Depressione post-partum e Depressione Post adozione

Commento redazionale della Dr.ssa Alessandra Fermani

Secondo un’inchiesta condotta ormai circa 10 anni fa dall’Eastern European Adoption Coalition (EEAC), ancora oggi citata poiché uno dei rari esempi di ricerca svolto sull’argomento, il 65% delle mamme adottive sono afflitte da depressione post adozione (PAD). Può sembrare strano che chi ha superato tanti ostacoli, emotivi, psicologici e burocratici si trovi poi a combattere con sintomi analoghi a quelli provocati dalla depressione post partum. In questi ultimi anni, grazie a una serie di spot di pubblicità sociale (http://www.youtube.com/user/depressionepostpartu#p/a/u/1/G-lSA5ppMFA) mandata in onda sulle reti nazionali e ai media, si sa che dopo un parto naturale può verificarsi uno stato di disagio più o meno grave che talvolta può sfociare nella violenza contro il proprio figlio e contro se stesse. In molti sanno che ciò è dovuto al calo improvviso degli estrogeni, gli ormoni del “benessere”, e alle varie concause sociali che si attivano nel microsistema in cui gravita la neo mamma: gli equilibri di coppia da ristabilire, le possibili ingerenze da parte di familiari, la rivoluzione delle vecchie abitudini di vita, il timore di confrontarsi con le responsabilità del ruolo materno.

D’altro lato, come si diceva, esiste anche una depressione post adozione, anche se spesso ciò passa sotto silenzio, la si ignora, non si legittima la sua esistenza.

La sindrome compare uno o due mesi dopo l’adozione e ha molti sintomi tipici della depressione: malinconia, irritabilità, stanchezza, insonnia, perdita di vitalità. Nello studio dell’EEAC, il 77% dei partecipanti dichiarava di avere provato gli effetti della depressione durante un periodo che variava da due a dodici mesi. Al 45% dei depressi i sintomi duravano circa sei mesi e poi la situazione si normalizzava a meno che non fossero subentrate altre variabili.

Le cause della depressione post adozione sono simili a quelle della post parto (Senecky e Coll. 2009). Recentemente in ambito medico è stata identificata come concausa del problema la caduta dei livelli di ormoni surrenalici, al momento dell’arrivo del figlio, dopo che essi hanno tenuto la coppia in uno stato di allerta durante gli anni di attesa (quindi anche in questo caso vi sarebbe un coinvolgimento ormonale, anche se relativamente a sostanze diverse: adrenalina v/s estrogeni). D’altra parte la componente psicosociale svolge un ruolo determinante. Alle neo mamme adottive si presentano tutte le difficoltà comuni alle nascite biologiche a cui si sommano quelle inerenti alla presenza di un bambino sradicato dal suo ambiente, in cui pur non trovandosi al meglio conosceva ogni granello di polvere. Un piccolo che può essere in fasi diverse del proprio sviluppo, che può non parlare la nostra lingua o essere malato o non corrispondere alle nostre rappresentazioni sociali. La nascita del legame di attaccamento, che può sembrare così “naturale” in un parto biologico, è una sfida quotidiana vissuto in adozione tra mille paure tra le quali anche quella di non essere accettati e amati dal proprio figlio.

Dal punto di vista psicologico possiamo oggettivare tre tappe che concorrono al disagio interno.

1)    prima della disponibilità ad accogliere il bambino, spesso la coppia è passata attraverso il “dramma” dell’infertilità, del non sentirsi adeguata e di percepirsi osservata commiserazione dalla società. La maggior parte dei genitori adottivi hanno prima dovuto vivere il lutto del bambino biologico per decidere poi di adottare.

2)    Il lungo processo preadottivo fatto di attese, tensioni e incertezze: lunghi colloqui con giudici, psicologi e assistenti sociali; anni di stress accumulato nel sentirsi giudicati; iter burocratici talvolta poco comprensibili alle ragioni del cuore; visite mediche; viaggi in Paesi culturalmente distanti; difficili rapporti interpersonali con familiari, conoscenti o colleghi talvolta insensibili e poco preparati ma che comunque con i loro commenti infelici feriscono profondamente gli aspiranti genitori.

3)    Dopo il momento di gioia per l’arrivo del figlio circondati da amici, familiari, attenzioni e grande euforia lo shock, come dice Dumais (2003), di un bambino che è là per restare e che non è più il bambino di cui si guardava teneramente la foto o che avevamo abbracciato per poche ore in un orfanatrofio. Le routine sono stravolte.

I sogni, le attese irrealistiche, il rapporto col bambino che tarda a concretarsi, la mancanza di sonno, la delusione di avere un bambino che non sia conforme a quello generato nella loro immaginazione, le difficoltà nelle cose più banali e quotidiane come il rifiuto del cibo o la sua ricerca spasmodica da parte del piccolo, un bacio che viene rifiutato o pianti prolungati e incomprensibili, colpiscono con forza i genitori adottivi. Un certo numero di genitori si sente colpevole di provare dei sentimenti di ambivalenza e di collera verso il proprio bambino. In sintesi, l’attaccamento non è così scontato e i genitori che covano la speranza di essere immediatamente amati da bambini grati restano disorientati. Secondo gli intervistati all’epoca dell’inchiesta dell’EEAC, l’attaccamento vero al bambino si realizza in un periodo che varia da due a sei mesi.

La mancanza di preparazione all’arrivo del bambino adottato e la mancanza di sostegno una volta che questo bambino è arrivato, come esiste nel caso di una nascita, contribuiscono ad aggravare la situazione depressiva. Il livello interpersonale e intergruppale, in un momento in cui per effetto spot light ci si sente al centro dell’attenzione, sono fondamentali per soddisfare quel naturale bisogno di normalità e accettazione: non sentirsi diversi dalle altre famiglie, non sentire il sociale ostile o compassionevole come se si fosse fatta una scelta per causa di forza maggiore. Non per niente la maggior parte dei genitori adottivi al rientro si sente sommerso da commenti superficiali pronunciati da persone incuriosite anche se in buona fede quali: “ma come vi somiglia”; “ma gli direte che è adottato?”; “vedrai che adesso che sei più tranquilla rimarrai incinta”; “sembra proprio vostro figlio, non si direbbe che non sia un bambino italiano”; “conosco un’altra famiglia che ha adottato e il figlio è riuscito benissimo”; “siete stati degli eroi”.

Come sottolinea Dumains, l’ambiente dunque, non comprende perché dopo avere aspettato tanto e tanto voluto questo bambino, una persona si senta depressa. Consapevoli di ciò, per timore di deludere e di sconvolgere il loro microsistema, parecchi genitori adottivi tacciono la loro sofferenza, una sofferenza spesso corredata da delusione, rimorso, vergogna e colpevolezza. Non è raro che il bambino si attacchi solamente ad uno dei suoi genitori. Il genitore abbandonato racconta di sentirsi triste e deluso, spesso è proprio la mamma a subire l’aggressività maggiore da parte del piccolo perché identificata con la madre naturale colpevole dell’abbandono.

Ci si aspetterebbero coppie consce delle difficoltà che avrebbero potuto incontrare: bambini che non sono più dei neonati, dunque che hanno un passato di cui si ignora la storia e che hanno vissuto spesso in realtà istituzionale. Tutti i genitori adottivi accolgono dei bambini che hanno sofferto più o meno consciamente per una perdita o per l’abbandono e dovrebbero sapere che i bambini possono avere difficoltà e problemi di ordine scolastico, neurologico, psicologico e medico. Le coppie dovrebbero essere preparate ma tra il concetto concreto e quello astratto prodotto dalle illusioni del Sé possono verificarsi delle idiosincrasie.

Nel caso dell’adozione nazionale e di quella internazionale il supporto dei Servizi, dell’Ente, la conoscenza di altre famiglie che hanno già adottato e magari sono disponibili al confronto, in generale, reti familiari e sociali su cui poter contare fanno la differenza per affrontare le difficoltà della nuova condizione. Diventa allora importante dare maggiore luce a questa problematica dicendo che la depressione post adozione è una sindrome che può verificarsi al di là di tutto l’amore che si prova per il proprio figlio e di quanto lo si è desiderato.

La chiave della sopravvivenza alla depressione risiede nella preparazione e come nel caso dell’arrivo di un bambino biologico, un tempo di adeguamento è necessario. Restare vicino al bambino è essenziale perché l’attaccamento richiede molto tempo, non scatta nel momento in cui inizia la convivenza della nuova famiglia.

Harriet McCarthy (2007) della Eastern European Adoption Coalition dice: “Consiglio a mamme e papà di chiedere un lungo congedo dal lavoro. E di dedicarsi con calma a quella novità che rivoluziona le loro vite. Ma è necessario che la coppia riservi almeno un’ora al giorno tutta per sé: il bambino deve capire che non c’è solo lui”.

Il periodo dell’adozione non cessa il giorno in cui il bambino valica i confini del suo Paese di adozione. Un viaggio geografico si è concluso ma ora inizia quello più lungo del cuore che dura tutta una vita.

Bibliografia e sitografia

Dumais, N. (2003). Fleurs du Monde. Journal de l’association Familles au coeur québécois.

McCarthy, H. (2007). Who to do if this happens to you. www.rainbowkids.com

Post-adoption depression among adoptivemothers. Journal of Affective Disorders. 115. 62-68.

S.P.A.I (2011). Il medico con noi, S.P.A.I. News. 25, 2-3

Senecky, Y., Agassi, H., Inbar, D., Horesh, N., Diamond, G., Bergman, Y. S., Apter, A. (2009).

www.adoptionissues.org

www.adoptionarticlesdirectory.com

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