportivo confondendo il loro operato con quello di coloro che hanno una preparazione in Psicologia dello Sport. Quindi è comprensibile la sua posizione, che tende a colpire questi falsi professionisti (motivatori, counselor, preparatori mentali, ecc.) i quali, grazie ad un marketing personale basato sull’effetto e sulla menzogna, hanno purtroppo più visibilità di professionisti realmente preparati e seri. D’altronde in una nazione come la nostra dove l’immagine passa sopra ogni reale competenza che cosa possiamo aspettarci?

Ciò non toglie che la categoria tutta, quella seria non fatta da venditori di fumo, è giustamente alterata e come Presidente della Società Professionale Operatori in Psicologia dello Sport e delle Attività Motorie non potevo astenermi dall’inviare un comunicato stampa di risposta a cui sta seguendo una dettagliata lettera che verrà inviata per conoscenza a tutti i Presidenti degli Ordini regionali degli Psicologi, oltre che alla redazione di Osservatorio psicologia. Nel frattempo potete leggere il comunicato stampa ufficiale sul sito www.psicosportprofessionale.eu, sito su cui verranno pubblicate anche le lettere annunciate.

Il problema è legato alla reale conoscenza di ciò che può fare o non fare una determinata categoria professionale ed è sempre di più attuale ed importante. Sicuramente una delle professioni più inquinate da confusioni di ruolo è proprio la psicologia che viene vissuta principalmente dall’utenza, in maniera errata, come una professione esclusivamente sanitaria, oppure come una professione dove chiunque, laureato in tale materia, o no, può spaziare da un’area all’altra. Questo problema riguarda, di fatto, le fantasie, le aspettative e i pregiudizi relativi al servizio offerto.

L’idea del classico modello “medico”, ossia quella che riduce la prestazione dell’esperto al diagnosticare un male e a proporre una ricetta che “serve per curare” il paziente al fine di “eliminare” questo male ed ottenere una guarigione, condiziona spesso le fantasie più o meno consapevoli di chi chiede aiuto ad uno psicologo, anche se in questo caso si dovrebbe fare affidamento ad uno psicoterapeuta. Questo avviene a maggior ragione negli atleti, o in coloro che, ricercando un intervento per i loro atleti, si trovano a richiedere un aiuto psicologico: cercano aiuto da persone che non essendo laureate in psicologia danno più garanzie di non far sentire l’atleta nei panni di un malato da curare, almeno dal punto di vista dell’immaginario personale.

Spesso la fantasia popolare, come già accennato, è quella del modello medico ed è ancora più pericolosa perché gli atleti molte volte non hanno nessuna problematica psicopatologica e giustamente rifiutano l’idea di essere “curati” per aspetti psicologici che “non li riguardano”. L’equazione in questo caso è “psicologo-medico” uguale “malato”, e la conseguenza di ciò una serie di reazioni difensive con un rifiuto della figura dello psicologo dello sport.

Altre situazioni invece, vedono alcune persone immaginare assurdamente l’intervento dello psicologo come l’ultima spiaggia, prima della competizione importante, quasi lo psicologo fosse un “mago” con poteri non ben definiti. In questo caso è possibile osservare casi trattati da operatori non preparati e non formati nella specifica specializzazione (o addirittura personaggi quali i motivatori, i “mental coach” o i counselor che spesso operano senza titoli universitari) dove si opera essenzialmente senza regole ben definite e dove, nella maggior parte dei casi, gli atleti subiscono una sorta di lavaggio del cervello senza che vengano analizzati più profondamente l’umore e le emozioni, facilitanti ed inibenti, che spesso sono alla base di un lavoro più duraturo. Ultimamente si sono letti casi di atleti che sono stati convinti di aver superato i loro problemi con semplici formulette da ripetersi mentalmente, ma che poi in realtà continuavano ad accusare i loro sintomi mascherati da piccole alterazioni fisiologiche.

Questo sicuramente alla lunga crea una diffidenza nei confronti della figura professionale dell’operatore in psicologia dello sport, ed è quindi comprensibile una tale reazione da parte del presidente del CONI.

E allora lo psicologo dello sport che competenze ha? Che può fare? Come lo fa? Si è in grado di capire se è bravo nel suo campo? Da che lo si può capire? In che caso si potrà dire che il suo lavoro “funziona” ed è propositivo?

Questi sono i classici interrogativi che si pongono ancora oggi atleti, allenatori e dirigenti.

Un professionista preparato, e comunque formato in questa specialità professionale, è sicuramente quello che informa in maniera puntuale e precisa il suo committente con una proposta di obiettivi che siano e comprensibili e raggiungibili.

Ricordo che nel caso in cui una società sportiva, una federazione o il singolo allenatore siano il “committente” dell’intervento dello psicologo dello sport sui loro atleti, spesso sono nella condizione di dover convincere il loro atleta che questo supporto serve, ma, di fatto, non hanno ben chiaro il tipo di prestazione che l’esperto in psicologia dello sport può offrire.

Lo Psicologo dello Sport ha in definitiva il compito di valutare e assistere, senza fare psicoterapia, tutti gli utenti sportivi e motori tramite tecniche che prevedano una valutazione psicologica che possa permettere di arrivare ad una conoscenza approfondita e reale del soggetto.

Tutto ciò al fine di prevedere quelli che in gergo professionale vengono definiti punti di forza ed “aree di miglioramento in termini di abilità mentali” (U. Manili), al fine di ottimizzare quelle strategie mentali che vengono normalmente utilizzate. Ma non solo, ciò dovrà portare il soggetto ad avere obiettivi realistici, e grazie a ciò il professionista si troverà ad usare quegli strumenti e metodi secondo lui più idonei anche in funzione del profilo psicologico (pensieri, emozioni, bisogni, aspirazioni …) precedentemente acquisito non solo con i test ma anche con i dovuti colloqui.

Lo psicologo dello sport, secondo quanto scrive Giuseppe Vercelli, è prima di tutto lo psicologo della normalità che opera a livelli eccezionali, cioè “colui in grado di servire la genialità, intesa come potenziamento di facoltà che gli individui utilizzano sempre a livelli minori”.

L’operatore professionale in psicologia dello sport diventa quindi un facilitatore e mediatore dell’ottimizzazione della prestazione, laddove si operi con atleti, cercando nella normalità, e di conseguenza, abolendo quella parte esclusivamente clinica che tratta solo di patologia, al fine di esaltarla per suscitare e stimolare quelle che vengono definite intelligenza motoria e intelligenza agonistica.

E’ inoltre importante ricordare che oggi, più che mai, l’intervento dell’operatore in psicologia dello sport, ad altissimo livello, inizia ad essere indirizzato verso i tecnici al fine di operare un lavoro di consulenza sul campo. Ossia individuare quelle singole particolarità degli atleti legate alla motivazione, all’attivazione, ecc. per consigliare il tecnico di volta in volta su come relazionarsi e, quindi, indirizzare le tecniche di allenamento in funzione degli obiettivi preposti. Questo anche perché spesso si è notato che la cattiva performance è guidata da una sorta di leadership non positiva da parte del tecnico nei confronti del team di atleti che assorbendo la negatività inconscia del tecnico stesso arrivano a fare prestazioni non ottimali.

Per raggiungere questi risultati gli operatori in psicologia dello sport e delle attività motorie si avvalgono, quindi, di metodi scientifici validi, devono rispettare i limiti degli sportivi e rispondere in modo competente, serio e soprattutto franco alle domande ed ai dubbi che sorgono, devono essere trasparenti e quindi pronti ad ammettere i loro limiti e rilevare la fonte da cui provengono le loro competenze.

Infine ricordo che l’aspetto più importante è quello di far capire ai nostri committenti che non siamo “maghi” e che il nostro è un lavoro di sinergia con le altre professionalità che lavorano in aiuto ai tecnici in funzione del risultato atletico da un lato o motorio con finalità di benessere dall’altro, e non per un nostro appagamento narcisistico.

Un secondo aspetto è quello che riguarda l’intervento della nostra categoria in quell’area non sportiva ma legata alle scienze motorie, ossia al movimento e quindi al benessere.

Si sa che l’emozione è il carburante del movimento ed aiuta a stimolare la propria autostima.

Molti studi di neuropsicologia e psicologia cognitivista hanno dimostrato che la memoria è prima sensoriale e motoria e che le sensazioni corporee favoriscono la creazione di immagini. Immagini che forniscono informazioni sulla posizione del corpo nello spazio e sul movimento ed immagini mentali che conservano la memoria di tutti gli accadimenti della nostra vita. Se ne deduce quindi, che l’immagine è la rappresentazione mentale di un oggetto esterno che diventa interno, è l’effetto di un processo di interiorizzazione. Quando c’è un blocco emozionale o un sintomo, c’è il tentativo di evitare il contatto con eventi considerati minacciosi, che inducono aspettative catastrofiche a causa di interiorizzazioni negative (giudizio, umiliazione frustrazione).

Nella vita ogni effetto è determinato da uno schema di pensiero che lo precede e lo perpetua; la rappresentazione mentale che si ha di noi stessi e della realtà influenza le nostre esperienze e fa sì che si ripetano, è come un circuito chiuso; modificando questa rappresentazione mentale si possono modificare le nostre esperienze e trasformare il malessere in benessere.

Nelle attività motorie si può creare un ponte, mediante il movimento, con quegli eventi considerati minacciosi. Il linguaggio del corpo, quindi, crea un contatto con la nostra mente e permette  di ritrovare, in modo ludico, quella via che ci porta ad acquisire benessere. Il nostro compito è quello di aiutare i tecnici laureati in scienze motorie ad intervenire in maniera sana in funzione di un’attività legata al benessere, per gli adulti, o all’apprendimento di regole e al mantenimento della salute per i giovani.

Diego Polani

Presidente Nazionale Società Professionale Operatori in Psicologia dello Sport e delle Attività Motorie.

Cattedra di Psicologia dello Sport Facoltà di Medicina e Chirurgia Firenze – Corso di Laurea in Scienze Motorie.

Cattedra di Psicologia dello Sport Facoltà di Medicina e Chirurgia Firenze – Corso di Laurea Specialistica in Scienze e Tecnica dello Sport.

Chiara Santi

Author: Chiara Santi

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6 Comments

  1. La psicologia dello sport è una cosa seria e deve crescere, ma dell’intervento di Petrucci bisogna dire qualcosa. Con sdegno, anch’io!

    Sono stata sportiva, insegnante di ed fisica, allenatrice di squadre giovanili (per oltre vent’anni) e ora psicologa e psicoterapeuta: dire quello che Petrucci ha detto, nel modo in cui lo ha detto e nel luogo (meno riservato di così era impossibile!)
    FA MALE ALLO SPORT – vincere e non impegnarsi a migliorare, mettersi alla prova, crescere come persone
    FA MALE AI GIOVANI che lo praticano – se non va siete dei falliti e con voi chi vi ha aiutato
    FA MALE A TUTTI perchè dà l’idea profondamente diseducativa per la quale il valore di una persona si realizza solo se arriva al top e … da sola.
    Quante persone vedo in studio, distrutte da anni di sofferenza passati a dirsi “ce la devo fare da solo” prima di chiedere un aiuto. Quanto dolore inutile pur di non accettare i propri limiti, sola condizione che permette di lavorare per superarli.

    Carolina Kostner, se “non è all’altezza” non la si mandi alle Olimpiadi, non la si “scarica” quando ci si sente sconfitti; ma visti i risultati delle ultime Olimpiadi estive e invernali, forse è la classe dirigente dello sport italiano che dovrebbe mettersi in discussione o essere scaricata, insieme a una scuola che tratta lo sport come una perdita di tempo invece che uno dei (pochi) ambiti in cui i ragazzi possono scoprire il PIACERE di IMPEGNARSI per raggiungere degli obiettivi.

    Ancora una nota educativa: Obama, di fronte a un possibile attentato dichiara al mondo di essere personalmente responsabile degli errori commessi dalla Cia in quanto ne rappresenta il vertice. Un leader fa così: si assume le responsabilità del gruppo che dirige e si tira dietro ragazzine “fragili” e “atleti potenzialmente”…. mai realizzati(atletica leggera???).
    Forse qualche psicologo in più potrebbe fornire competenze in tante aree: leadership, formazione dei giovani, high performance, atteggiamento cooperativo…
    Ma certo in Italia si è ancora a dire se si “crede” o no alla psicologia: e io che pensavo che fosse una scienza!

    A Carolina vorrei dire che ha sicuramente sbagliato qualcosa, forse molto, ma la delusione va ascoltata, accolta, spiegata a se stessa. Si fermi a riflettere: cerchi di sentire dove vuole andare e poi, se il pattinaggio è parte di lei, se ha voglia di raggiungere quello per cui ha lavorato tutti questi anni, continui a darci il meglio di sè. Questo è quello che conta.

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  2. Carolina sapeva che doveva vincere, per forza! è questo il messaggio che viene dato, a tutti, ad ognuno nella sua tappa evolutiva; è normale che ci siano aspettative così forti nei confronti di un’atleta del suo calibro ma non può esser fatto passare per normale che se queste aspettative vengono in qualche modo deluse, tutte le persone intorno insorgono contro quella stessa persona che prima tanto ammiravano e poi più nulla…finita la stima, l’affetto, la voglia lo stesso di credere in lei, il rispetto per una campionessa che vinca o no, dedica la sua vita ad uno sport – disciplina molto faticoso portando avanti la bandiera italiana, lanciando messaggi positivi, di grande volontà, di freschezza e di una gioventù che sembra molto lontana dalle cronache di cui tutti siamo abituati…e solo per questo giovani ed adulti dovrebbero esserne orgogliosi di essere rappresentati in questo modo. Ok esse delusi, visto le aspettative, ma non rabbiosi o indignati come se la non vittoria rappresenti la fine di tutto…così non aiutiamo nessuno a rialzarsi perchè non ce ne sarebbe motivo, è tutto finito! neanche sportivamente mi sebra abbia una sua logica ciò. Rimaniamo con i piedi per terra noi nel dare quasti messaggi agli atleti e soprattutto a bambini e giovani che inizialmente possono seguire gli atleti come modelli, per poi finire di essere tali se non vincono e disorientati scambiano nuovi ruoli e modelli con l’aggressore o il vendicativo deluso, insomma con quello che in quel momento vuole la società. E se addirittura lo fa capire il presidente del Coni…è fatta!!

    Dott.ssa G.Petrangeli
    Operatore Clinico in T.A
    e Assist.Clinico alla maternità.
    Acquamotricista.

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  3. Sono psicologa, psicoterapeuta e psicologa dello sport. Ho sempre avuto una passione per lo sport e ne frequento gli ambienti da 30 anni, prima come atleta e ora come professionista.
    Ho lavorato per diverse federazioni, gruppi sportivi, società sportive e con singoli alteti.
    Mi stupisco ancora nel constatare che spesso è il committente stesso (dirigenti, tecnici ecc) il primo a non credere al nostro lavoro, anche di fronte a buoni e tangibili risultati degli atleti.
    Sono comunque rimasta allibita nel sentire le parole del presidente del Coni, Petrucci, dopo la sconfitta della povera Carolina. Dico povera perchè purtoppo in molti si sono dimenticati che l’atleta è prima di tutto una persona e non come forse qualcuno s’aspettava una macchina programmata per vincere (e per portare lustro e vantaggi all’istituzione).
    Mi voglio quindi associare allo sdegno di chi, come me, si oppone a questa visione dello sport solo in virtù dei risultati e delle prestazioni e a chi, crede, che una professione che tanto può dare affinchè le persone possano far rendere al massimo le proprie potenzialità, non venga svalutata in questo modo.
    Sono anche consapevole che in questo, come in tanti ambiti, non si possono ottenere consensi unanimi ma sono anche convinta che continuando a lavorare rispettando le persone e le loro emozioni, fornendogli strumenti da integrare alle proprie modalità, creando rapporti di fiducia che non vengono traditi, favorendo la comunicazione fra le parti…..questo è un ambito dove molte sono le soddisfazioni e gli sviluppi possibili.
    Grazie per questo spazio in cui poter comunicare tutto ciò.

    Annalisa Avancini

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  4. insegno arti marziai da trentaquattro anni sono stato atleta e a 52 anni ancora ho l’onore di rappresentare l’Italia in campionati mondiali europei e internazionali. non sono laureato in psicologia, sono un coach. e se da una parte condivido lo sdegno di trattare(come hanno fatto anche con me) Carolina come un cavalo che se corre e vince ha lo zuccherino , ma se perde è carne da macello, non sono d’accordo sullo sparare a zero su chi è definito personaggio e falso professionista. mia moglie è una psicologa, psicoterapeuta e counselor e ho studiato con lei quando si è laureata; ma la laurea non le ha insegnato a lavorare ha imparato facendo il suo lavoro e studiando in pratica cosa si deve fare. esattamente come chi si avvicina al coaching deve fare. comodo difendere la corporazione sparando a zero e a casaccio, anteponendo un titolo che non sempre è sinonimo di garanzia. ai nostri ragazzi all’università nessuno insegna come si lavora. tanta teoria e tanti baroni che si autocompiacciono del suono della loro voce. con la triennale poi hanno dato il colpo di grazia. non accetto lo scaricabarile per difendere una corporazione. anche perchè sonole persone che fanno un ottimo professionista, non un titolo. lo sappiamo bene tutti quanti. come coach lavoro su come risolvere una problematica aiutando le persone a darsi le risposte giuste facendosi le domande giuste. ma so quali sono i miei limiti e avendo studiato e avendo accando una ottima psicologa posso fare un ottimo lavoro in tandem. Carolina è stata messa al rogo da chi non ha idea della complessità della personalità di un atleta di alto livello. siamo numeri. se porti medaglie c’è onore. se perdi finisci nella fogna.
    chi gareggia e si mette in gioco ha già vinto rispetto a chi paga il biglietto e critica. ci sono gare buone e meno buone. e tutto si può migliorare. tutti si può migliorare. ma nel rispetto. petrucci ha perso un ottima occasione per tacere

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  5. Sono psicologo e formatore del Comitato Italiano Paralimpico e penso che il principale errore di esternazioni come questa di Petrucci sia il considerare lo sport come un’attività in cui o si vince o si perde, in cui è solo il risultato quello che conta, in cui sbagliare non è concesso, in cui l’atteggiamento psicologico e la preparazione mentale siano elementi trascurabili, in cui se sei un vero campione non puoi concederti di essere umano. Il Presidente del CONI ha delle responsabilità anche e soprattutto verso i giovani, che spesso prendono i propri beniamini dello sport come modello. Petrucci non ne ha tenuto conto. Ma così non si lascia più spazio al grande valore pedagogico, educativo e sociale dell’attività sportiva, alla enorme potenzialità di autorealizzazione personale e crescita che consente uno sviluppo sano di molti giovani. Credo si tratti di un problema culturale, dell’idea stessa di sport e di competizione ormai troppo legata al mero risultato e non più all’impegno, alla fatica ed al miglioramento, al divertimento, alla condivisione di emozioni. O sei un eroe o sei “bollito”.
    Nel caso specifico di atleti diversamente abili, per i quali il C.I.P. si impegna da anni, vorrei ricordare che la vittoria non risiede solo nella medaglia, ma soprattutto nella possibilità di realizzarsi come persona, di non stare a guardare ma essere protagonista, di non sentirsi un emarginato ma uno che può dire la sua, nonostante le grandi difficoltà e grazie anche al lavoro di tanti psicologi ed educatori sportivi che mettono l’atleta al centro della loro attività e non vedono la medaglia come unico obiettivo.
    Scrive Julio Velasco: “Sarebbe bello che i giovani comprendessero che i grandi campioni non sono di un altro pianeta e tanto meno un mito. Sono come noi, solo più bravi. Hanno anche loro paura, ma riescono a superarla. Anche loro sbagliano, ma non si demoralizzano e riprovano. Avere talento è un dono, il merito è saperlo utilizzare. Può arrivare ai vertici sia l’atleta di talento sia chi, avendone meno, supplisce con la volontà.” (presentazione all’ed. italiana di Psicologia e attività sportiva di R.J.Butler, Il Pensiero Scientifico Ed.)
    Penso che il Presidente del CONI abbia perso una occasione per diffondere questa idea sana di sport.

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