Il dilemma della scelta nel trapianto di organi
Parere della Dr.ssa Ilaria Fabbri
Il trapianto di organi è una terapia estremamente complessa e articolata. Per realizzare un solo trapianto ad un singolo paziente è necessaria una serie di condizioni particolari: la presenza di attrezzature e strutture adeguate, il coinvolgimento di figure professionali altamente specializzate, l’utilizzo di farmaci costosi, il lavoro di un gran numero di operatori sanitari durante le varie fasi di valutazione per l’immissione del paziente in lista di attesa (L.A.T), durante la degenza e nei successivi follow up, il tutto secondo una tempistica generalmente molto ristretta e necessariamente sempre ben scandita e organizzata. Il trapianto di organi quindi è una terapia che mobilita tante energie e che per questo costa molto, sia in termini di risorse economiche che umane. Ma questo è solo uno dei vari aspetti. Il trapianto costa sofferenza. La disponibilità di certi organi è possibile infatti solo grazie ad un lutto, una perdita. In un momento tanto difficile, come quello della morte di una persona cara, i familiari, che già stanno soffrendo molto, devono prendere una decisione complessa: dare il consenso per la donazione degli organi, il che significa, detto con parole diverse, scegliere altruisticamente di aiutare degli sconosciuti. D’altra parte anche chi riceve l’organo spesso ha dovuto fare i conti con la sofferenza fisica e psicologica di una malattia invalidante, spesso porta ancora addosso le ferite di un passato, recente o remoto, nel quale ha assistito progressivamente al proprio decadimento fisico e ha dovuto confrontarsi con la paura di morire. Il trapianto in questo senso può rappresentare il punto di svolta, una nuova opportunità di vita, una speranza. Ma non è una strada semplice da percorrere. Comporta un intervento chirurgico complesso, una degenza post-operatoria, l’assunzione scrupolosa di farmaci antirigetto per tutta la durata della vita, la possibilità di pesanti effetti collaterali, l’eventualità, sempre in agguato e per questo estremamente minacciosa, del rigetto, la messa in atto di comportamenti specifici per scongiurare il pericolo di infezioni, come indossare una mascherina protettiva ed evitare luoghi affollati per un certo periodo di tempo dopo l’intervento, sottoporsi regolarmente ai controlli previsti, etc. A fronte delle varie difficoltà, il trapianto di organi è ad oggi una possibilità terapeutica straordinaria in grado di restituire la vita a chi è andato ad un passo dal perderla. Negli ultimi anni inoltre è stato riscontrato un ulteriore traguardo positivo per il trapianto di organi, sia per quanto riguarda un costante e progressivo aumento dei tassi di sopravvivenza, sia per quanto riguarda il miglioramento della qualità di vita globale nei pazienti trapiantati rispetto alle fasi del pre trapianto e rispetto ad altri individui in condizione di malattia (Karam et al., 2003; Luk, 2004; Vermeulen et al., 2004; Frigerio et al., 2008; Bucuvalas et al., 2008).
Attualmente in Italia i pazienti in lista di attesa per un trapianto sono 8.963, a fronte di 2.746 trapianti effettuati nei primi mesi del 2010 (SIT-Sistema Informativo Trapianti, dati aggiornati al 31 Maggio 2010). Forse vale la pena soffermarsi a riflettere sul fatto che il divario tra il bisogno di organi e la reale possibilità di effettuare un trapianto purtroppo è enorme. Per quanto brutale e difficile da accettare, la verità è che non ci sono organi disponibili per tutti. A questa triste realtà si può porre rimedio prima di tutto cercando di incrementare la donazione, senza la quale la complessa macchina dei trapianti si inceppa. Esistono tuttavia svariati e molteplici elementi in grado di influenzare negativamente la scelta di donare gli organi, tra cui fattori culturali e religiosi, il livello di istruzione, l’accessibilità ad informazioni corrette, un’adeguata conoscenza del problema, la condivisione consapevole della cultura della donazione e del trapianto, oltre, e non ultime in ordine di importanza, alle opinioni e alle modalità con cui operano gli operatori sanitari dentro le Rianimazioni (Trabucco et al., 2008). Progettare degli interventi in favore della donazione, significa ponderare tutti questi elementi. L’altro aspetto da tenere in considerazione è una adeguata selezione del paziente candidato al trapianto di organi.
Come anticipato, il trapianto di organi non è soltanto un intervento chirurgico, bensì un iter complesso che pone sostanziali e continue richieste di adattamento al paziente e ai suoi familiari durante ognuna delle sue fasi, dal momento della prima valutazione fino alla riabilitazione successiva (Lovera G. et al., 2000). La letteratura scientifica degli ultimi anni e l’esperienza clinica di molti professionisti in questo settore hanno evidenziato che problematiche psichiche e sociali ed eventuali altri aspetti non adeguatamente considerati possono compromettere pesantemente la qualità di vita, l’aderenza alle terapie, perfino l’esito del trapianto stesso e sfociare in disagio e sofferenza psicologica per il paziente trapiantato e per i suoi familiari (Olbrisch et al., 2002; Jowsey et al., 2008; Trabucco et al., 2008). La consapevolezza che un’adeguata presa in carico delle implicazioni psicologiche, affettive e relazionali durante il percorso dalla donazione al trapianto consente invece di prevenire l’insorgenza di sofferenza emotiva e delle sue spiacevoli conseguenze, ha ispirato la stesura di Linee di Indirizzo ad opera del Gruppo di Lavoro Italiano sugli Aspetti Psicologici e Psichiatrici del Trapianto d’Organo (GLIPSITO) (Rupolo et al., 1999; Trabucco et al., 2008). Prima dell’immissione in lista d’attesa, viene raccomandata la valutazione psicologica-psichiatrica dei pazienti candidati. In particolare viene consigliata l’indagine sulla presenza di alterazioni cognitive, di disturbi psichiatrici attuali o pregressi, sul profilo di personalità, sull’uso/abuso/dipendenza da sostanze psicoattive e/o alcool, sulle capacità di adattamento, sulla compliance terapeutica, sulla presenza e sulla qualità del supporto familiare-sociale. Alcune condizioni vengono descritte come fattori di controindicazione “assoluti” o “relativi” al trapianto. Tra i primi ci sono psicosi florida, danni cerebrali irreversibili, ritardo mentale (Q.I.<50), abuso/dipendenza attiva da sostanze o alcool, ideazione suicidaria attiva, recente tentativo di suicidio, assenza di compliance terapeutica. Come fattori di controindicazione “relativa” al trapianto, vengono indicati disturbi di personalità, disturbi psicotici in fase di remissione, disturbi affettivi in atto, gravi disturbi nevrotici, ritardo mentale (Q.I.<70), abuso di droghe, alcool o tabacco, anamnesi positiva per disturbi psichici e/o per tossicomania, tentativo di suicidio in passato, insufficiente compliance terapeutica, limitato supporto familiare e sociale, insufficiente grado di informazione, impiego di meccanismi di negazione (Levenson e Olbrisch, 1993; Rupolo et al., 1999). Recentemente la Regione Veneto, con la Deliberazione n. 851 del 31 Marzo 2009, ha deciso di adottare queste indicazioni come Linee Guida per la valutazione e l’assistenza psicologica in area donazione-trapianto definendole come “..uno strumento tecnico sintetico per garantire un’assistenza adeguata ed integrata a tutti i protagonisti (pazienti, famiglie, operatori sanitari ecc.) coinvolti nell’iter dalla donazione al trapianto” (Allegato A, Dgr n.851 del 31/3/2009, pag. 2/14) e demandandone l’applicazione alle Aziende ULSS e Ospedaliere. La Regione Veneto, attingendo dalla letteratura scientifica consolidata e raccogliendo la professionalità e l’esperienza pluriennale del Gruppo dei Referenti per gli Aspetti Psicologici e Psichiatrici dei Trapianti d’Organo del Veneto, ha quindi sancito ufficialmente una modalità di lavoro già esistente anche in altre regioni d’Italia. Per quanto riguarda le citate controindicazione “assolute” e “relative” al trapianto, è doveroso sottolineare che si tratta di fattori di natura psichica e/o sociale che non portano automaticamente all’esclusione dalla lista d’attesa. Gli esiti della valutazione psicologica-psichiatrica vengono infatti normalmente presentati e condivisi insieme ai risultati delle indagini mediche durante le riunioni dell’equipe multidisciplinare (Trabucco et al., 2008). Pertanto la decisione di immettere un paziente in lista per il trapianto è il frutto di una elaborata discussione multiprofessionale durante la quale vengono presi in considerazione e soppesati tutti i vari fattori. Non solo, ma la valutazione psicologica-psichiatrica non si esaurisce con l’espressione di un parere sull’idoneità o meno all’ingresso in lista, ma segue e valuta il paziente durante tutto l’iter trapiantologico. Le Linee Guida della Regione Veneto individuano infatti cinque obiettivi fondamentali che lo psicologo deve perseguire nell’ambito dei trapianti:
conoscere l’organizzazione psichica del paziente e monitorare/trattare eventuali reazioni psicopatologiche
collaborare alla selezione pre-operatoria dei pazienti, identificando i potenziali fattori di rischio che potrebbero incrementare i rischi di non-compliance e morbilità post-operatoria
favorire il processo di adattamento alla malattia, prima dell’inserimento in lista
promuovere per tutti i candidati un accesso alle cure in condizione di chiarezza ed equità
fornire interventi di counselling rivolti allo staff, allo scopo di mediare e contenere situazioni conflittuali, ma anche di favorire la relazione e la gestione clinica del paziente
L’intervento psicologico si delinea quindi, pur nel rispetto di principi condivisi, sempre di più come una complessa azione ad personam, centrata sull’individuo e ben lontana dunque dall’essere discriminatoria, come invece viene sostenuto in un articolo apparso recentemente su una nota rivista scientifica (Panocchia et al., 2010). Gli autori dell’articolo accusano la Regione Veneto di aver adottato delle Linee Guida discriminatorie, che negano a priori la possibilità del trapianto alle persone con disabilità mentale. Non è così. Al contrario, l’evidenza scientifica che ha ispirato tali Linee Guida sottolinea la necessità di porre una attenzione particolare proprio alle persone con disabilità mentale o che presentano una qualunque delle altre condizioni indicate come “controindicazioni assolute o relative”. Questo perchè tali pazienti sono portatori di realtà che vanno valutate attentamente prima di decidere se il trapianto potrà rappresentare un reale giovamento per loro. In questi casi è necessario soppesare attentamente se ci sono le condizioni affinchè il paziente sia in grado di seguire attentamente le terapie farmacologiche, di presentarsi ai controlli, di mettere in atto comportamenti adeguati alla sua condizione di trapiantato, se possa contare o meno su un valido supporto familiare, se al contrario ci sia bisogno di attivare un intervento di tipo assistenziale, e molto, molto altro ancora. Vorrei aggiungere qualcos’altro. Considerare soltanto i bisogni fisiologici fondamentali e la salvaguardia della sopravvivenza biologica non sempre porta a buon esito la cura del paziente, anzi può anche diventare iatrogeno (Lovera et al., 2000). Malgrado gli atti sanitari abbiano come obiettivo fondamentale la salute e la salvezza dell’essere umano, talvolta possono essere la causa scatenante di malessere psichico. Questo accade perchè una persona che riceve un intervento salvavita, come un trapianto, si trova anche a dover affrontare lo stress derivato da condizioni di vita insolite, da turbamenti causati dalle terapie sia a livello fisico che emotivo e sociale, dalle modificazioni dell’immagine corporea, del tono dell’umore, dei comportamenti sessuali, familiari e sociali (Lovera et al., 2000). Per queste ragioni è davvero importante che il paziente destinatario di un atto sanitario di una certa rilevanza, come il trapianto di organi, abbia maturato una motivazione possibilmente adeguata e consapevole e che sia lui, debitamente informato e sostenuto psicologicamente durante l’iter trapiantologico, a scegliere l’intervento, non a subirlo. Alcuni sostengono che la qualità della salute sia più importante della qualità della vita e che la medicina debba avere come obiettivo primario la sopravvivenza fisica (Spagnolo, 2008; Panocchia et al., 2010). Io credo che il paziente vada sempre considerato non come semplice destinatario di un intervento sanitario, in questo caso il trapianto, ma nella interezza della sua persona, come soggetto giuridico per un consenso informato valido, come portatore di personali valori, motivazioni e desideri, di affetti, di interessi sociali e lavorativi, di paure, di preoccupazioni e di molto, molto altro ancora.
BIBLIOGRAFIA
Allegato _A_, Dgr n.851 del 31/3/2009, Regione del Veneto, Giunta Regionale – 8^ legislatura
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