I Terremotati
Autore:Giovanni Iozzoli
Edizioni: ilmanifestolibri
Prezzo: 14.00
Pagine :158
Anno:2009
di Giuseppe Preziosi
Sono cresciuto fino ai 21 anni ad Avellino; ogni tanto penso che prima o poi la natura verrà a chiedere un conto, forse l’affitto e che si sveleranno le differenze tra i muri di cartone e quelli di cemento, tra le truffe, gli imbrogli e le opere dei lavoratori coscienziosi. Lutti, perdite e separazioni; prima o poi succederà. Questo libro di Giovanni Iozzoli mi rammenta che forse dovrò aver paura anche delle persone, dei miei stessi governati, delle mafie, del cemento. Si potrebbe perdere anche l’ultimo sottile filo che lega l’appartenenza alla mia città.
Questo testo si intesse intorno al terremoto dell’Irpinia del 1980; nelle parole dell’autore la sua intenzione è indagare “…il dopo, gli anni che seguirono, i giorni che si misero a girare vorticosi e selvaggi…“.
“I terremotati” è un racconto tormentato,di perdita, ferito, grave, faticoso. Le parole descrivono macerie, frammenti che sono sconfitte, “robba” accumulata, riscatti mai avvenuti, sbandamenti, furti, mancanze; lo attraversa anche una venatura forse troppo nostalgica di un tempo in cui si stagnava in una misera povertà. Tra le pagine non si trova spazio per il rinnovamento o per il progresso; l’ennesimo, perduto treno per il meridione. L’insidia che serpeggia tra le crepe di una terra già profondamente segnata prende il nome di ricostruzione: i container che prendono il posto delle vecchie case, le piazze sparite, le tangenziali, le speculazioni, le catapecchie che diventano ville kitsch.
Se guardo la mia città ho l’immagine di una bimba invecchiata ma senza mai essere stata adulta e matura. Di una crescita deforme, incongruente come se alcune parti fossero maturate in modo abnorme rispetto ad altre, come se non ci fosse stato spazio per un pensiero, per una salvaguardia della “forma”. Non so ben distinguere cosa è venuto prima e dopo il terremoto, quali palazzoni, quali stradoni, quali ferite che ancora scavano nei palazzi del centro. Ma quella scossa mi sembra abbia solo accelerato, in qualche modo favorito il peso schiacciante di un processo ineluttabile. Chissà se è veramente così? Leggere questo libro è un po’ come avere l’impressione che tutto dovesse accadere, che non ci fosse altra strada per la mia terra, altra possibile evoluzione. Nessuna tesi da potare avanti, nessuna energica rivendicazione, solo un ritratto crudo, asciutto e impietoso di quello che è successo in Irpinia trenta anni fa, tra quelle splendide e antiche montagne.
Il terremoto ha tracciato una linea, un crepaccio tra il tramonto degli anni della speranza, della lotta, della ribellione e l’alba degli anni da bere, del bucarsi, dell’arrampicarsi a tutti i costi. Lo Stato che in quelle lande desolate voleva solo dire servizio di leva obbligatorio e poco altro si scopre improvvisamente generoso, spendaccione, munifico, opulento. Una manciata di storie si intrecciano tra sassi, polvere, ruggine, perdite, pietà, malaffare: Rita riappare all’improvviso, dopo anni di militanza e di carcere si riaffaccia al paese natio; trova solo macerie di quello che aveva abbandonato. Anche Aurelio torna; ha trascorso anni a Milano facendo politica, tornato a casa cerca un riscatto arruolandosi nelle file dei socialisti. E poi preti, suore, buffoni, pazzi, lavoratori onesti, camorristi, bulletti, anziani rugosi. La sconfitta si riverbera in relazioni formali, fredde, tristi; in solitudini e sogni infranti, nel crollo di ideali e fedi, nel fallimento dell’accumulo, nella “robba” come unico ideale e motivo di vita.
Pertini piange immobilizzato dal fallimento della solidarietà nazionale, dall’inefficienza dello Stato; le energie della ricostruzione si inquinano con le torbide acque della malavita che trovano terreno fertile nel flusso di denaro, sovvenzioni, cemento, mattoni.
“Era come se all’improvviso il vento avesse fatto saltare i paletti di una proprietà…l’esercito di ingegneri, capocantieri, appaltatori, geologi, speculatori, era arrivato silenzioso, occupando ogni angolo di campo o di bosco…noi ragazzini, abituati ancora ad avere un rapporto di rispetto e di mistero con le campagne e i boschi circostanti, ci sentivamo invasi nella più profonda intimità…nel nostro angolo provvisorio di paradiso un tempo vergine, trovavamo un pezzo di gru smontato e già arrugginito; o un cesso-gabbiotto da cantiere, o attrezzi e segnaletica…e un altro tuo spazio era stato violato…”.
Derubati della storia, del legame con la terra, soffocati da “roulotte, volontari, scarpe, scavatori, container, ponti, commissari speciali, militari, progettisti e infine soldi, una marea di soldi“.
Mentre leggo queste pagine spesso mi viene da pensare al recente terremoto in Abruzzo, alla battaglia mediatica messa in piedi tra due colossi dell’informazione; un gioco di potere che altro interesse non ha se non gettar ombra e biasimo sulla parte avversa. Tra concerti di beneficenza (per chi?) e accuse e proclami si perde la possibilità di cogliere la verità. Cosa sta veramente sta succedendo: non saprò mai se in un anno le case sono state ricostruite, se l’intervento della protezione civile è stato tempestivo, ben organizzato; non saprò mai se lo Stato, la mia nazione, si è adoperata in modo adeguato per aiutare i miei connazionali (lo stesso Stato che magari un giorno dovrà soccorrere me). La verità si è persa…Forse potrei coglierla solo andando lì. O forse come scrive Iozzoli storie come questa non finiscono bene, non possono finire bene.
27 maggio 2010
Che brivido. Sono giornalista. Sono stata tre volte in Abruzzo. Mi sono stupita, indignata, eccitata. Forse anch’io ho soffocato persone, dolori, pudori e macerie. L’ho fatto pensando che VOLEVO DIRE. Volevo dire quello che altri non dicevano. Volevo carpire quello che altri non volevano vedere. Sono stata credibile. Forse ho deluso molti. Perché, poi, non ho mai detto abbastanza. Per questo continuo ancora a DIRE. Quello che posso. Ogni volta con negli occhi le foto che non ho scattato. Gli amici che ho conosciuto. Che, forse solo perché “terremotati”, sono stati subito amici. Da parte mia, da parte loro (credo). Luia