Crisi, superare lo steccato e rimanere in piedi
di Ilaria Fabbri
Negli ultimi tre o quattro anni si è parlato spesso di crisi economica. Ne abbiamo letto sui giornali e ne abbiamo sentito discutere nei salotti della TV, a volte come di una serpe viscida strisciante tra le nostre vite, altre volte come di un’invenzione che realmente non esiste. Molti purtroppo l’hanno subita o la stanno subendo sulla loro pelle. I dati ufficiali descrivono un’economia stagnante, la Borsa italiana come una tra le più trascurabili d’Europa, il Prodotto Interno Lordo (PIL) del Nord Italia, che tradizionalmente viene considerato la locomotiva produttiva del nostro paese, meno in crescita che nel resto del continente, mentre il potere di acquisto delle famiglie italiane appare calato, solo nel 2010, dell’1,9% rispetto all’anno precedente (1). La crisi economica esiste davvero e, come tutto ciò che ha a che fare con l’essere umano, le sue implicazioni psicologiche ci riguardano da vicino. Perciò quando la nostra Redazione si è imbattuta recentemente in questo articolo di G. Bianchi http://brainfactor.it/index.php?option=com_content&view=article&id=432:crisi-superare-lo-steccato-delle-scienze-economiche&catid=39:counseling&Itemid=3, ci è sembrato opportuno soffermarsi per discuterne un po’.
Le persone non sono esseri astorici e avulsi dal contesto in cui operano, ma individui immersi in un sistema di scambi continui e reciproci con l’ambiente. Per questa ragione, il benessere psicologico non può essere considerato soltanto come un aspetto ed un obiettivo del funzionamento individuale, bensì anche come la risultante di sistemi di interazione interpersonale (2). Tra i tanti contributi scientifici che via via sono stati proposti a questo proposito, quello di Marks (3) a mio avviso è particolarmente significativo. Questo autore identifica molteplici fattori che agiscono come determinanti del benessere di una persona e li raffigura come una struttura “a forma di cipolla”, cioè composta da vari strati che racchiudono al centro l’individuo con le sue caratteristiche personali (età, sesso, fattori genetici) e tutto intorno gli strati successivi dove si collocano gli stili di vita individuali, le influenze sociali e della comunità, le condizioni di vita e di lavoro ed infine le condizioni generali socioeconomiche, culturali e ambientali. Non è un caso quindi se per spiegare salute (intesa come benessere globale della persona) o patologia negli ultimi anni si fa sempre più ricorso al modello biopsicosociale (4), secondo il quale bisogna sempre prendere in considerazione l’interazione degli aspetti biologici, psicologici e sociali che riguardano l’individuo, cioè fattori multipli e sistemici, e non soltanto eventi singoli o variabili unilineari. Ma esiste davvero qualcosa che riesce a far sentire meglio le persone e farle vivere bene? Ognuno di noi si costruisce con il tempo e con le esperienze di vita la sua personalissima idea di “benessere”, anche se è ormai diffusa e ampiamente condivisa la definizione scientifica di benessere come di funzionamento psicologico positivo e non solo come assenza di sintomi di malessere (2). La nostra personalità ci predispone ad andare in cerca di certe situazioni piuttosto che di altre e ci dota di un bagaglio maggiore o minore di risorse psicologiche (5), tuttavia il livello di benessere di una persona dipende sia dalle sue oggettive condizioni di vita che da come queste vengono percepite, secondo il suo proprio sistema di valori, le sue credenze, i suoi atteggiamenti, le sue aspettative, i ragionamenti euristici, la sua soggettiva percezione di controllo e il suo complesso sistema emotivo. Ma c’è un altro elemento di fondamentale importanza: il confronto con gli altri. La teoria del confronto sociale (6) ci mostra che le persone valutano la propria vita confrontandola con lo standard determinato dal livello di altri soggetti: quindi il grado di soddisfazione provato per la propria condizione non dipende solo dalla posizione assoluta che viene occupata, ma anche dalla posizione delle persone con cui ci si confronta, sia che queste siano amici, familiari o colleghi, sia che siano personaggi famosi o addirittura immaginari. E’ chiaro che coloro che risultano favoriti nel confronto con lo standard sociale saranno soddisfatti e proveranno emozioni positive, al contrario coloro che risultano sfavoriti nel confronto avvertiranno emozioni spiacevoli, quali tristezza e sentimenti di ansia. L’approccio degli standard multipli di Michalos (7) suggerisce che il grado di soddisfazione provato da una persona dipende dalla grandezza del divario percepito tra ciò che ha e ciò che vorrebbe, da quello che hanno gli altri, dalle esperienze passate, dalle aspettative future, da ciò che pensa di meritare e da ciò di cui pensa di avere bisogno. Quindi l’esistenza di divergenze tra le condizioni personali attuali e gli standard sociali di riferimento viene considerata sinonimo di insoddisfazione, mentre la corrispondenza tra i vari aspetti è considerata indice di benessere. E’ esattamente su questo punto che gli effetti della crisi economica possono ripercuotersi con conseguenze psicologiche devastanti.
A questo proposito mi viene in mente un’immagine molto simpatica, il così detto “pollo di Trilussa”, modo di dire utilizzato per indicare che al mondo c’è chi mangia due polli al giorno e chi rimane a stomaco vuoto, anche se in media hanno mangiato un pollo a testa. I problemi nascono quando a chi rimane a stomaco vuoto proprio non va giù che l’altro mangi due polli, li vorrebbe anche lui e magari fa i salti mortali per averli, anche se non può permetterseli. E con la metafora dei “polli” mi riferisco ai beni di consumo, più che ai generi di prima necessità, condizione questa ben più seria e che meriterebbe di essere trattata da parte mia con maggiore rispetto. In tempi di ristrettezze economiche, quando bisogna tirare la cinghia perché si fa fatica ad arrivare a fine mese, come poter rinunciare al telefonino di ultima generazione, alle vacanze esotiche, o al trattamento estetico per assomigliare alla show girl di turno? Già, come fare se i modelli mediatici che ci vengono continuamente offerti sono quelli del binomio denaro-potere, del successo, della bellezza e dell’eterna giovinezza? Il possesso e lo sfoggio di certi oggetti, ma anche essere protagonisti di certi eventi o semplicemente apparire in un determinato modo sono diventati per molte persone condizioni a cui è difficile rinunciare, anche quando si fa fatica a permetterselo economicamente. E allora si vive male, perché il confronto sociale con chi ha di più è deprimente e il divario tra ciò che si ha e ciò che si vorrebbe è una voragine che non si colma mai. Questa dissertazione mi porta direttamente a rispolverare un classico della nostra letteratura psicologica e filosofica, il saggio “Avere o essere?” di Erich Fromm. L’autore descrive due modi di vivere, “l’avere” e “l’essere” per l’appunto, che di per sé sono molto diversi ma rappresentano entrambi due modalità naturali, in quanto “avere” nella sua forma più semplice è collegato all’istinto di sopravvivenza e quindi entro certi limiti non può essere biasimato. Sono da condannare invece, secondo l’autore, le pressioni sociali che spingono l’uomo verso la dimensione “usa-e-getta”, verso il possesso come atteggiamento mentale esteso non soltanto agli oggetti, ma anche alle persone, ai sentimenti, alle idee, alle credenze. E’ da condannare tutto ciò che spinge l’uomo a sentirsi non per quello che è, ma a riconoscere se stesso solo per quello che ha, per quello che fa o per come appare.
Nell’articolo di Bianchi, citato precedentemente, si afferma che è importante aiutare le persone ad essere soddisfatte di se stesse, anche e soprattutto in tempi di crisi economica, per esempio attraverso dei percorsi di counselling. Io sono indubbiamente d’accordo con questa affermazione. Il counselling, per sua stessa definizione, ha l’obiettivo di riequilibrare le tensioni fondamentali della personalità (ambizioni e interessi sociali) affinché possano coesistere in un’armonia funzionale (8), ma anche quello di aiutare l’individuo a crescere perché possa affrontare in maniera più integrata, ovvero con maggiore autonomia, responsabilità e consapevolezza, sia il problema attuale che l’affligge oggi, sia quelli che lo affliggeranno domani (9). Tuttavia io credo che in questo caso intervenire soltanto sul singolo individuo non sia sufficiente. A mio avviso sono troppo pressanti, continue e subdole le spinte mediatiche verso un’ideale di “usa-e-getta”, verso i miti di bellezza e perfezione estetica o verso il binomio soldi-potere, perché possa essere sufficiente, per quanto certamente utile, un po’ di counseling psicologico. E poi chi ha detto che gli ipotetici destinatari di tale intervento ne abbiano davvero maturato una richiesta? Magari per loro il massimo dei desideri si limiterebbe soltanto alla crescita del potere d’acquisto! Ma nel caso in cui invece una richiesta di counseling arrivi veramente dai diretti interessati, il rischio che l’intervento si trasformi in un tentativo di “imparare ad accontentarsi”, secondo me sarebbe purtroppo sempre in agguato. In questo caso l’intervento di counseling dovrebbe essere mirato ad aiutare le persone a fare scelte consapevoli, quindi non ad accontentarsi, ma a domandarsi come mai per loro certi aspetti consumistici legati all’apparire sono così importanti. Per essere maggiormente efficace e completo, il counseling psicologico sulle singole persone che lo richiedono potrebbe (e a mio avviso dovrebbe) essere affiancato da interventi di promozione della salute in ambito di comunità. Sebbene la definizione esatta di “promozione della salute” secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sia quella di “processo mediante il quale si cerca di incrementare il controllo su, e di migliorare, la salute delle persone” (10) e quindi possa sembrare poco attinente con ciò di cui stiamo discutendo, l’aspetto da tenere a mente è che questo tipo di interventi si basa sul costrutto di empowerment (11), che a sua volta è stato definito recentemente come “un processo dell’azione sociale attraverso il quale le persone, le organizzazioni e le comunità acquisiscono competenza sulle proprie vite al fine di cambiare il proprio ambiente sociale e politico e per migliorare l’equità e la qualità della vita” (11). Quindi si tratterebbe a mio avviso di intervenire sulle singole persone per promuovere cambiamenti significativi in termini di consapevolezza e di scelte personali, ma anche e soprattutto di agire sulla comunità per cercare di appiccare il fuoco di un pensiero rivoluzionario basato molto sull’essere e poco sull’avere.
Riferimenti bibliografici
(1) Dati Istat. www.istat.it
(2) Zani, B. & Cicognani, E. (1999). Le vie del benessere. Carocci editore, Roma
(3) Marks, D. (1996). Health Psychology in context. Journal of Health Psychology, 1: 7-21
(4) Engel, G. L. (1977). The need for a new medical model: A challenge for biomedicine. Science, 196: 129-136
(5) Headey, B. & Wearing, A. (1991). Subjective Well-being: a Stocks and Flows Framework. In Strack, Argyle, Schwarz (eds.)
(6) Festinger, L. (1954). A Theory of Social Comparisons Processes. Human Relations, 7: 117-40
(7) Michalos, A. (1985). Multiple Discrepancies Theory (MDT). Social Indicator Research, 16(4): 347-414
(8) May, R. (1939). The art of counseling. Gardner Press, New York. Tr. It. L’arte del counselling, Astrolabio, Roma, 1991
(9) Rogers, C. (1942). Counseling and psychoteraphy, Houghton Mifflin Company, Boston. Tr. It. Psicoterapia di consultazione, Astrolabio, Roma, 1971
(10) Epp, L. (1986). Achieving health for all: A framework for health promotion in Canada. Toronto, Health and Welfare Canada
(11) Wallerstein N. (2006),. What is the evidence on effectiveness of empowerment to improve health? Copenhagen, WHO Regional Office for Europe (Health Evidence Network report;
http://www.euro.who.int/Document/E88086.pdf, December 2007)