Lo schizofrenico della famiglia
Lo schizofrenico della famiglia
Pietro Barbetta, Meltemi, Roma, 2008.
L’umana schizofrenia di Massimo Barberi
È possibile analizzare ciò che comunemente chiamiamo schizofrenia da un punto di vista antropologico, storico e filosofico? A porsi questa domanda è Pietro Barbetta, docente di psicologia dinamica all’Università di Bergamo e direttore della scuola di counseling presso il Centro Isadora Duncan della stessa città. Nell’era degli psicofarmaci e del pensiero unico medico-clinico potrebbe suonare una provocazione. E invece l’autore del saggio, edito da Meltemi, si tiene accuratamente alla larga dalla vis polemica: «Questo libro guarda alla schizofrenia da un punto di vista non psichiatrico, il che non significa antipsichiatrico», premette nell’introduzione. Per farlo si fa aiutare, virtualmente, da tre autori che hanno indagato il fenomeno nel secolo scorso: Gregory Bateson, Michel Foucault e Gilles Deleuze. C’è anche un «quarto uomo» nel pantheon di Barbetta: Jean-Paul Sartre. A partire dal titolo del saggio, che richiama L’idiota della famiglia, scritto dall’intellettuale francese nel 1972.
Lo psicologo perlustra i fondali in cui si nascondono i molteplici significati della schizofrenia seguendo una rotta singolare, cioè la famiglia. È questo il contesto privilegiato, oggi più che mai da quando i manicomi sono chiusi, dello schizofrenico. Un «campo etico aperto», un luogo in cui va in scena e prende voce la sua «nuova» condizione: grazie ai farmaci neurolettici atipici, i sintomi più vistosi della malattia, deliri e allucinazioni, sono più facili da tenere sotto controllo. Fa capolino così quello che gli esperti chiamano il delirio minimalista, più lucido e sottile, alla Flaubert per intenderci. Ma anche più difficile da cogliere e indagare. E individua nella malattia mentale una terra di mezzo tra riflessioni antropologiche e sociali, da un lato, e la psichiatria classica dall’altro. Ecco allora che affiorano significati nuovi. Che, pur non negando la validità di alcuni assunti psichiatrici, tentano di restituire alla schizofrenia il senso della ricerca dei propri confini. Così come i suoi illustri predecessori, Barbetta depotenzia la metafora della schizofrenia fino, quasi, a renderla una variante dell’esistenza umana.
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