Il bambino non è un elettrodomestico
GALASSIAMENTE
28/11/2009
di ROSALBA MICELI
Negli esseri umani madre e piccolo comunicano reciprocamente mediante un gioco di sguardi, gesti, vocalizzi, sorrisi, risatine. Daniel Stern, psichiatra americano, esponente di spicco della “Infant Research” ha dimostrato sperimentalmente, mediante osservazioni e registrazioni, che esiste una precocissima capacità del bambino a relazionarsi con la madre. Se, ad esempio, un bambino emette un gridolino di piacere, la madre può rispondere, di rimbalzo, intonando la propria voce con quella del piccolo o dondolandolo dolcemente.
I ripetuti momenti di sintonizzazione danno al bambino la sensazione rassicurante di essere emotivamente collegato alla madre, che le sue emozioni sono riconosciute, accettate e ricambiate. Seguendo le acquisizioni della “Infant Research” (area di ricerca al confine tra psicoanalisi e psicologia evolutiva) e della teoria dell’attaccamento (attaccamento è il legame privilegiato tra il bambino e la figura che offre protezione e cure) sviluppata dallo psicoanalista inglese John Bowlby negli anni Sessanta, le basi della futura vita emotiva del bambino vengono poste attraverso queste esperienze di condivisione tra madre e piccolo, che cominciano già prima ancora della nascita. E c’è di più: tramite una indagine, la cosidetta “Adult Attachement Interview”, condotta su una futura madre, è possibile dimostrare che la disposizione interiore della madre determina il suo comportamento verso il piccolo, consentendo una previsione della qualità dell’attaccamento che il bambino non ancora nato svilupperà all’età di un anno.
“Se la gravidanza e il primo anno di vita del bambino sono così importanti per lo sviluppo psico-affettivo, perchè le politiche delll’infanzia e del lavoro non ne tengono conto? Il tema dovrebbe essere affrontato come fondamentale per le politiche di sostegno alle famiglie e invece viene continuamente eluso – commenta Giuliana Meli, laureata in Filosofia teoretica e in Psicologia clinica, autice della novità editoriale “Il bambino non è un elettrodomestico” (Urra). Come suggerisce provocatoriamente il titolo, crescere un bambino è cosa ben diversa dall’avviare un elettrodomestico, ad esempio una lavatrice (imposti un programma e la macchina lo manda avanti in automatico). Giuliana Mieli dopo aver lavorato negli anni Settanta nei primi Centri di Salute Mentale sul territorio, è stata consulente per vent’anni presso il reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’ Ospedale San Gerardo di Monza, allora diretto dal ginecologo Costantino Mangioni che intuì la necessità di avere psicologi in reparto non solo per il sostegno psicologico a mamme e genitori con gravidanze o puerperi difficili, ma anche per la formazione “affettiva” del personale medico e infermieristico.
Giuliana Mieli, forte dell’esperienza di psicoterapeuta maturata in ospedale, sostiene che molti dei problemi che oggi la nostra società incontra sono dovuti alla disattenzione che, a causa dei paradigmi culturali predominanti, abbiamo maturato nei confronti degli affetti, dei bisogni e dei codici affettivi. Una disattenzione che ha indotto a scelte, anche politiche, con ripercussioni individuali e sociali molto forti, che dovrebbero essere messe in discussione. La risposta ai bisogni affettivi di base è infatti una condizione biologica ineludibile: “Esiste una declinazione naturale, biologica degli affetti, utile e necessaria per la sopravvivenza della specie, che non può essere più di tanto compressa, alterata, violentata dall’organizzazione socioeconomica e dalla cultura, sia nella vita del singolo che della società, pena la sofferenza, l’impossibilità della sopravvivenza, la follia come estrema difesa per il singolo, e il cataclisma, il decadimento e il dissolvimento per la società” – scrive la psicoterapeuta.
La trascuratezza emotiva si riflette non solo nella sofferenza psichica dilagante ma anche nelle difficoltà che attualmente accompagnanano la maternità. A titolo esemplificativo, l’autrice indica alcune questioni aperte: cosa sta alla base della depressione post-parto, sempre più diffusa e sempre più spesso curata con psicofarmaci? Un intervento di altro tipo è possibile? Perchè è in aumento il numero dei parti cesarei, eseguiti su richiesta della donna anche se non vi è la necessità medica di farli? Il parto cesareo non è privo di rischi e inibisce, insieme agli ormoni tipici della nascita, quelli che provocano una “reazione d’amore” nei confronti del nascituro, interferendo nello sviluppo dell’affettività nella relazione tra madre e figlio.
Un approccio orientato all’attaccamento in diverse situazioni, in collaborazione con pediatri e ginecologi, può dar vita ad un modello prezioso in campo pedagogico ed in ambito più propriamente clinico. Implica la necessità di una rivoluzione culturale che restituisca all’essere umano tutta la sua complessità, fisica ed emotiva. Una ipotesi sostenuta anche dal ginecologo Michel Odent : “Quando il teologo francese Teilhard de Chardin a metà del secolo scorso predisse che gli esseri umani un giorno avrebbero imparato a sfruttare le energie dell’amore e che tale progresso sarebbe stato tanto fondamentale per la storia dell’umanità quanto la scoperta del fuoco, la sua previsione fu considerayta pura utopia. Oggi non è più così – scrive Odent (La scientificazione dell’amore, Apogeo/Urra) – dato che negli ultimi decenni del Ventesimo secolo la natura dell’amore e il modo in cui la capacità di amare si sviluppa sono diventati oggetto di analisi scientifica, le cui implicazioni sono di importanza almeno equivalente a quelle degli studi di genetica, elettronica o teoria quantistica”.