Into the wild. Nelle terre selvagge.
2007, regia di Sean Penn con Emile Hirsh
Recensione di Anna Barracco
Tratto dal romanzo di Jon Krakauer “Nelle terre estreme”
“Ci sono persone convinte di non meritare l’amore. Loro si allontanano in silenzio dentro spazi vuoti, cercando di chiudere le brecce al passato” Chris Mc Candless.
Into the wild narra la storia vera di uno studente, di un giovane e brillante studente dello West Virginia, che subito dopo la laurea abbandona la famiglia per un viaggio on the road, alla ricerca di se stesso.
Il film ha avuto un enorme successo di pubblico, seppure di per sé l’argomento non sia dei più originali.
Le recensioni che commentano il film nei suoi aspetti iconografici e tecnici sono molteplici; molte parole sono state spese per encomiare la straordinaria prova del giovane attore che interpreta Chris, alias Alex Supertramp (Emile Hirsch) , incarnando così bene la sua fragilità e ad un tempo l’energia vitale e la tensione verso l’ignoto; molti hanno indugiato sulla costruzione del racconto, che sceglie una struttura temporale fatta di continui flash back, il cui intreccio con la doppia narrazione della sorella di Chris e i pensieri del protagonista, danno alla narrazione la potenza evocativa ed emotiva del “doppio registro” e rimandano, reciprocamente, all’ “altra scena”.
Resta tuttavia da indagare il senso profondo di straniamento, di disagio, di dolore, che il film lascia e la potenza del messaggio che vi è contenuto.
La magia del film è dovuta allo strano legame, alla dissonanza che si crea, fra la magnificenza dei paesaggi, la bellezza maestosa degli spazi, e il sentimento che questo provoca nello spettatore, che è un sentimento di sospensione che solo alla finale del film (finale che si ricongiunge ai fotogrammi iniziali) esplode in profonda angoscia.
Siamo nel 1990, nel pieno dell’era Bush. L’America attraversa imperterrita e convinta la sua favola iper – consumista. Il mondo è diviso nettamente, perversamente, fra apparenza e sostanza.
Il benessere dei due giovani fratelli, ha sullo sfondo la menzogna di una coppia genitoriale che non ha saputo né voluto affrontare le proprie verità. I due fratelli assistono, durante l’infanzia, alla tragedia del conflitto tra i genitori, che non viene affrontato perché troppo importante è il successo professionale, la carriera, l’apparenza. Il dolore psichico e l’assunzione di responsabilità vengono rimandati, fino ad essere sepolti per sempre.
I due fratelli sono figli di una relazione illegittima, e il padre tiene insieme due famiglie, una alla luce del sole, e una (quella di Chris e la sorella) clandestina.
La critica politica del regista alla società americana, alle sue ipocrisie e alle sue menzogne, è tutta contenuta in questi spaccati, in questi ricordi smozzicati in cui i bambini vengono chiamati a giudicare. I bambini, lacerati e pieni di vergogna, sono chiamati dagli adulti, impotenti e in preda alla reciproca violenza, a distribuire le responsabilità.
E’ questo il tessuto psicologico e sociale che fa da sfondo, che costituisce “l’educazione sentimentale” del giovane Chris.
Lo spazio per il viaggio “on the road” dunque si crea come lo spazio verso una ricerca interiore che avrebbe potuto prendere direzioni diverse. Un “anno sabbatico”, un momento di ricerca di sé.
Solo l’ “altra scena”, tuttavia, cioè lo scenario infantile che il protagonista (attraverso la voce narrante della sorella) mette in campo, permette di comprendere fin da subito come le aspettative della famiglia, le speranze della sorella per un viaggio d libertà e completamento di istruzione, debbano rivelarsi fallaci, e aprire invece alla tragedia.
Una lettura clinica dell’epopea di Chris porterebbe a pensare a lui come ad un caso di “psicosi ordinaria”, ossia quelle psicosi senza fenomeni elementari, senza deliri espliciti, in cui tuttavia la deriva immaginaria è reperibile nelle scansioni, negli atti.
Il delirio di Chris (che, peraltro, secondo un procedere piuttosto tipico del funzionamento psicotico si “ribattezza”, dandosi un nome che è nuova metafora soggettiva “Supertramp”) è il rovescio del sintomo isterico.
Chris è interessato apparentemente – come il nevrotico – alla verità, e questa ricerca può apparire in prima istanza assimilabile alla ricerca che ogni adolescente mette in campo. Cerca, in apparenza, una verità assoluta, la verità nei rapporti umani e la loro totale sincerità, reciprocità, affidabilità.
Il suo viaggio comincia con il liberarsi di ciò che egli ritiene superfluo; quelle “cose” che hanno peraltro tenuto prigionieri i genitori, portandoli a tradire i loro sentimenti, la loro giovinezza, sull’altare del benessere, unica vera priorità.
Nella prima fase del suo viaggio, Chris è ancora in grado di intrecciare relazioni; conosce la comunità degli agricoltori del Sud Dakota, e sembra potersi accomodare in un’esistenza più a contatto con la natura, ma pur sempre organizzata attorno a rituali e logiche comunitarie. Qualcosa però del fondamentale “non senso” delle relazioni amorose che legano i soggetti, lo angoscia. Egli non è in grado di comprendere che non ci sono spiegazioni che possano render conto del voler stare insieme. I due agricoltori e i loro amici, ridono e si contraddicono, sono un po’ brilli, litigano ma allo stesso tempo sono felici di stare insieme e non sanno spiegare perché. Il discorso razionale si confonde con il discorso del corpo, con le risate e gli abbracci.
Questo è ciò che Chris non è in grado di comprendere e di accettare. E’ questo che per lui fa enigma. In questo senso, la sua domanda di verità assume progressivamente una deriva significante più radicale e inquietante.
L’equazione verità = bellezza = natura, si fa sempre più strada e guidato anche dalle sue letture, Chris va alla ricerca di luoghi incontaminati.
L’incontro con la coppia hippie mostra molto bene come egli immetta nell’interlocutore i suoi stessi sentimenti. Chi lo accoglie tende a prendere il posto della coppia genitoriale ed offre a Chris uno spazio sostitutivo, un’offerta d’amore . Chris instaura, proiettivamente, transfert positivi di accudimento e di adozione.
Sia la coppia hippie , sia lo struggente incontro finale con l’ex veterano, che gli offre in extremis una vera e propria adozione paterna, mostrano con chiarezza come il giovane immetta nell’Altro i propri pensieri inconsci, inducendo l’interlocutore ad agire ciò che egli non è in grado di comprendere, di contenere. La ricerca dell’oggetto buono, la domanda di accoglienza, viene trasferita nell’altro, e quando l’altro la agisce, prendendo il posto dell’Altro donatore, egli non può che agire il rifiuto, incarnando a sua volta il genitore rifiutante, di cui è prigioniero. Il perdono, lo spazio per la posizione depressiva, per il limite di senso, cui solo l’amore, come offerta intransitiva e strutturalmente insensata, può rispondere, non fa parte del repertorio di Chris. Egli suscita sentimenti di intenso amore negli interlocutori, e lascia in essi il dolore struggente del rifiuto.
La dinamica comunicativa del giovane è davvero sconcertante, e significativo è che non generi, tuttavia, nello spettatore, un movimento psicologico di antipatia.
Chris rifiuta anche l’offerta amorosa e sessuale di una giovane, conosciuta nel campo hippie, nonostante l’approvazione esplicita della figura in posizione paterna. Rifiuta l’offerta, significativamente, a partire da un elemento “legale”: la giovane è minorenne. Mette la ragazza in condizioni di giustificarsi, e di ammettere di aver “mentito”. Dietro quella piccola menzogna, c’è tutta la verità dell’offerta amorosa e l’enigma del desiderio, cui Chris non riesce ad opporre altro che una goffa posizione di tipo paterno-prescrittivo. La dimensione del dono e del rischio, insito nella relazione d’amore, sono inaccessibili a Chris.
Chris si fa paladino della sincerità, della verità, della legalità e della naturalità, perché di fatto non è in grado di accogliere e di contenere l’ambivalenza e l’enigmaticità che il desiderio e le relazioni affettive implicano, necessariamente.
Il suo dramma è certo clinico e soggettivo, ma se allargato alla dimensione sociale, ben si presta a segnalare lo smarrimento e l’angoscia delle giovani generazioni di fronte all’assenza di credibilità che la società post-capitalistica offre. In che modo la società propone oggi l’incrocio, la trama fra simbolico, immaginario e reale? Qual è la cifra del legame sociale che viene proposta ai giovani?
In questo senso, la psicosi di Chris, il rifiuto del simbolico che egli opera, a favore di un impossibile e mortifera rinuncia al legame, è una delle possibili, ancorché tragiche, risposte agli effetti che l’evaporazione della funzione paterna produce a livello della risposta soggettiva.
La presunta totale – e del tutto ingannevole, peraltro – indipendenza di Chris dal legame con l’Altro è l’altra faccia della medaglia della totale dipendenza, delle varie addiction che su altri fronti il discorso sociale produce.
Emblematiche e grandiose, dal punto di vista della narrazione cinematografica, le immagini che vedono Alex Supertramp (ormai ribattezzatosi) aggirarsi a Città del Messico. Dopo mesi di vita solitaria, egli guarda i suoi coetanei, i giovani nei locali e quelli che si aggirano attorno a lui, come fiere in uno zoo; quelle scene possono indicare il “crollo del mondo”, l’affievolirsi del senso, che spesso precede lo scompenso psicotico.
Chris incontrerà poi la giovane coppia di nord europei, sulle cascate, e da questi letteralmente fuggirà prima ancora di aver stabilito una qualsiasi forma di legame. Essi appaiono –visti con gli occhi di Chris- già lontani, quasi clowneschi. A questo punto, il suo viaggio alla ricerca della felicità e della verità, non può che condurlo verso la solitudine estrema.
Solo “nelle terre estreme”, egli entrerà in contatto con il limite, con la consapevolezza che per l’essere umano l’assenza di condivisione (che è ciò a cui il significante paterno permette l’accesso) coincide con l’impossibilità a sopravvivere.
Solo nell’incontro con il reale puro come impossibile, egli potrà in parte comprendere che ciò che lo commuove profondamente, il tramonto, i paesaggi, le mandrie di animali liberi e selvaggi, è metafora stessa di questo enigma, di questo impossibile, e che senza lo sguardo umanizzato il “naturale puro” è inaccessibile e feroce. Tracce di questi tentativi di umanizzazione restano al giovane, attraverso le letture, ma soprattutto i doni che egli ha ricevuto da coloro che ha incontrato lungo il suo cammino verso l’estremo. Egli muore travolto dalla potenza del reale puro – di cui una delle versioni possibili è appunto “the wild”, il feroce, il selvaggio, la Natura Matrigna, di leopardiana memoria – rappresentato dalla potenza insormontabile delle acque. In realtà ciò che lo uccide è l’impossibilità di accedere al perdono, inteso come posizione depressiva.
Perdono, in senso laico e psicoanalitico, come accesso al limite, accettazione dell’ambiguità insita nel legame sociale, dal momento che ogni padre deve farsi carico dell’ambivalenza che vive, in quanto trasgressore della legge edipica che egli stesso istituisce per il figlio.
Il padre di Chris viene presentato come un padre perverso, che aveva trovato una soluzione perversa rispetto all’assunzione del suo desiderio, cioè una non soluzione; la scelta di godere dell’Altro e di scaricare sull’Altro le proprie questioni. La menzogna reiterata e promossa a stile di vita è uno dei modi di definire la perversione. Il trauma di Chris è tutto contenuto in questa esperienza infantile, in cui egli è chiamato a “schierarsi”, a decidere chi è il carnefice e chi la vittima, in un gioco in cui entrambi i partner sono implicati, e in cui non c’è spazio, non c’è posto per il dono d’amore. E’ questo che produce il movimento sottrattivo del giovane. Chris; tuttavia egli non si sottrae con un sintomo, con una ribellione, con una protesta. Egli si sottrae nel reale, con il suo corpo a quella relazione perversa. La sua risposta è la creazione di un vuoto senza parole, di un buco nel reale.
In questo senso è una soluzione psicotica, e dunque tragica.
E’ il rifiuto dell’accettazione di quella quota di perversione (“père- version”, giocava con le parole Jacques Lacan. “una versione di padre”, una versione singolare, mitigata, della legge) indispensabile per entrare nel legame sociale.
Il messaggio politico e sociale del film, anche alla luce della drammatica crisi che oggi stiamo vivendo – vent’anni dopo l’esperienza di Chris e qualche anno dopo l’uscita del film (crisi che mostra il volto tragico e gli effetti devastanti della perversione, la portata di questo scaricare sulle nuove generazioni le responsabilità) – è sferzante nella sua drammaticità e forse ci arriva direttamente allo stomaco, più che alla mente, a causa della potenza metaforica del “viaggio” estremo. Il viaggio, che da sempre, peraltro, è un potente attrattore simbolico, metafora della condizione umana, dell’itinerario interiore; pensiamo alla Divina Commedia, all’homo viator, a Ulisse .
L’agonia di Chris ci appare simile all’estasi mistica di un asceta medievale. Ormai ridotto allo stremo, ucciso dall’impossibilità ad umanizzare il reale, dall’impossibilità a ricucire il dialogo, egli –assieme allo spettatore – contempla la luce allo stato puro. L’immagine del cielo al crepuscolo (o forse all’alba?) e l’emozione che riesce a suscitare è accostata alla riconciliazione impossibile. Immagini di riconciliazione, di perdono, di immensa gioia umana che metonimicamente rimandano alle riconciliazioni evangeliche, si sovrappongono all’eroica solitudine di quella morte assurda, eppure scelta e vissuta fino in fondo, come possibilità di esistenza e di risposta possibile alla domanda strutturale “Chi sono io per l’Altro?”. E’ “l’essere-per-la-morte”, di sartriana memoria, cui tuttavia si aggancia , in un tempo-sincronico e non diacronico – l’immagine iniziale del film, che ci presenta i due anziani genitori nella penombra del talamo, e il risveglio ad un tempo colmo d’angoscia e di speranza della madre di Chris, che sente la voce del figlio che la chiama.
Sembra qui riproporsi l’alternativa possibile che anche Malik pone all’inizio del suo film “The tree of life” fra “l’itinerarium mentis ad Deum” attraverso la via della Natura, ovvero quella della Grazia.
Chris fallisce nella sua ricerca, ma in punto di morte arriva ad annodare qualcosa del reale e del simbolico, nel momento in cui si domanda se l‘abbraccio con la madre, la riconciliazione, avrebbe potuto aggiungere qualcosa a quell’estasi.
Ma Seann Penn non è un teologo, e il film – dietro l’apparente narrazione di una biografia, e dunque dietro la finzione scenica della storia individuale, resa ancora più ingannevole dal ricorso ad una “storia vera”, dalla fruibilità e dalla bellezza delle immagini, dal fascino del protagonista e dal singolare intreccio narrativo dove l’estetica prende il posto dell’etica – si inserisce nella spietata e feroce critica che egli muove alla società americana.
Quali risposte sono possibili, sembra chiederci il regista, quali nuovi legami sociali possono essere opposti alla pervertizzazione progressiva della società ? E’ possibile una critica che non si traduca nella simmetrica e solitaria opposizione, nel “gran rifiuto” e nella tragica ed eroica rinuncia al legame di cui è protagonista e martire il giovane Supertramp ?
2 maggio 2012
La recensione è molto articolata.Poche,ma chiare considerazioni in merito.La critica alla società americana del consumismo,dell’ipocrisia e dell’apparenza è evidente e dal mio punto di vista condivisibile ed auspicabile alla luce anche della crisi prima ancora anomica e poi economica che stiamo vivendo con un aumento pericoloso e drammatico del tasso dei suicidi.Mc Clandess decide di opporsi con tutto se stesso alla delineazione genitoriale difensiva,estrema,coercitiva e patologica che lo vorrebbe rampollo e uomo di successo a immagine e somiglianza del mito del self-made man di calvinista memoria(quanta patologia c’è nell’impostare la propria vita esclusivamente nei termini del dovere,della riuscita,del successo,specchio di irrisolti conflitti nella dimensione del controllo,frutto di una non buona interiorizzazione edipica),una sorta di proiezione onnipotente del loro Io-ideale maciullato dall’ ipocrisia che non hanno il coraggio di ammettere.Mc Clandess decide di non colludere con i genitori,ma non ha figure protettive alternative e supportive che possano aiutarlo nella gestione della costruzione della sua soggettività.E’clinicamente ovvio che la sua reazione è strabordante,”al limite”configurando un pattern borderline di personalità ipersensibile alle ipocrisie e alle mancanze di verità e condivisione assolute:in una parola alle ambivalenze.Eppure Mc Clandess è un esempio positivo nonostante la sua parabola tragica:non sarebbe stato sano e nel benessere se avesse colluso con i genitori assecondandoli,avrebbe vissuto la loro vita,non la sua e ancor meno di quanto sia riuscito a fare,si sarebbe soggettivizzato.Sarebbe finito ad imperversare nella condizione depressiva e probabilmente sarebbe finito suicida.Mc Clandess,invece,non vuole morire,anzi proprio mentre termina la sua formazione e costruzione dell’identità,arrivando a comprendere che “la felicità è reale solo se condivisa”,dopo aver attraversato la solitudine,aver accarezzato la libertà assoluta,dopo aver trafitto la disperazione(emblematico è l’episodio dell’alce)di kierkegardiana memoria e aver accettato i suoi limiti di essere umano e,come tale,fallace;viene travolto dal fato:una svista gli fà mangiare le erbe tossiche.Quello che non ha prodotto la psicosi,l’ha prodotto la nevrosi:una svista,normalissima come un qualunque lapsus,ma “fatale”nelle terre estreme. Manuel Bellino,studente di psicologia