LA PELLE E LA TRACCIA. Le ferite del sé.
Autore: Davide Le Breton
Edizione: Meltemi
Pagine : 159
Prezzo:16.00 euro
Anno: 2005
These are our demands:
We want control of our bodies.
Decisions will now be ours.
You can carry out your noble actions,
We will carry our noble scars.
Reclamation.
No one here is asking,
No one here is asking,
But there is a question of trust.
You will do what looks good to you on paper,
We will do what we must.
Return, return, return.
Carry my body.
Fugazi
di Giuseppe Preziosi
Un segno sulla pelle, un significante muto, una ferita. Le tracce sull’epidermide raccontano di noi: le rughe, la cicatrice di quella caduta in bicicletta quando ero bambino, il segno di quell’operazione di appendicite, il trucco che metto sugli occhi e sulle labbra, la pelle tesa sotto i bicipiti gonfi che ho allenato in palestra. Un foglio, un display, una lavagna con cui comunichiamo muti con il mondo. La pelle/involucro ci fornisce unità nel complesso coacervo di dimensioni che è l’umano, ci separa dal fuori creando un possibile dentro unitario, una ipotesi di coerenza. Quando i confini straripano bisogna armarsi di vanghe e picconi e sistemare gli argini: tracciare un segno ferita che ristabilisca unità, coeranza, identità. Anche solo per un momento. A qualsiasi costo.
Una manciata di anni fa, un po’ per caso un po’ no, ho iniziato a notare nell’immaginario mediatico piccole infiltrazioni, sottili come una lametta, di ferite, tracce di sangue nelle narrazioni che mi offrivano tv, cinema, letteratura, musica; non storie e fantasie horror ma qualcosa di ancora più incomprensibile e perturbante: ferite autoinferte, attacchi deliberati a se stessi. Adolescente io a quei tempi e adolescenziali quasi tutti i riferimenti che ritrovavo dinanzi alla mia attenzione ormai selettiva: dalla vecchia iguana rock di Iggy Pop al neo babau dei cristiani Marily Manson, da un bel film come Secretary (2002, Steven Shainberg) ad un telefilm clericale come Seven Heaven fino a libri come “Un Urlo Rosso Sangue” di Marilee Strong e “Bodies under Siege” di Armando Favazza . Intorno a me intanto si facevano sempre più frequenti i segni rossi sulle braccia di alcuni coetanei. Ora nel 2010 grazie alla moda emo le braccia segnate da ferite superficiali sono più frequenti, c’e’ un forum italiano sull’argomento (http://urlorossosangue.altervista.org/phpBB2/index.php), Marilyn Manson ha smesso di fare bei album ed è rimasto solo il babau, io ho scritto una tesi di laurea sull’argomento e in libreria trovo questo testo di Le Breton, La Pelle e la Traccia. Il libro è del 2003 ma uscito in Italia nel 2005, peccato troppo tardi per la mia tesi.
Il fulcro attorno cui si muove lo scritto dell’antropologo francese è la relazione tra dolore e sofferenza. L’attacco a parti di sé mette in campo il dolore ma se la sofferenza è intrinseca a questo è anche modulata dalla significazione assunta dal dolore stesso; un io sconvolto dal caos delle sensazioni, incapace di stabilire un contatto con il mondo esterno può, con dolore, incidersi un canale di comunicazione con l’esterno, stabilire un limite che non si è definito. La sofferenza in questo caso viene prima e il gesto serve a placarla, a trovare un attimo di sollievo. Si pone la questione del controllo: la ferita è un dolore che posso controllare, il corpo è qualcosa che posso cambiare a mio piacimento a differenza del mondo circostante. Le ferite autoinferte sono più frequenti tra gli adolescenti proprio perchè è l’eta delle trasformazioni, delle metamorfosi che travolgono le identità incerte. La sofferenza assume i toni di una purificazione di parti di sé intollerabili, di un corpo che non viene più riconosciuto come proprio, come abitabile. In casi di abusi e violenze subite il ritorno al trauma inscena la possibilità di un controllo sulla sofferenza ricevuta. Così come un rivolo di sangue così un gesto paradossale, intollerabile come ferirsi deliberatamente assume forme e contorni molteplici, cangianti, significazioni multiple. Così come quando l’azione sul corpo viene assunta come strumento di comunicazione artistica.
Due esperienze.
Gina Pane. Le sue azioni artistiche si scagliano contro la banalizzazione della violenza, suscitano una crepa nell’anestetizzazione dei soggetti/telespettatori. Ingerire carne cruda avariara, ferirsi con rasoi e spine. Il proprio dolore in cambio di una maggiore consapevolezza degli altri.
“i medici-guaritori di una ferita avevano anche essi una ferita….Sentivano sulle proprie carni il problema morale del malato, ne erano investiti direttamente. È il contrario di quanto accade con la medicina attuale. Ecco perchè se voglio affrontatre una problematica e condividerla con gli altri, incarno quel che intendo esprimere”.
Stelarc. L’artista celebra la fine del corpo umano, sostituito dai prodigi e dalle protesi tecnologiche. Appendice anocronistica di menti proiettate nel futuro, del progresso scientifico e tecnico. Il corpo è materiale per la produzione artistica, un momento prima di scomparire del tutto rimpiazzato dai led, dai cavi elettrici e dal silicio.