La cura psicologica dell’anoressia tra natura e cultura
L’immagine corporea distorta, sintomo portante dell’anoressia nervosa, è dovuta al difetto di volume dei lobi parietali cerebrali che sono implicati nell’elaborazione delle immagini.
Questo, in sintesi, afferma la ricerca realizzata al Dipartimento di neuroscienze dell’ospedale Bambino Gesù di Roma dallo psichiatra Santino Gaudio (1).
Vorremmo soffermarci su questa notizia apparsa ripetutamente sul web: http://www.repubblica.it/salute/alimentazione/2011/02/04/news/anoressia_il_cervello_ci_mostra_diversi-12064750/ (L’articolo di ricerca originale è reperibile su: http://www.psyn-journal.com/article/S0925-4927(10)00225-8/fulltext)
La ricerca segnalata mi porta al seguente interrogativo: il conoscere che esiste un’alterazione neurobiologica correlata all’immagine distorta del corpo, costituisce un mezzo di aiuto per la psicoterapia dei soggetti anoressici?
Dal mio punto di vista, la risposta è affermativa in ambito, per ora, solo prospettico. Si potrebbe vedere se attraverso i percorsi psicoterapeutici si riesce a variare il rapporto disturbo alimentare/massa cerebrale: ad esempio se dopo l’intervento curativo si riscontra o no la normalizzazione dei volumi cerebrali in difetto. Il confronto neurobiologico oggettivo dell’agire psicoterapeutico permetterebbe di valutare l’efficacia dell’intervento e nello stesso tempo offrirebbe un contributo di conferma alla nuova asserzione scientifica del dottor Gaudio. In questo modo le ipotesi a vari livelli possono co-evolvere correggendosi e completandosi a vicenda.
In campo più specifico, non è così chiaro il ruolo attribuito alla funzione psicoterapeutica dal dottor Gaudio quando dice “… per esempio a terapie più centrate sulla riorganizzazione dell’immagine del sé e del proprio corpo”.
Prendendo spunto da queste poche parole, conviene interrogarsi sul fondamento teoretico diverso che muove la ricerca neurobiologica e la pratica psicoterapeutica per evitare il rischio di adattamenti errati tra le due parti o di scivolare sul terreno di tecniche psicoterapeutiche frammentarie, nate sull’onda dell’immediatezza.
Modernissime tecniche neuroradiologiche permettono di studiare le basi cerebrali delle manifestazioni psicopatologiche e psichiatriche con riduzione dei costi e degli errori. Il volume “ridotto” delle aree lobo-parietali inferiori e superiori presenti nelle anoressiche di cui parla la ricerca, presuppone la misurazione (ovverossia la correlazione tra l’insieme misurato e il sistema di riferimento applicato) che risponde alla logica della fondazione naturalistica dei disturbi mentali.
I lobi parietali (2) sono strutture cerebrali specializzate nell’elaborazione delle informazioni somatosensoriali primarie (derivate dalla cute, dai muscoli e articolazioni) e nei compiti di attenzione spaziale come la
percezione di posizione delle diverse parti corporee.
Il concetto medico di malattia psichica conclamato oggi dalle neuroscienze, era già stato sostenuto con anticipo da E. Kraepelin. “Non è impossibile sperare di poter giungere a una vera fisiologia della psiche, che darà certo una base utile per la psichiatria; essa ci servirà a scomporre nei loro più semplici elementi le manifestazioni più complicate, e in questa scomposizione della vita psichica normale troveremo gli elementi per poter giudicare e spiegare i diversi disturbi morbosi” (3).
Secondo la visuale esclusiva di questo tipo, le scienze psicologiche si troverebbero in radicale dipendenza dalla dimensione neurofisiologica.
In pratica la ricerca speculativa come pure la classificazione diagnostica e la pratica terapeutica di queste discipline, non si conformano pacificamente ai fondamenti oggettivi delle discipline mediche. Resta in essere la domanda etiologica: perché le giovanissime anoressiche sono portatrici del fenomeno cerebrale rilevato? È genetico, è culturale? Tutte le giovani donne portatrici di una massa ridotta dei lobi parietali sono anoressiche o lo diventeranno?
A tale riguardo, K. Jaspers osserva: “ … la conoscenza della coincidenza regolare delle stesse cause con gli stessi fenomeni, evoluzione, esito e reperto cerebrale, presuppone una completa conoscenza di tutte le singole coincidenze, conoscenza che sta in un futuro straordinariamente lontano… L’idea dell’unità morbosa non è un compito raggiungibile, ma il punto di orientamento più utile” (4).
Il punto di vista di K. Jaspers diventa ancor più stringente se applicato alla psicoterapia che è il tema pertinente di questo testo. Per il momento, si può affermare che nella pragmatica psicoterapeutica la spiegazione cognitiva di una dissonanza tra pensiero e realtà, per quanto utile e rilevante, non sostiene da sola la funzione d’aiuto se non in stretta compagnia della comprensione derivata da una metodica dialogica. Elementi come l’esperienza interna dell’anoressica, l’analogia degli stati interni che il terapeuta cerca nella propria stessa esperienza, il suo atto di temporanea identificazione psicologica sono accessibili attraverso il tessuto integrante della relazione terapeutica. Una relazione in cui paziente e terapeuta hanno “Una capacità di autodeterminarsi e di evolvere in una visuale nuova che cambia il concetto di ‘realtà’ e ‘osservatorÈ. Ciò ha comportato una radicale trasformazione nel modo con cui si guarda alla relazione ‘osservatore con osservato’: non si accetta più che l’osservatore abbia accesso a una realtà che è unica e che gli sia indipendente, e si adotta invece la posizione contraria, vale a dire quella di accettare tante realtà come forme del vivere emergente da ciascun essere” (5).
La varietà (o l’assenza) del disturbo anoressico distribuito sulle zone geografiche e le diverse interpretazioni psicopatologiche confermano che la psicoterapia è un’azione specifica situata nella situazione in cui opera. Secondo gli studi di Sing Lee, ad esempio, le anoressiche cinesi rifiutavano il cibo a causa di spiacevoli sensazioni addominali, come il gonfiore, senza rifarsi all’immagine corporea distorta dalla paura di ingrassare (6).
Con il concetto d’immagine corporea entriamo nello specifico della pratica psicoterapeutica. L’immagine corporea (7) è l’idea che il nostro corpo possa avere una sua specifica rappresentazione mentale; richiama subito la raffigurazione mentale del corpo, come lo ricordiamo e come lo sentiamo.
L’immagine del corpo si basa sulla percezione (interpretazione dei dati sensoriali) e va soggetta all’influenza di fattori plurimi di natura soggettiva e contestuale.
In specifico, il soggetto anoressico ha una percezione alterata del corpo vissuto in perenne difetto di magrezza.
Il dibattito per spiegare come il soggetto riesca a costruire la rappresentazione coerente e flessibile del proprio corpo non può eludere le componenti neurali portate a conoscenza dalle neuroscienze, tanto più che il concetto d’immagine corporea è nato in seno ai neurologi, nei primi del ‘900, alle prese con l’arto fantasma (Schilder 1935).
Si sono susseguite numerose teorie su quel “misterioso salto” (Deutsch, 1959) dalla mente al corpo, all’incrocio degli input sensoriali, dell’ambiente socio-culturale e dall’elaborazione psicologica.
Per Nicola Lalli “… L’immagine corporea, corredata in adolescenza dall’immagine ideale di sé, ha un’origine … legata alle percezioni esterne, all’apprendimento dei rimandi relazionali. “ … il bambino deve imparare a riconoscere le correlazioni tra immagini esterne ed espressioni mimiche dell’altro; ovverosia percepire l’intenzione dell’altro oltre la facciata. E deve collegare questa percezione con le proprie sensazioni interne affettive.
È da quest’associazione-fusione che si crea l’immagine corporea. Evidente che in quest’ottica è importante non solo come il bambino si sente e si vede, ma anche e soprattutto come gli altri lo vedono, lo apprezzano e lo giudicano… L’Io si sviluppa sulla base primaria della sua vitalità e nella relazione di rispecchiamento di Sé negli altri” (8).
Seguendo questo filo conduttore, la dispercezione di sé, potrebbe consistere nel fraintendimento causato dall’identità psicologica di ‘apparire sentirÈ, in rispondenza alla vigente relazione oggettuale dell’organizzazione narcisista.
Allo stesso flusso d’idee appartiene la concezione del corpo come struttura dialettica. Per M. Merleau-Ponty il ‘contorno del corpo è una frontiera’ che permette di sperimentare il corpo come soggetto e oggetto. Questa interpretazione del corpo implica l’ambiguità del vissuto corporeo ambiguo, in particolare della percezione e del significato di confine corporeo. La pelle, poichè è la superficie del corpo, è vissuta nella duplice funzione di contenitore invalicabile del corpo intimo e di apertura verso altro da sé.
Secondo M. Merleau-Ponty, “Il corpo umano appare sempre sotteso come da uno schema sessuale irriducibile ad altri” (9).
Proprio nell’esperienza sessuale duale, il corpo vivo e il corpo oggetto dovrebbero tendere all’unità. Nella maggior parte dei casi anoressici, invece, il corpo sessuale si fa corpo oggetto opponendosi radicalmente all’incontro.
In quest’ambito di riflessione, resta da avvalorare se il sintomo patognomico dell’anoressia è la dispercezione corporea o una vera e propria addiction della magrezza.
Se l’immagine di sé è frutto dello scambio io-altro, allora sarà la struttura della relazione interna stessa al centro dell’indagine psicologica più che il dato riduttivo dell’immagine corporea. È così che nella pratica clinica integrerei l’input curativo del dottor Gaudi “ … per esempio a terapie più centrate sulla riorganizzazione dell’immagine del sé e del proprio corpo”.
NOTE
(1) L’articolo di ricerca è pubblicato su “Psychiatry Research: Neuroimaging Vol. 191, Issue 1, 30 Gennaio 2011, Pagine 24-30”.
Per ricercare un rapporto tra dimensioni del cervello e insorgenza dell’anoressia nervosa, il gruppo del professor Gaudi ha condotto un’indagine su 32 adolescenti femmine, 16 con anoressia restrittiva da meno di un anno e 16 sane. È stata utilizzata la tecnica della morfometria basata sui voxel , un evoluto sistema di analisi in neuroimaging. La precisazione dello strumento ha consentito di calcolare il volume di specifiche aree cerebrali.
Dall’indagine è emerso che le 16 ragazze con anoressia restrittiva portano un volume più ridotto del lobo parietale inferiore e superiore del cervello rispetto al gruppo di controllo. Queste strutture cerebrali dovrebbero essere coinvolte nell’elaborazione delle immagini mentali e della rappresentazione corporea.
(2)Il lobo parietale, nella parte postrolandica ha la funzione di integrare gli stimoli somestesici per il riconoscimento e il ricordo di forme, strutture e pesi; nell’area posterolaterale elabora le relazioni visuo-spaziali, integra la propiocezione con le altre sensibilità e genera Il coinvolgimento del le aree parietale potrebbe spiegare la distorsione dell’immagine corporea presente nei soggetti anoressici.(1)
(2)http://www.multilingualarchive.com/ma/enwiki/it/Parietal_lobe#Function
(3) Kraepelin E. (1901), p. 1; (1904), Vol. I, p. 4; (1904), Vol. II, p. 1; (1904), Vol I p. 5.
(4) Jaspers K. (1959), pp. 610, 608, 612
(5) Contributi di Humberto Maturana alla scienza della complessità e alla psicologia, Journal of Constructivist Psychology” 9: 4 (oct.- nov. 1996) pp.283-302.
(6) Il rifiuto di sé: b studio sui meccanismi dell’anoressia mentale, elena Castelluccio, Pshycofenia – vol.IX, n°15, 2006
(7) L’immagine corporea nei disturbi anoressici è chiamata in causa dai criteri diagnostici:
• del ICD-10 : “È presente una distorsione dell’immagine corporea, sotto forma di una specifica psicopatologia per cui il terrore di diventare grassa persiste come un’idea prevalente, intrusiva e il paziente si impone un limite di peso basso”.
• del DSM IV, criterio C: “Alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso o la forma del corpo, o eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sui livelli di autostima, o rifiuto di ammettere la gravità della attuale condizione di sottopeso.
Sottotipo con restrizioni secondo il DSM IV: “In questo sottotipo la perdita di peso è ottenuta principalmente attraverso la dieta, il digiuno o l’attività fisica eccessiva”.
(8) Nicola Lalli, Lo spazio della mente, Saggi di psicosomatica, 2a, Liguori Editore, Napoli 1997
(9) Merleau-Ponty M., Phénoménologie de la perception, Paris, Gallimard, 1953, 14, p.239.