La bocca del lupo
Regia: Pietro Marcello
Sceneggiatura: Pietro Marcello
Attori: Vincenzo Motta, Mary Monaco
Fotografia: Pietro Marcello
Musiche: Era
Produzione: Indigo Film, L’Avventurosa Film; in collaborazione con Rai Cinema, Babe Films
Distribuzione: Bim distribuzione
Paese: Italia 2009
Genere: Drammatico, Docufiction
Durata: 67 Min
di Manuela Materdomini
«…e la paura che ci fa quel mare scuro,
che si muove anche di notte,
non sta fermo mai.
P. Conte – Genova per noi
Oltre il confine del mondo ordinario e borghese si è spinto l’occhio di Pietro Marcello, nei vicoli umidi e bui dove il sole non arriva. Nei non luoghi dove si consumano le vite dei reietti, tra i topi, i cani che sbadigliano pigri, i matti e l’amore venduto a ore.
Ci racconta la storia d’amore sbocciata in prigione tra Enzo, fuorilegge siciliano con vent’anni di reclusione alle spalle, e Mary, transessuale ex tossicodipendente approdata a Genova dopo la fuga da casa e dalla famiglia. I veri protagonisti della storia interpretano se stessi nella docufiction nata da un progetto promosso dall’Associazione Genovese “San Marcellino” che si occupa delle persone senza fissa dimora. Enzo ha il corpo ancora giovane e vigoroso, i capelli nerissimi, ma il viso di un vecchio, solcato da rughe profonde che gli conferiscono un’aria oscura e magnetica insieme. In un’intervista a due svolta in una stanza piccola e modesta della loro dimora, lui in siciliano racconta alla telecamera aneddoti sulla sua storia d’amore. La corte fatta a Mary, i pretesti escogitati per avvicinarla e la fermezza con la quale ha deciso che dovesse essere sua. Mary compare di meno sulla scena, ha la voce roca e sensuale e scandisce le parole con un ritmo sempre uguale che ipnotizza. La maniera in cui ricuciono i frammenti della loro storia d’amore sembra quella di una coppia tradizionale e desta nello spettatore un senso di complicità e di familiarità che emoziona. Il contrasto tra l’essere una coppia assolutamente sui generis ed il raccontarsi come farebbero due vecchi coniugi, esprimendo di fatto sentimenti universali, tinge di ironia il quadretto ritratto. E spinge ad interrogarsi sulle convenzioni nei rapporti d’amore. Sembra che il sentimento duraturo e così anti-convenzionale che li ha uniti, li abbia strappati talora alla solitudine alla quale sembravano destinati. Rendendo, nell’esperienza della reclusione, i giorni non solo meno penosi, ma i più belli della vita.
In linea con il canone stilistico della docufiction, il regista alterna alle ricostruzioni interpretate dagli attori, filmati e immagini d’archivio in bianco e nero molto suggestive: una nave che salpa dal porto di Genova circondata da una folla di persone ad acclamare il miracolo o delle donne che giocano sulla sabbia e fanno il bagno in mare con gli abiti indosso, come si usava un tempo.
La città, con il porto e il mare che si abbatte sugli scogli, diventa la cornice magica all’interno della quale si svolgono la storia di Enzo e Mary e tutte le altre vite ai margini, delle quali il regista traccia solo un abbozzo. Genova è evocativa, ha il fascino dei posti di mare e per i misteri che sembra tacere richiama alla mente la Ostia di Pierpaolo Pasolini o, nei meandri più oscuri e bui, la periferia romana delle Notti di Cabiria di Fellini.