Stranger than fiction (vero come la finzione)
Regia: Marc Forster
Sceneggiatura: Zach Helm
Attori: Will Ferrell, Maggie Gyllenhaal, Dustin Hoffman
Paese: USA
Uscita Cinema: 2006
Genere: commedia drammatica
Durata: 113 minuti
Formato: colore
di Giuseppe Preziosi
Nel fitto intreccio di affanni e atti insensati che costituiscono le nostre vite niente forse ha un effetto più travolgente che fermarsi per un secondo e guardare in faccia l’assurdità dell’esistenza che ci siamo creati; sotto bardature di razionalità, bisogni, ragionamenti, buoni propositi, io più o meno fragili procediamo seguendo la linea del discorso che ci scrive.
Nella vita di Harold una ritualità ossessiva delinea l’ordine della giornata: numero di spazzolate per denti, tempi di percorrenza casa-lavoro, durata della pausa pranzo. Una vita funzionate, efficiente, priva di incontri, errori, relazioni, desideri. Un discorso monotono, ripetitivo, muto accompagna Harold. Il suo orologio al centro del suo ordine, regola, divide, organizza, contiene.
Ma un mercoledì qualsiasi una voce, una voce femminile, irrompe nella sua vita. Non un incontro o una conoscenza casuale al bar ma solo una voce che racconta in parallelo la sua vita; il discorso della sua esistenza si incarna fuori da sé nel racconto di un altro(a); quella vita così ordinata e efficiente si aliena al suo “proprietario” non per il suo vuoto di emozioni, gioie, soprese che avrebbe potuto accompagnarlo fino alla fine dei suoi giorni ma perché costretto a confrontarsi con parti della sua esistenza psichica che aveva tenuti silenti.
Harold incontra il desiderio che si incarna nelle forme e nei tatuaggi di Ana Pascal, una panettiera a cui dovrebbe fare una controllo fiscale; deve affrontare l’ineluttabilità della morte che non può essere regolata, stabilita; riscopre le passioni che aveva sepolto sotto un lavoro detestato. Il reale irrompe nella sua vita come una pala meccanica che sfonda i muri della sua abitazione.
Il contesto sociale che lo circonda cerca immediatamente di normalizzare questa deviazione dalla regola. Il dottor Cayly del dipartimento risorse umane del suo ufficio intuendo un pizzico di ansia da evasione gli consiglia di godersi un po’ di feriette arretrate e gli offre un caldo abbraccio, la dottoressa Mittag – Leffet è più sobria: è schizofrenia..le suggerirei di assumere dei farmaci appropriati.
Nella stessa città, nello stesso momento la scrittrice Kay Eiffel sta cercando di terminare il suo ultimo romanzo e di non finire in cenere come le decine di sigarette che fuma. La sua voce è quella che ascolta Harold, il romanzo che sta scrivendo è quello della vita di Harold.
Stop.
Fin qui verrebbe da pensare che Stranger than Fiction sia un complesso film che tenta di interrogare per l’ennesima volta l’incastro possibile tra diversi livelli della narrazione elevando via via la stratificazione (vita-narrazione-sovrapposizione dei due piani). Ma non è così, non è nelle intenzioni del regista; lo dicono due protagonisti del film: è ok, non eccezionale..è ok, non male, non è il più brillante contributo alla letteratura degli ultimi anni ma è ok.
Marc Forster decide di girare un film che gradevolmente, senza ferire ci interroga sull’alienazione che attraversa le nostre vite, su come abilmente ci schermiamo dal desiderio, dal dolore, dalla frustrazione, dalla morte. Conclude (e in parte delude) con le piccole cose che nonostante tutto ci rendono vivi: una fender stratocaster, i segreti detti a bassa voce, il tocco di una mano amica, un discreto incoraggiamento a prendersi cura di sé, un caldo abbraccio, barelle d’ospedale, tappi per il naso. Ma è solo finzione.