Marketing Farmaceutico? No-grazie-pago-io!

Intervista dell’OPM ad un gruppo indipendente di Medici e operatori sanitari dal quale imparare molto

di Luigi D’Elia

Siamo lieti di intervistare Luisella Grandori, Medico, Pediatra, rappresentante del Gruppo Nograziepagoio di cui si è sentito recentemente parlare (a seguito di alcuni episodi di corruzione di medici) come risposta alternativa al sistema dominante di collusioni tra certi ambienti della medicina e case farmaceutiche, a danno dei clienti finali, cioè tutti noi.

Curiosi di capire qualcosa di più di tale ammirevole iniziativa, abbiamo così contattato la Dr.ssa Grandori la quale ha puntualmente, e gentilmente, risposto a tutte (ed erano tante!) domande che le abbiamo sottoposto.

OPM : Da quali esigenze nasce Nograziepagoio?

Il nostro è un gruppo spontaneo di operatori sanitari, nato dalla volontà di evitare l’influenza di interessi estranei al nostro compito professionale per prenderci cura della salute delle persone nel modo migliore possibile. Il marketing dell’industria del farmaco è una delle influenze più pesanti e fuorvianti a cui siamo sottoposti: può indurci a prescrivere farmaci inutili o dannosi oppure arrivare addirittura a distorcere la nostra visione della salute e della malattia. Anche se sappiamo che l’influenza del marketing dell’industria farmaceutica  avviene a tanti livelli e in molti modi, noi cominciamo a fare ciò che è nelle  nostre possibilità, evitando comportamenti rischiosi. Per questo abbiamo deciso di dire No grazie a qualsiasi regalo dell’industria, da quelli di minor valore come una penna biro, a quelli più onerosi come libri, pagamento di iscrizione a convegni, il vitto e l’alloggio, viaggi, ecc.). E’ risaputo infatti che accettare regali di qualsiasi tipo o valore induce un sentimento di riconoscenza,  stabilisce una relazione di reciprocità e fa sentire in debito. Non è questa la relazione che noi vogliamo avere con l’industria del farmaco, desideriamo sentirci ed essere indipendenti. E’ poi anche una questione di dignità professionale e personale e infine è  un gesto per esprimere il rifiuto dell’attuale rapporto tra medicina e industria del farmaco, che noi vorremmo diverso. Vorremmo un rapporto interlocutorio e propositivo, non passivo e acquiescente, anche intellettualmente. Le responsabilità dell’industria e quelle dei medici sono estremamente diverse, non vogliamo confonderle. Certo non basta che non le confondiamo noi, è necessario che questa volontà sia anche e soprattutto dei soggetti portatori di potere: le Università, le Istituzioni, i governi. Le loro decisioni sono fondamentali per creare cambiamento. Perciò, ogni volta che si presenta l’occasione, facciamo proposte e sollecitazioni alle Autorità di turno, come è avvenuto per la formazione (ECM) o per la pubblicità dei farmaci rivolta al pubblico, in discussione nella Comunità Europea.

OPM: Quanti soci siete? Tutti medici o ci sono altre professioni?

Siamo 240, in prevalenza medici (77%). La quota più  numerosa è rappresentata da pediatri e medici di famiglia, ma ci sono anche colleghi di varie specialità, infermieri, farmacisti, psicologi, psichiatri, biologi e bioeticisti. Ultimamente si sono uniti a noi alcuni studenti di medicina e specializzandi.

OPM: Come è stata accolta la vostra associazione dagli altri ambienti farmaceutici, sanitari o medici? Avete incontrato difficoltà, diffidenze o ostilità?

Per lo più i nostri colleghi mostrano verso di noi curiosità e interesse,  accompagnati però da una scarsa fiducia che si possa riuscire in alcun modo a cambiare lo stato delle cose. C’è una sorta di rassegnazione di fronte a un  problema considerato troppo grande e impossibile da risolvere. Alcuni invece si offendono, come se il nostro comportamento fosse un’accusa nei loro confronti. La maggior parte dei medici crede infatti di essere assolutamente invulnerabile a qualsiasi forma di promozione, anche se curiosamente ritengono che i loro colleghi, al contrario, siano facilmente influenzabili. Così risulta da diversi studi. Si direbbe che i medici si ritengano immuni ed estranei ai meccanismi mentali propri degli esseri umani. Ultimamente ho notato però che sta crescendo la consapevolezza che i legami troppo stretti tra medicina e industria, stanno creando problemi seri. Sento sempre più spesso colleghi che dichiarano di sentirsi a disagio, non sanno come uscire da questo meccanismo e ci guardano con simpatia.
Da parte dei rappresentanti del farmaco (quelli che in Italia si chiamano informatori scientifici del farmaco), per quanto mi riguarda, ho incontrato rispetto e gentilezza insieme a un certo stupore per mie scelte. Le esperienze negative sono rare eccezioni e credo che dipendano dalle caratteristiche delle persone più che dal ruolo che rivestono. Comunque non accettare regali ed essere critici verso la pubblicità o la letteratura promozionale delle industrie, fa sì che le visite dei rappresentanti si diradino fino a scomparire. Mi pare un fatto eloquente. Le rare volte che l’industria del farmaco (Farmindustria) si è espressa nei nostri confronti, ha negato che esistano problemi ad accettare piccoli regali e, in sostanza, ha ridicolizzato le nostre posizioni e le nostre azioni.

OPM: Cosa pensa della libertà della ricerca scientifica e cosa occorrerebbe fare a suo parere per superare la collusione scienza-marketing ormai imperante?

Basta leggere il libro di Lorenzo Tomatis “Il fuoriuscito” per capire cosa sta succedendo nel mondo della ricerca ai livelli più alti: un mercimonio. Se poi guardiamo le dichiarazioni di ricercatori autorevoli come Marcia Angell (ex direttore del New England Journal of Medicine e ora docente alla Harvard University), Richard Smith (ex direttore del British Medical Journal) o Adriane Fugh-Berman (docente all’Università Georgetown di Washington), la perdita di indipendenza della ricerca appare di una evidenza inquietante. Per non parlare di ciò che dice Drummond Rennie (vice direttore del Journal of the American Medical Association) in un suo famoso articolo “When evidence isn’t”, che denuncia “la distorsione massiva delle evidenze pubblicate dai ricercatori e dai loro sponsor, entrambi influenzati dai soldi”. Trovare rimedi a una tale situazione non è semplice, i soggetti coinvolti sono numerosi e le dinamiche dell’influenza ormai consolidata in molteplici strati della società, sono complesse, come spiega in una lezione magistrale Lawrence Lessig del Centro per l’Etica dell’Università di Harvard. Credo che sarebbe necessario agire su svariati piani e livelli per ricostruire l’indipendenza, anche nella ricerca. Intendendo per indipendenza una dipendenza ‘appropriata’, come la chiama Lessig. Bisognerebbe innanzi tutto decidere da cosa e da chi deve dipendere la ricerca biomedica, a cosa e a chi deve rispondere e rendere conto. Al profitto o alle persone e ai loro reali bisogni  di salute? La ricerca attuale riguarda quasi esclusivamente farmaci. Ma siamo sicuri che ci servano sempre e solo farmaci per stare meglio? Le azioni per un cambiamento dovrebbero partire dalle decisioni dei governi su quali siano le funzioni della società da rafforzare e garantire con denaro pubblico. La ricerca dovrebbe essere una di quelle. Ma non basta il finanziamento, ci vuole anche un ‘progetto’. Qual è il progetto di società e di salute che hanno in mente i governi? E le università? E la medicina in generale? E l’industria? E’ chiaro che finchè persisterà un’influenza schiacciante dell’industria in tutti gli ambiti, gli obiettivi non potranno essere altro che obiettivi di profitto e consumo sfrenato di farmaci e persino di malattie (il famoso fenomeno della vendita di malattie, il disease mongering). Servirebbe una riflessione seria, un’indagine accurata della dinamica delle influenze che stanno distruggendo anche la libertà di pensiero dei ricercatori. E quindi stanno soffocando (annientando?) la curiosità autentica di conoscere.

OPM: Ho visto sul vostro sito www.nograziepagoio.it che avete una precisa politica per l’aggiornamento professionale, la famigerata ECM, ci può spiegare di cosa si tratta di preciso?

Noi crediamo che la formazione più efficace e utile per i nostri pazienti, sia lo studio individuale o in piccoli gruppi. Un formazione che trova il suo principale stimolo dai quesiti che nascono durante la pratica quotidiana (il cosiddetto life learning) e che può essere svolta a costi molto bassi o costo zero, nelle sedi di lavoro. Tutti gli ambulatori dei medici, gli ospedali e i servizi territoriali, dovrebbero essere collegati online con una buona biblioteca scientifica – come accade in alcune realtà – per poter accedere alle maggiori riviste mediche, alle banche dati e alla documentazione più autorevole. E poi i medici dovrebbero essere messi in grado di leggere criticamente la letteratura per non lasciarsi ingannare dai tanti trabocchetti di metodo o d’altra natura di cui purtroppo abbondano le pubblicazioni scientifiche. Ne è un esempio eclatante la scoperta recente della vasta diffusione del ghost e guest writing, cioè della scrittura di articoli pubblicati sulle riviste più rinomate da parte di autori ‘fantasma’ (ghost) pagati dall’industria e del prestito del nome da parte di autorevoli ospiti (guest) non realmente coinvolti nella stesura degli articoli. Oggi non basta più studiare, vanno acquisite nuove abilità per difendersi dagli inganni. Molto utili al riguardo sono il sito web www.attentiallebufale.it e il libro “Attenti alle bufale e ai mandriani” di Tom Jefferson, ricercatore della Cochrane Collaboration. E’ evidente che per aggiornarsi come noi proponiamo non servono i finanziamenti dell’industria, non servono alberghi costosi o viaggi in località turistiche. Senza contare che un evento formativo finanziato dall’industria del farmaco, può nascondere un’influenza invisibile – come la chiama Ray Moynhian – che rischia di condizionare ad esempio la scelta degli oratori e quindi i contenuti.

OPM: Noi dell’Osservatorio Psicologia nei Media ci battiamo contro la continua banalizzazione dell’informazione/divulgazione in psicologia e cerchiamo di svelarne i giochi. Cosa pensate della qualità della divulgazione scientifico-medica sui media popolari? Avete proposte in questa direzione?

La qualità dell’informazione dei media sulla medicina e sulla scienza, tranne rare eccezioni, lascia molto a desiderare. In primo luogo è intrisa di una visione enfatica e trionfalistica del “progresso scientifico”, che crea nel pubblico false certezze e aspettative nella medicina fuori dalla realtà. Sappiamo bene che le nostre conoscenze sono piene di limiti e di incertezze, Quante volte abbiamo creduto vere ipotesi che in tempi successivi si sono dimostrate false. Questo atteggiamento enfatico si nota particolarmente nella diffusione di notizie miracolistiche su nuovi farmaci, che sono spesso soltanto alle prime fasi di studio. In generale l’approfondimento degli argomenti è carente e manca la consapevolezza del rischio di riporre fiducia in “esperti” con legami molto stretti con l’industria, che dovrebbero invece indurre cautela.

OPM: Cosa pensa del fenomeno sempre più massiccio (specie in aree angloamericane) di diffusione di psicofarmaci alle fasce infantili veicolato da alcune dubbie diagnosi?

L’uso massiccio di psicofarmaci è preoccupante a tutte le età ma nei bambini lo è ancora di più perché si tratta di farmaci che modificano meccanismi delicati della mente e del corpo proprio nel momento cruciale dello sviluppo. Quando la mente umana  dovrebbe esercitarsi a reagire ai vari stimoli, piacevoli e sgradevoli, che la vita da’. Quanto alla correttezza delle definizioni dei disturbi mentali, e quindi della loro diagnosi, anche in occasione della recente stesura del muovo DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) sono state sollevate critiche molto vivaci. E c’è chi come Moynhian, denuncia l’invenzione di vere e proprie malattie. Il suo ultimo libro, Sex, Lies and Pharmaceuticals, si occupa della cosiddetta disfunzione sessuale femminile.
Anche in questo caso siamo di fronte alla promozione quanto mai inappropriata di uno psicofarmaco. Tornando ai bambini, basta pensare che la timidezza è stata trasformata in “disturbo di ansia sociale”, per non parlare della discussa diagnosi di ADHD che ha visto spesso, soprattutto negli USA, il ricorso a un uso spropositato e preoccupante di psicofarmaci. E rimane il dubbio di quale possa essere l’effetto di legami tanto stretti con l’industria del farmaco di chi decide le nuove definizioni dei disturbi mentali o di chi promuove l’uso di psicofarmaci. Un articolo provocatorio di Evelyn Pringle, parla addirittura di “spacciatori di SSRI” riferendosi a diversi esperti degli USA sotto inchiesta per aver ricevuto somme spropositate di denaro (milioni di dollari) per promuovere gli SSRI.

OPM: Quelle volte che mi capita, da alcuni anni a questa parte, di recarmi dal medico di base per una visita o prescrizione ho notato un netto aumento delle visite dei cosiddetti informatori farmaceutici, fino a giungere oramai ad un rapporto, folle, di 1 informatore per 2 pazienti. A parte le lunghe attese alle quali siamo costretti, la domanda è un’altra: che senso ha questo mercato del farmaco e della prescrizione, nonché questa incredibile pressione sui medici (i quali sembrano non potersi opporre)? Non è del tutto evidente che questo lavoro dell’informatore farmaceutico altro non è diventato se non il presidio commerciale delle industrie farmaceutiche e del loro marketing sulla nostra salute? Quali scenari produce questa deriva “markettara” sul sistema sanitario, sul modo di lavorare dei medici, sul modo stesso di rappresentarsi la cura medica da parte di tutti?

E’ interessante leggere ciò che dicono gli stessi rappresentanti delle case farmaceutiche (che in Italia si chiamano informatori scientifici del farmaco). “Il mio lavoro è influenzare costantemente i medici. Sono pagato per questo e addestrato a farlo”, dichiara Michael Oldani e Saharam Ahari descrive 8 categorie in cui vengono suddivisi i medici (amichevoli, distaccati, mercenari …) e le tattiche dell’industria indirizzate a ciascuna categoria per spingere la  prescrizione dei farmaci. Tutto questo è raccontato in un articolo pubblicato su  Plos Medicine nel 2007. Non stupisce quindi che gli esiti delle visite dei rappresentanti, riscontrati in un studio comparso sul BMJ nel 2003, siano la prescrizione di farmaci più nuovi e più costosi, la scarsa attitudine a usare terapia non farmacologica anche quando sarebbe sufficiente e una minore prescrizione di farmaci generici. L’uso eccessivo e improprio di farmaci che  deriva da questa pesante azione di marketing, comporta il rischio di effetti collaterali nelle persone che li assumono e una lievitazione abnorme della spesa farmaceutica che mette a rischio la sopravvivenza stessa dei servizi sanitari. Inoltre crea una sorta di farmacologizzazione della vita e una visione distorta della salute e della malattia. Vi è inoltre un altro effetto da non sottovalutare: la perdita di fiducia del pubblico nell’azione dei medici, nelle loro cure e, in generale, nella medicina. Se si riflettesse seriamente su questo fenomeno, dovremmo essere in molti di più a cercare di modificare l’attuale meccanismo. E’ la dinamica delle influenze di cui dicevo prima citando Lessig, una dinamica che andrebbe modificata al più presto e con molta determinazione.

OPM: Ha certamente seguito le ultime vicende giudiziarie che vedono coinvolti medici, collusi con le industrie farmaceutiche, gravemente implicati in prescrizioni inutili se non dannose. Quali posizioni ha preso la vostra Associazione a proposito?

Qualsiasi scandalo che coinvolga i medici provoca in noi, come in tutti i colleghi, un sentimento di sdegno e di vergogna. Ma non crediamo che il vero problema oggi siano gli scandali o la corruzione. La stragrande maggioranza dei medici è onesta e corretta. Gli scandali mettono in luce la nocività di un meccanismo che va assolutamente cambiato. Sono la punta di un iceberg fatto di legami pericolosi tra medici e industria. I regali, i viaggi e i congressi pagati in alberghi di lusso e in località turistiche esclusive, creano nel medico la sensazione distorta che tutto gli sia dovuto e una percezione di potere eccessiva e fuorviante. Troppo denaro e troppi privilegi. Per forza poi qualcuno supera il limite della decenza e dell’onestà. Quello che va ritrovato è il gusto della sobrietà, insieme al senso dei propri limiti, con l’orgoglio  di essere al servizio dei nostri simili e di avere un compito di grande responsabilità. Un compito che richiede decoro.

OPM: Ho visto sempre sul vostro sito www.nograziepagoio.it che esistono diverse organizzazioni simili in tutto il mondo, esiste un coordinamento internazionale?

Non esiste un coordinamento formale, ma informalmente siamo tutti collegati tra noi. L’Associazione Healthy Skepticism, con sede in Australia e affiliati in tutto il mondo, ci riunisce virtualmente in un forum internazionale a cui partecipiamo tutti.


OPM: Quali sono i progetti futuri della vostra Associazione?

Tutto il nostro lavoro viene svolto su base volontaria e quindi possiamo fare affidamento solo sulle nostre forze. Facendo un esame di realtà, per ora abbiamo deciso di dedicarci soprattutto a informare i nostri colleghi.  La maggior parte dei medici è molto poco informata sugli effetti negativi dei legami troppo stretti tra medicina e industria e sulle proposte fatte e già in atto in altri paesi per creare una distanza di sicurezza. Oltre al sito web www.nograziepagoio.it che arricchiamo costantemente di notizie e documentazione, produciamo una Lettera periodica che viene spedita, su richiesta, a centinaia di colleghi al di fuori dei Nograzie. E le richieste aumentano ogni giorno. Crediamo che allargare la conoscenza sia il primo passo per produrre un cambiamento.

OPM: Grazie mille Dr.ssa Luisella Grandori, è stato un vero piacere intervistarla.

Gabriella Alleruzzo

Author: Gabriella Alleruzzo

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1 Comment

  1. E’ anche vero che provare un farmaco nuovo e’ sempre una fatica. E molti non vogliono pagare essendo a stipendio fisso.

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