“Baby Amanti: l’incontro (traumatico?) con la sessualità nella prima adolescenza.
di Anna Barracco
Riflessioni sui Baby amanti del Vicentino (articolo originale tratto da http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cronaca/2010/29-maggio-2010/fanno-sesso-divano-casa-baby-amanti-scoperti-genitori-1703105311487.shtml)
“Be stupid” intimava da tutti i muri della città in cui vivo, qualche mese fa, una fortunata campagna pubblicitaria di una nota marca di abbigliamento casual.
E in effetti oggi troppo spesso l’imperativo, nella sua paradossalità, sembra davvero l’unico rifugio possibile per non rinunciare al proprio senso critico.
Fare appello alla propria stupidità, o almeno rifiutarsi di comprendere subito e di formarsi un’opinione troppo in fretta, è il tentativo che vorrei offrire ai lettori di OPM di fronte a questo articolo – banale forse, se si accosta questa notizia a quelle di efferati omicidi in famiglia, stupri, orrori di ogni genere, che non mancano di occupare la nostra quotidiana realtà di lettori di cronaca.
L’articolo parla di un rapporto fra due ragazzini che si situa nella primissima adolescenza; ci dice che i due sono figli di “nord africani regolari” (e non è chiaro se questo elemento è lì per dire qualcosa, e cosa, esattamente). Ci dice che la sessualità consenziente fra i due viene scoperta per caso, come un intoppo, un imprevisto che viene a situarsi nell’ingranaggio complesso della vita degli adulti, i loro impegni fuori casa, mentre i figli vengono “pensati” come si vorrebbe che fossero: affaccendati a fare il loro dovere di bambini in crescita; a farei compiti, ci dice la redattrice, o a giocare ai peluche e alle macchinine.
Gli adulti di riferimento scoprono questa scomoda realtà e immediatamente l’evento, la scoperta, la scena, diviene trauma. Trauma per il genitore, prima di tutto, e trauma di conseguenza, per i due giovani. L’evento esce dalla dimensione privata e viene consegnato ad una sorta di ingranaggio pubblico. Di fronte al trauma svelato, la parola dei due adolescenti non è più sufficiente, non conta più (se mai peraltro ha contato qualcosa, dal momento che nulla era sospettato, nulla intravisto, nulla “ascoltato”). Contano le analisi mediche, che non fanno, peraltro, che confermare la realtà riportata dai due giovani e chiaramente presentatasi agli occhi della madre della giovane: la verginità è perduta, non ci sono state costrizioni o violenze. La parola, già disconfermata e occlusa dalla comparsa sulla scena del corpo parziale mostratosi all’occhio materno e immediatamente trasferito sul lettino del ginecologo e quindi sui giornali, senza un tempo per comprendere, senza un tempo per riflettere, passa ai Servizi Sociali; sono gli Assistenti Sociali che “insegneranno ai giovani le regole dell’affettività e il rispetto dei limiti”.
Lo sconcerto a questo punto – almeno il mio – è totale. Al fallimento del vincolo, del dialogo fra genitori e figli, si sostituisce senza soluzione di continuità l’acting out dell’intervento medico, lo sguardo della medicina sul corpo della ragazza, a cui fa seguito l’intervento risolutivo, l’intervento “esperto” che educa, che dispone, che insegna la giusta misura, che restaura il senso del limite, che educa all’affettività.
Dove sono gli adulti in questa vicenda dei baby amanti della provincia di Vicenza? Cosa sanno, come si relazionano con il complesso e faticoso accesso alla sessualità, all’ingresso nell’età adulta dei loro figli?
Se diamo uno sguardo generalizzato, vediamo che la società diviene sempre più complessa, c’è la questione multiculturale, con la quale i nostri figli si confrontano nel loro quotidiano, c’è l’invadenza di internet e delle nuove tecnologie, ci sono i nuovi fondamentalismi e c’è la spinta all’omologazione che tutti (e non solo i giovanissimi) subiscono e tendono ad accogliere come unico accesso possibile ad una sorta di soggettivazione, o almeno di inclusione nel sociale.
D’altra parte gli adulti, i genitori, distratti e affannosamente indaffarati, delegano la loro responsabilità educativa alla scuola, alla televisione, all’intrattenimento anonimo e parcellizzato e i figli, lasciati soli a cavarsela con la pulsione, con le fantasie, con le paure e la solitudine affettiva, si consegnano mani e piedi a questi contenitori spersonalizzati. La dimensione – etica e clinica – del problema, risiede precisamente nel fatto che questo avviene perché i giovani “dicono di sì” ad una precisa richiesta, ancorché non espressa, del genitore. Dicono di sì a questo vero e proprio “doppio legame” che viene dal mondo adulto, richiesta di cavarsela da soli, di crescere in qualche modo, di imparare a “saperci fare” con il proprio desiderio, con il proprio corpo, di crearsi dunque, di fabbricarsi, una soggettività, come se davvero fosse possibile questo, fuori da una relazione, da un atto costante d’amore e di dialogo, da un impegno etico e soggettivato da parte dell’adulto.
Come in un “Pinocchio” al contrario, i Baby amanti dell’articolo, nascono umani e rischiano di diventare burattini; la scoperta del loro desiderio, del loro tentativo di farsene qualcosa della solitudine, della pulsione e della relazione, viene subito negata e iscritta nel “come si deve”, senza che sia possibile, per i genitori e per la società stessa, interrogare questo evento, ripartire da questo trauma.
Oggi sempre più assistiamo alla comparsa del menarca in anni precoci. Alcuni studi di psico-neuro-immunologia illustrano anche come la comparsa precoce del menarca e la maturazione precoce degli attributi sessuali secondari nelle bambine, siano associabili alla scarsa presenza della figura paterna; questo dato sembra statisticamente molto rilevante anche laddove non si è in presenza di separazione effettiva dei genitori e dunque di madri che allevano le figlie in solitudine. L’eclissi del paterno sembra un dato estremamente diffuso e costituisce un tratto peculiare della famiglia contemporanea. Alla scarsa “esposizione” alla presenza paterna, si aggiunge, in una complessità difficilmente articolabile in modo compiuto nel caso per caso, la questione del cambiamento degli stili di vita, le abitudini alimentari e la contraffazione dei cibi (presenza di ormoni nelle proteine animali, ecc.); anche questi elementi sembrano alla base di una generalizzata tendenza alla maturazione precoce nella femmina, e, all’opposto, ad una riduzione delle gonadi nel maschio con relativo calo di fertilità maschile.
Dal punto di vista psicologico e sociologico, sembra forse più sensato ricondurre questa osservazione alla tendenziale sparizione della dimensione paterna nel sociale come sparizione del “vincolo” che immette il soggetto-bambino all’interno di un “discorso amoroso”, di una relazione “triadica”, discorso che, solo, permette l’accesso ad un corpo sessuato che non venga lasciato alla mercé dell’erotizzazione pura.
In questo senso, per chi si occupa di psicologia giuridica in ambito civile, appare molto significativa l’osservazione, ormai del tutto acquisita scientificamente, per cui i sintomi del bambino abusato (erotizzazione precoce, masturbazione compulsiva, scarso controllo degli impulsi) sono spesso del tutto sovrapponibili ai sintomi del bambino esposto per anni alla feroce conflittualità genitoriale, con ciò mostrando come l’impossibilità ad accedere ad un limite, da parte degli adulti di riferimento e del sociale – in generale e per estensione – costituisca di per sé un vero e proprio abuso con effetti sul corpo sessuato. Il corpo, fuori o ai margini dallo scambio simbolico, diviene corpo oggetto, corpo scarto, corpo merce, e la domanda d’amore si confonde drammaticamente e inestricabilmente con la domanda di soddisfazione pulsionale.
Nel caso dei baby amanti di Vicenza, dunque, la mia ipotesi è che l’abuso consumato dal mondo adulto nei confronti dei minori sia stato un doppio abuso. Un primo abuso è il “doppio legame” dato dalla distrazione strutturale degli adulti, che, presi dal loro difficile quotidiano, si illudono che i giovani possano “farsi compagnia”, “fare i compiti”, insomma crescere senza imprevisti e senza sorprese. “Prendi esempio da me, anche se l’esempio non te lo do. Stattene da solo ma fai come se non fossi solo”, si potrebbe sintetizzare. Il secondo e più grave abuso (del tutto conseguente, e che rende ipotizzabile il primo, retroattivamente) è l’impossibilità di accogliere il fatto traumatico, la scoperta, come comunicazione, come caduta del velo ipocrita e come inizio di un dialogo, di un discorso possibile fra le generazioni. Anche questa possibilità di incontrarsi, invece, viene subito evacuata, espulsa, e la relazione viene delegata all’”esperto” che deve “riparare” restituire il tutto ad una supposta “educazione affettiva”, ad una ortopedia dell’amore, del sesso e del limite, operazione dalla quale l’adulto denunciante e delegante, sembrerebbe del tutto escluso.
In questo, come in molti altri casi analoghi, anche molto più gravi sul piano dell’agito, il ruolo dell’esperto in questione, il ruolo del servizio sociale ma soprattutto il ruolo dello psicologo nei contesti educativi nei quali comunque i ragazzi andranno reinseriti, è fondamentale per operare una rettificazione del rapporto dei soggetti con il reale in gioco (= la scoperta traumatica, in questo caso); senza questa rettifica, nessuna vera presa in cura dei soggetti in questione è possibile, laddove i soggetti in questione sono quasi sempre, in primo luogo, gli adulti di riferimento. Rimando infine il lettore, per un ulteriore approfondimento della tematica (incontro traumatico con la sessualità, il sesso come agito ecc.) all’articolo di approfondimento, nella sessione recensioni, “gravidanza indesiderata, maternità e aborto al cinema: note a margine di alcuni film”).
29 luglio 2010
Ottimo articolo di riflessione, che si sposta dal comune “reagire istinutale” davanti a questi fatti e prova a portare elementi di pensiero e di analisi.