Il “caso” Morgan: Trasgressione apparente, libertà obbligatoria
SEGNALAZIONE
Nella trasmissione di ieri sera, 25 febbraio, era ospite Morgan; poichè è stato la vera guest star di tante trasmissioni dopo l’eliminazione da Sanremo, dubito che tutto non sia stato montato per dargli visibilità e maggiore pubblicità. Ma la cosa che mi ha particolarmente indignata è il messaggio passato, non solo dalle sue parole ma anche dalle parole dette da Adriano Celentano intervenuto telefonicamente nella trasmissione, che se si è depressi basta prendere dei farmaci che è uguale a farsi un striscia di cocaina per tirarsi su. La cosa che mi indigna è che il messaggio arrivato a molti è che la droga viene paragonata a determinati farmaci usati in psichiatria e che può curare la depressione, a monte della quale c’è, invece, un malessere psicologico e un malessere dell’anima a cui i farmaci da soli, e la droga soprattutto, non possono porre rimedio.
Grazie.
dott.ssa Daniela Giunta
FONTE ORIGINALE
PARERE DEGLI ESPERTI
Prof. Roberto Cafiso
E’ singolare che in un Paese si debba affrontare la questione droga, rispolverandone contenuti pro e anti proibizionisti, a seguito dell’outing di un cantante. Morgan in fondo ha costretto alcuni programmi di opinione e parecchia carta stampata ad occuparsi del suo caso. Prima e dopo (già da adesso) un atteggiamento dormiente della collettività, tra rimozione, banalizzazione e “così fan tutti, non c’è problema”. Neppure la positività di un anonimo parlamentare al test segreto sulla cocaina ha solleticato più di tanto l’opinione pubblica. Nel dimenticatoio in pochi giorni.
Sulla questione Morgan abbiamo ascoltato difensori d’ufficio, PM e collegi giudicanti improvvisati. Ognuno però sul tema resta della propria idea e questo perchè quello delle dipendenze patologiche è un campo ove ciascuno ha un’opinione che pesa tanto quanto le evidenze scientifiche e cliniche che, d’altronde, non ci si affanna a conoscere, per timore di criticizzarsi.
La cocaina non è un antidepressivo. Gli antidepressivi sono farmaci con effetti collaterali che vanno assunti sotto controllo medico, a tempo e spesso associandoli ad interventi di psicoterapia. Gli antidepressivi, come hanno dimostrato ricercatori dell’Istituto Rootman di Toronto hanno la stessa valenza terapeutica ed analoghi esiti positivi rispetto alle terapie cognitivo comportamentali. I primi, secondo alcune ipotesi, agirebbero sulle arre sottocorticali deputate all’emotività, le seconde sulla corteccia “aiutandola” a interpretare in modo più funzionali alcuni stimoli dell’ambiente.
La cocaina quindi non è codificabile come una sostanza da assumere in autoterapia, anche se molti assuntori lo fanno più o meno inconsapevolmente. Il rischio è che essa, così come è noto da diverse esperienze con i ratti e gli umani, crei un solco di apprendimento ineluttabilmente uncinante e che da iniziale “rimedio” diventi “il male”. La cannabis pur collocandosi su di un terreno farmacocinetico e culturale diverso dalla cocaina , ha molte implicazioni con le variazioni cerebrali tipiche delle sostanze psicotrope, è responsabile di sindromi note come amotivazionali (tipiche di chi studia), interagisce direttamente col sistema immunitario fiaccandolo e per gli americani è una sostanza “da cancello”, che dispone ad accedere ad altro. Ma questo più che per le implicazioni farmacologiche per legge di mercato, perchè il pusher di cannabis vende contemporaneamente altre sostanze meno leggere, se vogliamo chiamare il THC ad oggi una droga leggera, concetto eufemistico e scientificamente scorretto. Nicotina ed alcol non sono da meno: ma il potere inquinante di queste sostanze legali non giustifica altra “concorrenza sleale”. Non ci si può preoccupare solo di inquinamento atmosferico oggi senza un occhio a quello umano. Sarebbe riduttivo oltre che ipocrita. Se non si ha rispetto per se stessi è difficile averne per i luoghi fisici ove si vive e si respira.
In sostanza siamo da vent’anni in un ‘emergenza sottosoglia, assimilata e dunque “non più emergenza”. In molti paesi occidentali, Italia in testa, i problemi quando diventano di grande portata si abrogano. Le famiglie che hanno il disagio in casa perciò restano più sole, si vergognano e implodono con sensi di colpa che purtroppo non aiutano ad affrontare problemi come quello per cui Morgan è diventato ulteriormente un personaggio senza nulla togliere tuttavia al suo disagio personale a cui forse si è meno interessati.
Roberto Cafiso
Prof. Carlo Viganò
Propongo alcuni spunti di giudizio a partire dalla mia esperienza di “esperto” di terapia, cioè di quel laboratorio sperimentale che è la cura di una persona. E’ un laboratorio, il mio, dove sono passate migliaia di casi, sia psichiatrici che di tossicodipendenza.
- 1. Il caso Morgan viene sottratto all’etica ed alla scientificità della clinica quando diventa un caso mediatico. L’impostura della privacy è quella di esibire la condizione singolare di un soggetto per trarne considerazioni di ordine terapeutico, con la sola avvertenza di oscurare la condizione soggettiva della terapia di quel soggetto particolare. Con la complicità dello stesso soggetto si divulga un elemento della sua decisione particolare (l’uso di una sostanza, come in altri casi le modalità di godimento sessuale, alimentare, anale, ecc.) per farne un argomento pro o contro quella particolare scelta di godimento soggettivo. Che il soggetto sia consenziente a quest’uso propagandistico della sua particolare scelta di cura personale, non giustifica minimamente questa prassi. Essa infatti non fa che rafforzare il potere del superio, della spinta sociale a particolari soluzioni individuali, che è ormai assodato essere alla radice del disagio della civiltà e quindi di quella che oggi viene chiamata “depressione”. Ciò che rende clinico un caso è il rapporto soggettivo con la legge che esso mette in gioco, quello che chiamiamo “desiderio”.
- 2. E’ vero che il sapere scientifico, quello della biochimica, ma anche quello delle neuroscienze, non è tale da distinguere la droga dal farmaco. Tutte le droghe oggi impiegate sono passate dai laboratori di ricerca farmacologica. Un esempio per tutti: oggi i derivati della cannabis sono tra le sostanze più studiate per affrontare alcune malattie degenerative del sistema nervoso, come il Parkinson. In particolare tutte le droghe hanno un valore di anestetico, sono al servizio del principio di piacere (riduzione a zero del dolore). Tant’è vero che la parola Pharmakon in greco significa sostanza tossica (Platone ne parla nella seconda parte del Fedro, paragonandolo all’invenzione della scrittura, oggi diremmo della realtà virtuale). Il suo buon uso è quindi legato alla “paideia”, al gioco con cui la sostanza può permettere di apprendere a sopportare il dolore, di fare della memoria un esercizio e non di favorire l’oblio. Questo è il lavoro clinico, l’arte della terapia: fare del farmaco un oggetto transazionale. Ciò che è quindi essenziale è l’uso medico e non la prescrizione. Quest’ultima era sorta come via per garantire la mediazione (medicina e mediazione hanno la stessa radice), ma oggi questo valore si è perso proprio per la trasformazione della pratica medica in “servizio”.
- 3. A livello della droga questa trasformazione ha dato luogo alla pseudo-alternativa tra proibizionismo e antiproibizionismo. La disposizione di legge che stabilisce una lista di sostanze che sono da vendere solo su prescrizione medica non affronta il problema della terapia nel caso singolo. Questo è un compito culturale, di civiltà e consiste nel prendere in considerazione la domanda del soggetto, che riguarda la sua relazione con il disturbo, ad esempio con la depressione. Solo agendo sulla relazione il disturbo può essere curato. Ogni promessa di agire direttamente sul disturbo produce solo anestesia temporanea ed aggravamento del sintomo depressivo. Tutti gli studi clinici di follow-up stanno a dimostrarlo. Il servizio dato direttamente alla risoluzione del sintomo, se lascia il soggetto nel suo “non volerne sapere” contribuisce a spegnere ulteriormente la sua capacità di desiderare, la sua voglia di vivere. Tanto è vero che oggi uno dei temi più scottanti della pratica medica è quello dell’uso “dipendente” di farmaci, di diete, di interventi chirurgici, ecc.
- 4. In altri termini prescrivere una sostanza o un trattamento a prescindere dalla relazione, dal suo cosiddetto effetto placebo, significa trasformarne l’effetto in quello di una droga. Preciso che agire sulla relazione, ancora una volta, non equivale ad agire sull’ambiente, a fare campagne di prevenzione, ma produrre un lavoro personale di elaborazione. Prova ne sia che uno dei siti più frequentati dai “drogati” è quello creato dal Ministero della Sanità dove vengono fornite informazioni dettagliate sugli effetti delle singole sostanze. I ragazzi ne traggono indicazioni per fare un uso oculato di dosaggi, alternanze e coktail al fine di evitare gli effetti invalidanti, perlomeno nell’attualità, dell’uso delle sostanze. La legge infatti non ha effetti diretti nel reale di una singola esistenza, ma è una funzione del processo dell’esistenza. Al di fuori del processo, e quindi dall’etica soggettiva e clinica, la legge viene impiegata come la scienza, può aggiustare la macchina e mette a riposo la decisione del guidatore. E’ proprio questo pensionamento che tende a produrre disagio e depressione (il malessere dell’anima di cui parla la dottoressa Giunta).
COMMENTO REDAZIONALE A CURA DELLA DR.SSA ANNA BARRACCO
Per giorni e giorni la dichiarazione del cantante Morgan ha campeggiato sulle prime pagine dei quotidiani e ha fatto, stranamente, scandalo.
Ci si potrebbe però chiedere come mai un “outing” del genere, in un periodo storico in cui sembra che nelle acque dei nostri fiumi si trovino significative concentrazioni di cocaina; in un momento in cui c’è chi seriamente ha proposto che una legge imponga il controllo dei valori ematici dei parlamentari; una notizia del genere possa generare scandalo. E infatti un po’ ce lo si è chiesto, con il solito stile da “tribuna politica”, come giustamente sottolinea il prof. Cafiso, con il solito gioco delle parti di chi accusa e di chi difende
Una pista possibile da seguire è certamente quella indicata dal prof. Cafiso, e cioè la pista della società della “doppia morale”, la società ipocrita, che non ne vuole sapere del disagio crescente, che si preoccupa della pulizia dell’ambiente ma poi non si pone il problema degli stili di vita nella stessa ottica.
La stessa pista, in un certo senso, che ritroviamo nell’altra segnalazione di questo mese, quella sul gioco d’azzardo e sui suoi possibili effetti nefasti sulla psiche.
Ma la segnalazione della dott.ssa Giunta si fissa su un punto – il continuum fra droga e psicofarmaci da una parte, e l’abolizione di ogni riferimento alla necessità di introdurre una cura all’interno di una cornice relazionale, e quindi di senso, dall’altra – che credo permetta di “leggere” davvero i motivi per cui l'”outing” di Morgan, personaggio pubblico, possa aver fatto scandalo.
Il discorso sociale oggi dominante infatti, come sottolinea Carlo Viganò, tende a indurre ad una scelta di godimento assoluto. Tutti possono, anzi devono godere. Le scelte possono essere infinite, il supermercato degli oggetti è a disposizione di tutti e la spinta è ad un godimento individuale, sempre più solitario, nel senso di una scelta fuori controllo, fuori norma sociale, che è valida anche solo per me. Quando, quanto e come voglio; ciò che viene meno è la possibilità di un uso simbolico, mediato, cioè in qualche modo scambiabile.
Morgan dice di usare “la droga” (cioè un oggetto di trasgressione, un oggetto vietato, un “farmaco” auto-prescritto, auto-procurato, auto-somministrato) per curare la depressione.
Dunque infrange due tabù. Quello di ammettere pubblicamente l ‘uso di una sostanza vietata per legge ( il cui uso è però largamente ipotizzato tra i “vip” con un’idea però di godimento trasgressivo e senza limiti) e di usarla però per “curare” un disagio.
Con ciò egli ammette che anche le droghe possono servire a curare il “male di vivere”, altra cosa che è forse fin troppo facile intuire, se si pensa all’aumento indiscriminato delle dipendenze, che siano da sostanza o da comportamenti.
La dott.ssa Giunta si domanda se sia giusto avvicinare le droghe agli psicofarmaci, ed effettivamente Viganò risponde che la maggior parte delle droghe oggi utilizzate in medicina vengono dalle droghe tout court. Del resto, ciò che fa di un “farmakon” un veleno ovvero un rimedio è “la misura” (la radice “med” di medicina, sembra che venga da “misura”, esattamente come l’idea di soddisfazione, sazietà, viene da “satis”, abbastanza, nella giusta misura), cioè la possibilità che un oggetto possa essere introdotto in una cura, solo dopo che si è compresa la particolare relazione che quel particolare soggetto ha con il suo disturbo (per es. la depressione).
Oggi però purtroppo quest’idea di “misura”, è ridotta all’idea di “prescrizione”. Il farmaco diventa nocivo se non è assunto “dietro prescrizione medica”. Ma la prescrizione, se perde il suo valore di dialogo, di “paideia”, dice Viganò citando Platone, cioè se si riduce ad un “servizio impersonale” avulso dalla relazione, se non è un progressivo apprendimento di un “saperci fare” di quel preciso soggetto con il suo godimento, non tiene il soggetto al riparo dalla dipendenza. Oggi infatti, che gli antidepressivi sono in fascia A, la spesa sanitaria aumenta a dismisura, ma a dismisura aumenta anche la depressione. Né diminuisce l’uso delle altre droghe, che anzi aumenta. Aumenta il numero di droghe, legali e illegali, e aumentano i soggetti che soffrono di depressione, perché ciò che tende ad andare perduto è appunto il rapporto singolare con la propria sofferenza e la possibilità di apprendere come farvi fronte, all’interno di una relazione che sia in grado di aiutare il soggetto a regolare, appunto il proprio godimento in un diverso e particolare rapporto con il proprio limite, e quindi con una propria elaborazione della legge.
E’ questo che oggi tende a mancare, c’è la spinta ad un godimento illimitato, e se non ce la si fa da soli, allora il grandec supermercato della post modernità ci dice di rivolgerci alla scienza, che però risponde solo a partire dai protocolli e tende ad eliminare la relazione soggettiva. La questione della legge, e del rapporto singolare che il soggetto deve riuscire a ricavare fra godimento e legge, viene ridotto all’idea della “prescrizione” al servizio standard. In questo modo, il desiderio viene ucciso.
Morgan è scandaloso perché dice di usare la droga perché sta male; Celentano alla fine dice soltanto ciò che è ovvio per tutti gli “uomini della strada”: si beve per dimenticare, ci si stordisce per non sentire il dolore. In questo modo obbligano la scienza medica a riposizionarsi, e a precisare che i farmaci non sono droghe, innanzi tutto perché vanno assunti solo su “prescrizione medica”. Meglio sarebbe dire che i farmaci non sono droga nella misura in cui vengono inseriti all’interno di una relazione, che è un laboratorio inter-umano all’interno del quale i soggetti si riappropriano della capacità di gestire il proprio godimento, ritrovano un limite e un rapporto con la legge, rimettono il loro corpo all’interno di un discorso che implica una relazione con gli altri. Cioè, in parole davvero povere, i farmaci per non diventare droghe, per non essere dannosi o inutili, vanno inseriti all’interno di una psicoterapia. Ha ragione la dott.ssa Giunta che è “il malessere dell’anima” il grande assente, in questa trasmissione e in molti altri discorsi, “malessere dell’anima” al quale nessun farmaco, nessuna droga e neanche nessuna prescrizione può porre rimedio al di fuori di una cornice che tenga conto della soggettività della persona e del medico, al di fuori di un laboratorio che riattivi il desiderio. La nostra società dei consumi, e anche della prevenzione di massa, addormenta il soggetto, lo manda “in pensione” e questo non fa che acutizzare il processo che porta a ulteriori dipendenze, cioè al cortocircuito del godimento. Oggi infatti il grande problema della medicina, che si ostina a escludere la dimensione soggettiva, è la tendenza all’uso dipendente dei più svariati rimedi: diete, interventi chirurgici, farmaci, ecc.
Lettera alla redazione di “Annozero” :
Gentili Redattori,
il nostro Osservatorio ha ricevuto una segnalazione in merito alla vostra trasmissione “Annozero” del 25 febbraio 2010, alle ore 21.00
A seguito di questa segnalazione abbiamo proceduto a chiedere i pareri dei nostri esperti, professor Roberto Cafiso e prof. Carlo Viganò.
Potete rinvenire la relativa documentazione qui: www.osservatoriopsicologia.com
Saremo felici di dare visibilità a una vostra eventuale replica.
Sperando di svolgere con il nostro lavoro un servizio per il miglioramento della divulgazione scientifica in psicologia, porgiamo i migliori saluti.
La redazione di OPM