Tra le nuvole
Titolo originale: Up in the air
Regia: Jason Reitman
Sceneggiatura: Jason Reitman, Sheldon Turner
Scenografia: Steve Saklad
Costumi: Danny Glicker
Con: George Clooney, Jason Bateman, Anna Kendrick, Vera Farmiga, Melanie Lynskey, Danny McBride, Tamala Jones, Adam Rose, Amy Morton, Steve Eastin, J.K. Simmons, Sam Elliott, Zach Galifianakis
Fotografia: Eric Steelberg
Montaggio: Dana E. Glauberman
Musiche: Rolfe Kent
Produzione: Cold Spring Pictures, DW Studios, Montecito Picture Company, The, Paramount Pictures, Right of Way Films
Distribuzione: Universal Pictures
Paese: USA 2009
Uscita Cinema: 22 /01/2010
Genere: Commedia, Drammatico
Durata: 108 Min
di Chiara Santi
Questo film è consigliato per i “bamboccioni”. Quelli veri. Non la schiera di ragazzi e ragazze che guadagnano meno di mille euro al mese, lavorando a tempo pieno, e non hanno la possibilità di pagarsi un affitto e tanto meno un mutuo. Ma quelli che a 40 anni e oltre magari vivono da soli, in una bella casa e hanno un lavoro più che soddisfacente, ma nonostante questo continuano a giocare a fare gli adolescenti, pensando di avere ancora tutto il tempo che vogliono davanti per fare le scelte importanti della vita.
E’ per le persone che hanno paura dei legami, che li trovano un peso, una zavorra, qualcosa che va bene da prendere nello stile “mordi e fuggi”, quasi fossero un prodotto da fast food: costa poco e si fa in fretta. Però, poi, il sapore è quello che è…
Quelli che poi arrivano a 50 anni e, all’improvviso, si accorgono che gli manca qualcosa, che non hanno costruito veramente niente e che, forse, ora diventa un po’ tardi per certe scelte che altri hanno già fatto a tempo debito, perciò si ritrovano a rappresentare per questi, al massimo, un interessante diversivo, una scappatella dalla vita comune, quella reale.
Ryan è un cinico tagliatore di teste, uno che va nelle aziende a licenziare persone; riceve un lauto stipendio, insomma, per dire agli altri che uno stipendio non ce lo avranno più. E per cercare di farlo in una maniera tale da convincerli che questa non è una disdetta, ma una fortuna, l’inizio di una nuova opportunità, la seconda chance che la vita ti dà per realizzare veramente il sogno nel cassetto. Fa il lavoro sporco, anzi sporchissimo, soprattutto perché lo fa al posto di quei capi che avrebbero la responsabilità di lasciare i dipendenti a casa, ma non vogliono assumersela e pagano appositamente qualcuno, totalmente sconosciuto ai futuri disoccupati, che assuma questo ruolo.
La sua vita è fra le nuvole; in senso letterale, non simbolico, considerato che nel suo lavoro è un uomo pratico ed impeccabile e la sua vita non si nutre certo di sentimentalismi. Ma il novanta per cento dell’esistenza Ryan la passa in giro per l’America per lavoro e la sua casa è rappresentata molto più da alberghi e, appunto, aerei che non dalla sua dimora fissa nella quale, infatti, stenta a ritrovarsi e che vive con disagio, quando costretto a fermarvisi. Tutto il suo mondo sta in un trolley, insomma.
La sua aspirazione più grande è quella di ottenere la tessera vip riservata a chi raggiunge i dieci milioni di miglia di viaggi aerei, onore fino a quel momento concesso solo a sei persone.
In pratica, una vita fatta di viaggi, valigie, aspirazioni a riconoscimenti effimeri e, soprattutto, di fuga dalle responsabilità di un rapporto adulto, sia che si parli di relazioni sentimentali sia che si tratti di interazioni con la famiglia, con la quale ha contatti talmente sporadici da non sapere neanche che sua sorella sta per separarsi.
La leggerezza del suo vivere risulta minacciata quando nella sua azienda arriva una neolaureanda che propone di ottimizzare il lavoro, licenziando direttamente in videoconferenza ed eliminando così dal budget aziendale incredibili sprechi su viaggi ed alberghi.
Ryan trema all’idea di dover modificare tutto quanto fino ad ora gli ha dato un artificiale senso di libertà e fa uso della sua intelligenza ed esperienza per mostrare alla giovane collega ed al suo capo, eccitato all’idea del risparmio che si prospetta, l’essenzialità della sua funzione.
A complicare la situazione, soprattutto, arriva un incontro inatteso, che sembra catturare Ryan oltre l’attimo fuggente del flirt.
In questa vita sospesa, in tutti i sensi, e basata sulle apparenze e su ciò che passa veloce, non è forse un caso se Ryan rimane affascinato da Alex, quando la incontra. La donna, infatti, appare il suo alter ego femminile e, in un gioco di rispecchiamenti narcisistici, egli trova, per la prima volta, l’abbozzo di un desiderio di costruire qualcosa di più della storia di una notte.
Con questo film, Reitman ci dà un affresco della società moderna, del suo nuovo modo di vivere i legami: di chi li teme, di chi li accetta, ma poi se ne sente soffocato, di chi vive le persone e la loro vita come un immagine su un pc e, spento quello, si spengono anche rimorsi e sensi di colpa, di chi non vuole assumersi alcuna responsabilità. Lo fa, però, con la grazia di chi sa trattare un tema difficile e pesante con leggiadria, note ironiche ed un cinismo mai sgradevole. E con l’indiscussa capacità di saperti persino fare amare questi bambini mai cresciuti e di farti soffrire anche un po’ per loro.
D’altra parte, alla sua maestria siamo abituati, visto che ci ha già regalato film come “Thank you for smoking” e “Juno”, dove dramma ed ironia se ne andavano allegramente a spasso a braccetto senza fare una piega. La battuta, in Reitman, non è mai un modo per banalizzare la disgrazia o il dolore; al contrario, esalta la nostra capacità di riflettervi sopra, forse proprio perché non attiva potenti difese che a volte erigiamo contro l’immagine nuda e cruda della tragedia.
La scelta degli attori è indovinatissima, con la solita e ormai quasi scontata menzione d’onore per un George Clooney che, meglio di così, non avrebbe proprio potuto recitare.
Il finale? Non si svela, naturalmente. Ma non aspettatevi uno scivolone, perché Reitman, fortunatamente, non tradisce il suo spirito fino all’ultimo.
30 maggio 2010
L’ho visto e mi ha lasciato un retrogusto amaro perchè purtroppo non si distoglie tanto dalla realtà perchè evidenzia sia che l’elettronica e l’eccessiva specializzazione tolgono spazio alla creatività e all’empatia nei rapporti umani, sia che le relazioni affettive vengono sempre più ‘svuotate’. Sigh