AzzarDrogati, etica istituzionale e società dopante
SEGNALAZIONE
Gentile redazione OPM, ho letto questa notizia http://www.corriere.it/salute/10_marzo_03/allarme-gioco-azzardo_36cdc476-26d2-11df-b168-00144f02aabe.shtml e conoscendo la vostra sensibilità riguardo questo problema mi sono domandato cosa ne avreste pensato voi di un’iniziativa del genere. A me sembra che vi sia un non detto grosso come una casa.
Lettera firmata
ARTICOLO ORIGINALE
Da Corriere delle Sera Salute, 3 marzo 2010
Campagna per il gioco responsabile, sostenuta dai Monopoli di Stato
Gioco d’azzardo: «C’è il rischio di avere una generazione di “drogati”»
Lo «sballo» è costituito dalla ritualità, sequenza e comportamenti che ruotano intorno al gioco
ROMA – Il gioco d’azzardo è diventato una vera piaga soprattutto per i giovani. E rischia di essere la malattia emergente del nostro millennio. «Con i circuiti del piacere perennemente stimolati nel nostro cervello da messaggi e sollecitazioni esterne, il gioco d’azzardo nella modalità patologica e compulsiva rischia di diventare la tossicodipendenza senza assunzione di droga il cui «sballo» è costituito proprio dalla ritualità, sequenza e comportamenti che ruotano intorno al gioco». Lo sottolinea il neuroscienziato Rosario Sorrentino, direttore dell’Ircap (Istituto di Ricerca e Cura degli Attacchi di Panico) di Roma partecipando alla presentazione della campagna per la sensibilizzazione sul gioco responsabile, sostenuta dai Monopoli di Stato e presentata dalla Snai al Tempio di Adriano a Roma, con la moderazione di Bruno Vespa, e la presenza di don Antonio Mazzi,Oliviero Toscani e Maurizio Ughi, presidente di Snai Spa.
DOPAMINA – «Si profila sempre più il rischio – segnala Sorrentino – di una addiction generation, una generazione dipendente cioè da una scarica di dopamina extra per provare sensazioni fuori dall’ordinario, con il pericolo di una “porta d’ingresso” verso comportamenti caratterizzati da aggressività , impulsività, rabbia e con una chiara matrice sociopatica». È proprio il cervello umano il luogo dove il gioco d’azzardo ha «buon gioco». «Quando la compulsione, la patologia al gioco attecchisce nel cervello, quest’organo appare sempre più in affanno perché non riesce, con il contributo della corteccia prefrontale, a frenare, neutralizzare il desiderio smodato, irresistibile e impulsivo di giocare. È a questo punto – aggiunge l’esperto – che la persona è in balia del demone del gioco, cioè schiava del piacere e del bisogno di ribadire emozioni di intensità crescenti da vivere individualmente senza alcun tipo di freno».
LA CURA – Il gioco d’azzardo può essere curato da esperti. «La complessità della malattia necessita di una diagnosi precoce e un trattamento farmacologico mirato – aggiunge il neuroscienzato – abbinato a psicoterapie cognitivo- comportamentali per prevenire la cronicizzazione del disturbo ma anche per contenere la presenza di altre malattie come i disturbi di personalità, quelli dell’umore, l’ansia, gli attacchi di panico, la depressione e la dipendenza da altre sostanze che a volta accompagnano e rendono ancora più difficile la gestione clinica e sociale della malattia».
IL RUOLO DEI MEDIA – Attenzione però al pericolo mediatico. «Una potenziale responsabilità è da attribuire ai messaggi che provengono dal mondo dei mass media e della comunicazione – conclude Sorrentino – che promuovono costantemente la cultura del piacere e del gioco arrivando a enfatizzare lo stereotipo del vincente, colui che con una puntata coraggiosa può cambiare in un batter d’occhio la sua vita». Le campagne di informazione sociale per contenere la diffusione del gioco d’azzardo potrebbero essere un’ arma utile. «Proprio perché la malattia in questione è l’espressione di una combinazione di fattori genetici e ambientali, che potrebbe avvantaggiarsi del contributo positivo dei mass media nell’Ambito della prevenzione istituzionale per controbattere quella che potrebbe essere una delle malattie cosiddette mediatiche , come lo shopping compulsivo, proprio perchè favorite da un uso distorto dei mass media». Secondo studi pubblicati dall’Associazione Psichiatri Americani, il gioco patologico riguarda una parte molto minoritaria della popolazione, tra l’1,5 ed il 3% della popolazione. In Italia, secondo l’azienda autonoma dei Monopoli di Stato, la raccolta complessiva per i giochi d’azzardo pubblici: lotto, lotterie, bingo, apparecchi, superenalotto, etc, ammonta a 54.410 milioni di euro con un incremento, rispetto all’anno precedente di 6.856 milioni di euro pari al 14,4%. Trend in crescita per il gioco autorizzato. Si è passati dalle 3 occasioni gioco alla settimana del 1990 alle 15 occasioni del 2006. Per non parlare delle prospettive offerte da internet, dei video poker on line. (Fonte Agenzia Agi)
PARERE DEL DR. CLAUDIO DALPIAZ (Psicologo Psicoterapeuta referente area sud progetto Orthos – Terapia intensiva per la dipendenza da gioco d’azzardo www.orthos.biz )
Da sempre, o quantomeno da quando qualche studioso ha iniziato ad interessarsi alla materia raccogliendo dei dati, si è osservato che in condizioni di crisi economica la quantità di denaro che una popolazione investe nell’azzardo aumenta: se utilizzassimo questa evidenza per stimare la profondità della crisi che sta investendo l’Italia ne potremmo trarre conclusioni allarmanti !!! Infatti lo scorso anno i “giochi” hanno totalizzato 54 miliardi di euro di incasso, con aumenti vertiginosi rispetto alle annate precedenti. L’italia è prima in Europa nel mercato del gioco on-line e terza nel mondo. Ciò tuttavia non è un semplice indicatore di crisi economica, così come non é un indizio di particolari predisposizioni neurologiche dei nati nel dopoguerra …
Se vogliamo fare un’analisi seria del fenomeno “azzardo” dobbiamo necessariamente prendere in considerazione aspetti non soltanto biologici, ma anche psicologici e sociali, a partire da una prospettiva socio-antropologica anziché da riduzionismi che tendono a dissimulare l’importanza dei fattori ambientali nello sviluppo di forme psicopatologiche. Psicopatologia=Discorso sulle sofferenze dell’anima. Oggi per sapere come una persona arrivi a soffrire di dipendenza dal gioco d’azzardo siamo costretti a farci raccontare la sua storia: non ci sono tomografie assiali, né risonanze magnetiche, e neppure indagini istologiche in grado di fornire spiegazioni esaurienti o risposte dotate di significato in relazione a ciò che la persona sperimenta nella sua traiettoria esistenziale. Chiunque abbia studiato la biologia sa che anche un genotipo specifico (cosa che non esiste per il gioco) si manifesta in forme fenotipiche variegate e distanti fra loro, oppure non si manifesta affatto, sulla base delle condizioni ambientali di sviluppo. Inoltre, non stiamo parlando di porcellini d’india o di cavie da laboratorio, ma di una sofferente popolazione di giocatori problematici che supera il milione di persone (percentuali fra l’1 ed il 3% degli abitanti), senza contare i familiari che soffrono insieme a loro e si vedono erodere la qualità della vita. Definire “parte molto minoritaria della popolazione” questa massa di persone sofferenti è del tutto irrispettoso e fuorviante, specialmente se consideriamo che, del resto, sono molto più numerosi dei tossicodipendenti da oppiacei. Il danno personale ed il costo sociale che deriva dalla dipendenza da gioco d’azzardo è enorme ed in prospettiva paragonabile a quello da alcool: lo scivolamento nel gioco compulsivo porta con sé, come avviene per altre forme di dipendenza patologica, una perdita di interesse gravissiva per il lavoro, per le relazioni affettive, per la partecipazione al sociale in genere. Assistiamo quindi allo sgretolarsi di legami familiari, alla perdita del lavoro, al fallimento di impresa, con tutte le conseguenze e le ripercussioni che possiamo ben immaginare. Pensare di ricostruire l’Abruzzo invitando gli italiani a giocare 12 volte al giorno a WinForLife può essere molto pericoloso: siamo alla distribuzione-socializzazione delle macerie, abile esternalizzazione di costi che dovrebbero essere a carico dello Stato. Se è vero che la modulazione dei circuiti definiti “della ricompensa” per via dopaminergica può essere influenzata da forme di sovraeccitazione legate al gioco e che lo stress cronico del giocatore può elevare la secrezione di glucocorticoidi conducendo al disaccoppiamento dei sistemi noradrenergico e serotoninergico, è altrettanto vero che una psicopatologia può manifestarsi (nel passaggio da forme impulsive a forme compulsive) soltanto nei casi in cui vulnerabilità di base si sommino a fattori psicologico-sistemici ed a condizioni ambientali specifiche. In Tibet si gioca molto meno, per condizioni ambientali, così come si potrebbe giocare meno e meglio in uno stato in cui i cittadini più fragili non venissero immolati in nome del liberismo d’impresa a vivere in una società che divora se stessa dall’interno. Non è da sottovalutare nemmeno la logica di base “prendere a molti per dare a pochi”, che di per sè alimenta la concentrazione della ricchezza e recentemente si è esasperata nel “prendere molto a molti per dare poco a pochi”: è del 13 marzo la notizia che il concorso 935 di WfL ha visto l’assegnazione di vitalizi di 67 euro/mese… altro che gli sbandietati 4000 euro di rendita !
La soppressione farmacologica dei sintomi del giocatore poi, e tutta la buona volontà pedagogica nella definizione di strategie di contenimento degli stessi possono ben poco se non andiamo contemporaneamente a disvelare i fattori affettivi, relazionali, e sociali che a livello anamnestico hanno prodotto condizioni di sofferenza psicologica e se non andiamo ad incidere sulle distorsioni cognitive che rappresentano l’altro versante del disturbo.
La prevenzione e la cura possono e devono quindi fondarsi su una comprensione multidimensionale, bio-psico-sociale dei fattori di rischio e di quelli che sostengono l’insorgenza e la cronicizzazione della patologia. E la progressiva deregulation del settore, con la vertiginosa offerta delle possibilità di gioco al di fuori di ogni controllo contribuisce invece all’incremento del numero dei sofferenti, con buona pace delle campagne-immagine promosse dai Monopoli di Stato e dalle compagnie concessionarie. La capillare distribuzione di slot machines – video poker – bingo – snai – better – win for life – gratta e vinci – lotterie – tris – e chi più ne ha più ne metta, rappresenta un fattore di rischio determinante, che andrebbe quindi osservato e regolamentato con maggiore attenzione.
COMMENTO REDAZIONALE A CURA DEL DR. LUIGI D’ELIA
L’ipocrisia degli uomini? Non esageriamola. La maggior parte pensa troppo poco per pensare doppio. (Marguerite Yourcenar)
Il segnalante: “[…] A me sembra che vi sia un non detto grosso come una casa”.
Caro segnalante, anche a noi sembra che questa informazione glissi su un punto decisivo.
Da un lato sembra cogliersi una premura per il fenomeno del gioco d’azzardo patologico, sempre più in espansione nella nostra società, dall’altro non viene detto un “piccolo particolare”, e cioè che l’ “agenzia” che sembra preoccuparsi dei cittadini (i Monopoli di Stato e le aziende collegate) e se ne vuole prendere cura, è la stessa che specula sulla loro psicopatologia.
Ma veniamo alla forma che viene data alla notizia.
Tutto l’articolo è basato sul meccanismo comunicativo del depistaggio. Si dice tutto tranne l’essenziale. Un senso di estraniamento ci domina nel leggere questa notizia: dopo aver esposto i rischi psicologici, neurologici, e sociali, le modalità di cura, il ruolo dei media e l’espansione epidemica del problema, non ci viene detto quali siano le origini, né le soluzioni politiche al problema.
La campagna per la sensibilizzazione sul gioco responsabile sembra dirci in sostanza che esiste un problema serio, che cambia la mente e addirittura il cervello, che si può anche curare (per carità, sempre prima con qualche pilloletta ed un po’ di rieducazione psicopedagogica), e che in sostanza l’utente responsabile deve stare attento a non farsi fagocitare.
Peccato che la responsabilità la si delega solo all’utente e non all’erogatore di tali servizi così capziosi.
Peccato che i Monopoli di Stato non pongono alcun tetto alle giocate e nessun vincolo ai giocatori, anzi aumentano sempre più le possibilità e le modalità di accesso al gioco d’azzardo.
Peccato che non si dica quanto sia embricato il funzionamento dell’economia con questi meccanismi di compulsione e dipendenza e che sia proprio su questo piano che occorrerebbe intervenire per un’autentica prevenzione del fenomeno sociale.
Ma voi vi fidereste di una campagna per l’uso responsabile della cocaina patrocinata e promossa dall’associazione nazionale dei pusher?
Non sarebbe una sorta di ripulitura della cattiva coscienza? Non sarebbe una penosa foglia di fico sulla vergogna e l’irresponsabilità pubblica?
In altra occasione avevamo definito “tassa impropria su base psicopatologica” la cifra gigantesca che le casse dello Stato introitano (54 miliardi di euro, pari a 5-6 finanziarie), e ci viene da pensare che una cifra del genere può essere un ottimo motivo affinché certe noiose premure etiche siano tralasciate.