L’anacronistico attuale e l’anacronistico dimenticato Gian Maria chi? Ma anche Paolo, Elio, Marcello…..
di Giuseppe Preziosi
“Non scelgo veramente i miei ruoli: accetto un film o non lo accetto in funzione della mia concezione di cinema. E non si tratta di dare una definizione del cinema politico, cui non credo perché ogni film, ogni spettacolo, è generalmente politico: il cinema apolitico è un‘invenzione dei cattivi giornalisti. Cerco di fare film che dicano qualcosa sui meccanismi di una società come la nostra, che rispondono alla ricerca di un brandello di verità”. Gian Maria Volonté
Prima partenza. Ciclicamente passioni che giacciono sopite negli angoli della mente riprendono vigore e da ceneri dormienti, ma mai spente, splendono fiammate e fuochi di nuovo caldi e potenti. Succede così a me per tanti innamoramenti, succede così a me per il cinema e l’opera di Gian Maria Volonté. L’ho conosciuto tardi, avevo 25 anni; insieme ad un educatore con cui facevo tirocinio post laurea ho visto per la prima volta Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970, Elio Petri); coraggiosamente lo proponeva in frames a delle classi di scuole superiore nella periferia di Roma. La folgorazione è stata immediata. Dopo aver passato in rassegna tutta o quasi la sua filmografia sedimentata insieme all’ammirazione, la commozione e quel sentimento di vigore che ti scorre dentro quando conosci del mondo qualcosa di bello e unico rimase una domanda: perché l’Italia si è dimenticata di questo incredibile artista? Mai visto un suo film in tv, mai che nessuno me ne avesse parlato prima; sordo e cieco io?
Quest’estate in un’edicola il suo volto mi ha catturato dalla copertina del Almanacco del cinema MicroMega 6/2010. Interviste, articoli e riflessioni sul cinema odierno e sull’opera di Volonté. Di nuovo le braci si sono riaccese e la passione ha di nuovo infuocato le mie visioni. Filmografia completa o quasi in un paio di mesi. Restano i sentimenti ma resta anche la domanda.
La risposta è semplice in fondo. Che volontà ha adesso l’Italia di rispecchiarsi nella galleria di personaggi che ci offre la sua opera? Una nazione in guerra per una missione di pace può affrontare l’invito del tenete Ottolenghi a volgere i fucili a chi comanda dietro le nostre spalle? Il Ministero dei manganelli può permettersi di far andare in onda Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto? Quanto sono dilettanti i giornalisti odierni confrontati con il capo redattore Bizanti in Sbatti il mostro in prima pagina? Ma noi italiani possiamo confrontarci nel 2010 con autore/attore che diceva del suo mestiere: essere un attore è una questione di scelta che si pone innanzitutto a livello esistenziale: o si esprimono le strutture conservatrici della società e ci si accontenta di essere un robot nelle mani del potere, oppure ci si rivolge verso le componenti progressive di questa società per tentare di stabilire un rapporto rivoluzionario fra l’arte e la vita.
Gian Maria Volonté con tutta l‘attualità della sua opera è anacronistico rispetto alla narrazione dominante del nostro contemporaneo. Una serie di ruoli e di interpretazioni che non assolvono ma smuovono, mettono in crisi. Non trova spazio, non trova parola. Soprattutto in televisione. Come scrive Gianni Canova il cinema ha perso negli anni Ottanta la sua componente di influenza nel sociale come creatore di immaginario collettivo e di consenso a favore del mezzo televisivo. La tv dopo aver cannibalizzato il cinema per i suoi palinsesti lo ha relegato ai margini e continua a farlo adesso. Il divo (2008, Paolo Sorrentino) nonostante i riconoscimenti a Cannes e riscontri economici sembra non esistere per le reti televisive, Gomorra (2008, Matteo Garrone) viene attaccato dal capo del governo. Se il conflitto si gioca non sul piano del reale ma della rappresentazione allora meglio non ascoltare alcune voci, far scomparire alcune immagini.
Secondo inizio. Roma. Ottobre. Da un pò di tempo è iniziata la campagna pubblicitaria del Festival del Cinema. Cartelloni, autobus, manifesti. Ci sono Marcello Mastroianni, Sofia Loren, Antonio De Curtis, Brigitte Bardot, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Vittorio De Sica. Ricordano i poster che le bancarelle vendono lungo via del Corso. Mi viene da pensare che sono quasi tutti morti o mummificati. E che naturalmente non c’è Volonté. Certo, sui cartelloni pubblicitari c’è l’Italia che vogliamo esportare, quella della dolce vita senza aver mai visto il film, quella delle smorfie di Totò, della malinconica bellezza di Mastroianni.
Sintesi. Altra passione, altro attore. Paolo Villaggio. Decido di andare a recuperare quella parte della sua carriera che mi manca oltre Fantozzi (che solo l’usura e la “coazione a ripetere” del suo creatore mi hanno reso insopportabile).
Scovo un film intitolato Non toccare la donna bianca di Ferreri (altro rimosso italiano) del 1974. Ci sono anche Mastroianni, Tognazzi, Noiret, Deneuve. Insieme grottesco, surreale e attualissimo. Nell’area di demolizione del quartiere Les Halles a Parigi il regista mette in scena la battaglia di Little Big Horn tra americani e i nativi “pellerossa”; tutti i personaggi si mescolano con il contesto della città del tempo, nei bar, nelle strade e tra le macchine demolitrici che frantumano scheletri di vecchi palazzi. Nella polvere del cantiere si aggirano ancora delle popolazioni autoctone, per lo più clochard, l’esercito è impegnato a spazzar via ogni resistenza e opposizione alla cultura bianca occidentale. Il generale Custer è intriso del misticismo di una missione da compiere che va aldilà dell’umano, Buffalo Bill rende le azioni militari più pittoresche e spettacolari. Alle spalle del braccio armato la scienza approva nei panni di un Paolo Villaggio “antropologo” che mangia chips americane e indossa la felpa della prestigiosa università di provenienza.
Questo racconto già ci parlava trent‘anni fa di prigionieri incappucciati mostrati dall’alto delle impalcature dei cantieri (così simili a questi http://www.repubblica.it/2003/e/gallerie/esteri/tortugraib/tortugraib.html), di democrazia da esportazione, di metropoli che espellono la povertà ai margini, di propaganda e intellettuali assolutori.
Le immagini di un Mastroianni non comune, di un Villaggio non schiacciato dalla maschera di Fantozzi, di un crudelissimo Tognazzi hanno avuto lo stesso destino dei personaggi di Volonté, quel cinema che per Canova “apre l’immaginazione, scardina le gerarchie etiche ed estetiche dominanti, offre nuove esperienze percettive, mette in discussione l’ordine emozionale imposto dall’egemonia televisiva..” non trova eco nel monolite mediatico nel quale quotidianamente siamo immersi e in cui ci specchiamo.