Psicologia di un aggressore. A proposito del recente gesto ai danni di Berlusconi

di Luigi D’Elia

Comprendere cosa accade nella mente di un uomo che decide di aggredire gratuitamente per strada un personaggio pubblico non è impresa semplice, specie se a colpire sia una persona che ha sofferto o è ancora sofferente di disturbi psicologici, come sembra essere Massimo Tartaglia, l’aggressore di Berlusconi, da quanto si desume dalle prime notizie. Nulla sappiamo di prima mano di lui, e ci asteniamo dall’esprimere ogni valutazione tecnica o diagnostica in osservanza del nostro codice deontologico.

Certo, molti indizi farebbero supporre che Tartaglia abbia seri problemi, ma niente ci permette di esprimere valutazioni cliniche definitive soprattutto quando non corredate di sufficienti elementi.
Ciò che segue non ha perciò un preciso riferimento alla persona di Tartaglia, che per noi rimane per le informazioni a disposizione, un semplice autore di reato, ma l’episodio di cronaca è per noi un pre-testo per percorrere, in linea generale, un itinerario di comprensione di quanto accaduto, senza nessuna pretesa di verità. 

Certo, appena saputa la notizia, molti di noi hanno ricordato altri episodi più o meno gravi della storia remota e recente: dagli attentati politici alle scarpe tirate alla volta di Bush. Ma l’episodio che più di tutti è venuto alla mente è stato quello di Mark David Chapman, l’omicida di John Lennon. Al di là delle evidenti differenze tra quell’episodio, luttuoso, e questo, la storia di Chapman ci apre qualche squarcio sulle imprevedibili traiettorie che un pensiero paranoideo (e in questo caso anche delirante) può realizzare alla vigilia di un tale gesto premeditato.
Chapman, a quanto pare, aveva letto il Giovane Holden, s’era identificato in quel personaggio antisociale, aveva poi ascoltato le canzoni dei Beatles e di Lennon, ne aveva letto i testi, ne era rimasto disturbato, ne aveva estratto quei contenuti che si saldavano perfettamente con la propria ideazione, aveva provato un’enorme rabbia per quei contenuti che disconfermavano le proprie credenze religiose. E così via.
Ma tutto ciò non ci spiega ancora con esattezza cosa aveva costruito nel tempo l’incrollabile certezza nella mente di Chapman per la quale quel gesto diventava “legittimo” ai suoi occhi tanto da farlo rimanere vicino al corpo del povero Lennon leggendo impassibile un libro mentre arrivava la polizia. 

Si, perché per costruire un pensiero paranoico di tale forza e strutturazione non ci vuole un giorno, ma molto tempo, anche anni: fatti e ricordi del passato e del presente, spesso traumatici, prima slegati e lontani pian piano cominciano a connettersi secondo linee narrative e cominciano ad assumere una loro coerenza interna sempre più autoevidente.
Il pensiero paranoideo, precisiamolo, ha una sua base “ordinaria” in ciascuno di noi laddove la mente è costretta a muoversi in ambientazioni rischiose e laddove si renda necessario, se non vitale, imparare presto a prevedere metacognitivamente le intenzioni altrui, specie quelle per noi dannose. Il pensiero paranoideo è dunque uno dei tanti modi in cui funziona la mente di tutti noi. Non è possibile essere un buon politico o un buon militare, ad esempio, se questa modalità “ordinaria” paranoidea non sia in qualche modo presente e attiva. 

A partire da questa base “ordinaria” però una mente più fragile può incorrere in svariati “errori”, in svariate interpolazioni ed estrapolazioni, andando a sovra-interpretare nessi e fatti secondo una costruzione che diventa sempre più distaccata dalla verifica dei fatti.
Questa deriva della mente avviene per molti motivi: dalla fragilità, come detto, in genere emotiva e affettiva, iscritta nella psicobiografia e vulnerabilità personale e/o familiare; ma deriva anche e forse soprattutto dal fatto che a partire da questa fragilità l’individuo si pone sulla difensiva su tutto. Ogni cosa diventa realmente minacciosa, di tutto è possibile aver paura a partire da questi presupposti. E quando eventi stressogeni si accumulano nella vita di queste persone si abbassa l’esame di realtà e si innalzano le difese primitive. 

Spesso si trascura che nella maggior parte di questi casi, talmente offensivi da apparire il parto di menti malvagie, in realtà ci si trova di fronte a comportamenti che nella logica paranoica appaiono invece come legittime difese da incommensurabili aggressioni subite. Il paranoico che passa all’azione ribalta il piano di soggezione in cui si ritrova costantemente, difendendosi da quella che ai suoi occhi è un’indebita e torturante aggressione. Paura, rabbia, vissuto di tradimento, di abbandono, di minaccia, di vendetta, di annullamento (“non sono nessuno, provo rancore”) sono i motori psicologici principali del paranoico.
Il paranoico, inoltre, non sa nemmeno cosa sia la fiducia nelle relazioni, non avendola spesso potuta sperimentare nella propria storia, e per lui la verifica di essa (o la falsificazione della sfiducia) è quasi impossibile: solo dopo anni di paziente lavoro psicologico è possibile – e non sempre – cominciare a costruire l’embrione di una fiducia relazionale. La terapia dei pazienti con aspetti paranoidei o paranoici non è semplice (talora impossibile) e richiede tempo, risorse e pazienza. 

Forse a molti di noi può risultare inaccettabile, ma la condizione esistenziale paranoica è qualcosa che noi tutti possiamo comprendere in quanto tutti questi sentimenti e vissuti appartengono alla nostra comune umanità. Proviamo per un attimo ad immaginarli tutti insieme e tutti concentrati e avremo una pallida idea di come sia perennemente sofferente la mente del paranoico. 

Un altro aspetto, non secondario, del modo di funzionare di una mente paranoica o paranoidea, ed in genere fenomenologia diffusa dell’assetto psicotico, è quello che riguarda la mancanza di confini tra mondo interno e mondo esterno. Ciò che è esterno è immediatamente anche interno e viceversa, quello che accade nell’ambiente psichico sta avvenendo contestualmente anche nei brutti pensieri e nelle emozioni incontenibili dell’individuo.
Il paranoico vive in una casa di vetro, la sua mente è per lui trasparente. In virtù di questa permeabilità dei confini, egli si sente spiato, indovinato, previsto, stanato, e quindi anche giudicato, aggredito, deriso, manipolato, dallo sguardo altrui come da ogni negatività del mondo esterno. L’essere stati o essersi sentiti usati e traditi diventa lo spauracchio da evitare a tutti i costi e l’aggredito diventa colui che condensa e incarna tutte le caratteristiche del persecutore. 

Giungiamo dunque al mondo dell’informazione e a come esso possa diventare ambientazione favorevole per il modo paranoico di essere: l’infosfera, dove siamo tutti immersi, diventa una specie di mare in tempesta pronto ad inghiottire il paranoico in ogni momento.
Ecco allora che se, come si diceva prima, il funzionamento paranoideo “ordinario” della mente è estremamente adattivo in un’ambientazione rischiosa, nella deriva paranoica tale ambientazione può  facilmente diventare il mondo dell’informazione ed in special modo quella relativa all’agone politico che si presta perfettamente ad essere utilizzato come copione paranoico in quanto basato su contrapposizioni manichee e su semplificazioni brutali della realtà. Il linguaggio dei politici è infatti spesso una congerie di accuse/difese strumentali urlate, il festival della persecutorietà.
Sappiamo da alcune notizie che l’aggressore era stato “attratto dai contestatori” che erano lì presenti, forse la contrapposizione di piazza era per lui lo specchio di un copione interno? Forse il discorso del premier gli era sembrato minaccioso? Non possiamo saperlo. 

Certo è che l’agone politico degli ultimi tempi, come il pensiero paranoico, non ammette autocritica, non sopporta le sfumature e la complessità, non tollera l’identificazione nell’altro, non vede cioè ciò che dell’altro è in comune con se stessi, utilizza cioè massicciamente la difesa psicotica della proiezione che consiste nell’esportare contenuti emotivamente ed affettivamente spiacevoli, appartenenti a sé, nel “nemico”, nell’avversario, o in colui riconosciuto come tale.
L’altro diventa ricettacolo di tutte le negatività che ci perseguitano e quindi meritevole per questo di essere punito e annullato. 

Anche questo scritto rischia di essere frainteso e strumentalizzato nel momento in cui afferma che esiste una coerenza ed una stretta contiguità tra modalità di veicolare i contenuti politici e funzionamento paranoico della mente.
Questa affermazione non significa né che il paranoico sia giustificato ad agire da un clima a lui coerente, né che esiste un punto 0, ben individuabile, o ben attribuibile alla responsabilità unica di questo o quello, che determina l’inizio del copione paranoico, come lo stesso copione ha immediatamente attivato nelle affermazioni appena successive all’aggressione nei vari schieramenti politici. 
Ma significa che viviamo in un momento storico dove i principali pericoli della vita reale: sofferenza, solitudine, povertà, disidentità, disamore, sono spostati con molta facilità sulle scene dell’informazione e del confronto politico, travestendosi nei personaggi di un teatro dell’assurdo, divenuto intollerabile. 

Questa cultura politica che sposta nei non-luoghi dementi e bellicosi dell’infosfera i problemi della vita reale che non riesce a vedere, sembra aver espresso il proprio limite naturale attraverso il gesto sconsiderato di una persona sofferente che, letto in un’ottica gruppale, dove io sono l’altro (qualunque altro) e l’altro (qualunque altro) è me, significa che la parte più debole e sofferente di ognuno di noi ha dichiarato un “basta” grosso come una casa, un folle ed esecrabile “basta”. Che sia stato uno “psicolabile” ad averlo fatto in un sincronico incontro tra il primo e l’ultimo cittadino in un gioco di apparente dualità, sembra un fatto che non possa essere trascurato, se inteso nel suo più profondo significato.

 Un’ultima, amara, notazione sulle possibilità per chi soffre di problematiche psicologiche di ottenere le necessarie cure. Qualunque sia la reale condizione psicopatologica dell’aggressore di certo egli, sappiamo, era stato seguito tempo addietro dal servizio pubblico e più recentemente, non sappiamo con quale modalità, da una psichiatra. Noi sappiamo però che questo signore è stato già molto fortunato per questo dal momento che sono la maggioranza le persone che invece non ricevono le necessarie cure e/o non vengono nemmeno intercettate da uno psicologo o psichiatra pubblico o privato che sia. 

Alcuni – i soliti benpensanti – hanno sollevato eccezioni sul fatto che un signore in grado di ferire Berlusconi non fosse già rinchiuso, magari strepitando per la riapertura dei manicomi e per la controriforma della legge 180, o ironizzando stupidamente sui risultati terapeutici ottenuti. Certamente una risposta altrettanto “paranoica” e banalizzante. Chi ha letto il presente contributo forse potrà aver compreso che la condizione che può condurre qualcuno a gesti sconsiderati è molto più comune di quanto possiamo immaginare, e purtroppo la questione è molto più complessa di quanto un certo pensiero tranchant vorrebbe farci credere.
Un fatto clamoroso come questo può portare in primo piano l’emergenza della sofferenza psicologica non trattata e non riconosciuta, della carenza cronica di risorse e servizi alla persona in ambito psicologico e psichiatrico, della mancanza di prevenzione nelle scuole e nella società, nell’incombente degrado al quale noi operatori del settore assistiamo quotidianamente a scapito dei cittadini comuni. E a volte di quelli non comuni.

Chiara Santi

Author: Chiara Santi

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12 Comments

  1. …. ma del grave disturbo narcisistico di personalità di Berlusconi… ne vogliamo parlare?…

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    • @simone, …e ci asteniamo dall’esprimere
      ogni valutazione tecnica o diagnostica in osservanza del nostro codice
      deontologico. E questo non vale anche per Berlusconi ?
      Mi sembra che il documento di D’Elia sia rispettoso del suddetto
      principio, altrimenti non l’accetterei.
      Le norme del codice deontologico sono vincolanti per tutti gli psicologi
      iscritti all’albo (art. 1).
      Un saluto cordiale.

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      • @Alberto Corradini, Avete perfettamente ragione sulla deontologia, e infatti la mia era una provocazione, perchè, anche se non avete espresso valutazioni tecniche e diagnostiche, avete comunque INSINUATO a gravi disturbi mentali di Tartaglia. Non credo che simili insinuazioni, sempre rispettando il codice deontologico e non entrando nel tecnico, le inserireste mai su un articolo verso berlusconi o a chi comunque ha ruoli di prestiggio e di potere: facile farlo con chi sta in galera… P.S. L’articolo è molto interessante e utile, ma credo che sia più utile un articolo che insinui, sempre rispettando il codice deontologico, hai gravi disturbi mentali di chi ci governa, o anche di molti politici in generale. Cordialmente, Simone

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        • @simone,
          Caro Simone, il sospetto che Tartaglia stia male non una nostra illazione, ma è dovuto alle conferme della famiglia e dei curanti che lo hanno seguito per 10 anni, non è certo un’insinuazione questa, fatto salvo che star male non sia per lei una colpa.
          Altra cosa è mettersi a dare valutazioni diagnostiche dai pochi elementi giornalistici. Questo io non l’ho fatto, ma ho precisato che la storia di cronaca era per me un semplice pretesto per dire delle ragioni plausibili di tale gesto dal vertice di chi può star male.
          Il nostro osservatorio non ha posizioni politiche, ma solo posizioni scientifiche che possono aiutare la politica casomai. Se lei poi vuole poi cogliere l’occasione di questo spazio per fare la sua tribuna politica, beh, penso che non sia il posto adeguato nella rete dove poterlo fare. Altrettanto cordialmente. Luigi D’Elia

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          • @Luigi D’Elia, Preciso che le mie intenzioni non erano assolutamente di fare politica, io non apprezzo il nostro sistema politico, destra o sinistra, non fa differenza. Le mie intenzioni sono provocatorie, e vi spiego il motivo più avanti.
            Non ritengo una colpa la patologia di Tartaglia (rispondendo alla sua dichiarazione sulla mia presunta condizione mentale), casomai una giustificazione al suo grave gesto.
            Apprezzo la votra posizione in quanto scientifica, ma il suo proposito di aiutare, come ha detto lei,un sistema da me ritenuto malato, come quello politico, non so quanto sia un “buon” proposito, e quanto “aiuti” veramente la nostra triste condizione di società costruita su basi non sane. Io sono un comune cittadino, studio psicologia per aiutare i singoli individui ad intraprendere un percorso personale sano, e scrivo qui per mettere in discussione le matrici sociali e culturali, collettivamente accettate, e mai messe in discussioni (per un fattore abitudinale): la radice del malessere collettivo dei nostri giorni, va riceracato, secondo me, nel sistema economico malato, nel sistema politico malato, nel sistema scolastico malato, nel sistema mediatico malato ecc. Questi sono argomenti che, secondo me, è importante, per non dire essenziale, che la psicologia investighi. Quindi, senza più provocazioni, vi invito a trattare nei prossimi articoli, i temi suddetti.
            Grazie dello scambio, cordiali saluti
            Simone

  2. sono d’accordo con Simone…quale il pazzo incontrollato e camuffato da potente? trovo una perfetta complementarietà tra i due

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    • @nicoletta, Ciò che ho scritto per Simone
      vale anche per te Nicoletta.
      Un saluto cordiale.

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  3. Da vecchio collega che ha lavorato in psichiatria, trovo molto attente e meritevoli di attenzione le osservazioni proposte

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  4. L’autore sembra essere un esperto di Psicologia di Gruppo quindi penso che sia anche a conoscenza della teoria psicoanalitica sui gruppi di Bion, che ci dice che un gruppo può essere travolto da emozioni specifiche, non essere più in grado di pensare in modo razionale e mettere in atto un comportamento irrazionali (nel caso della società italiana significa appoggiare una situazione politica corrotta e perversa, dove la leggittimità è del tutto ingorata). Naturalmente il singolo ingora di contribuire in modo anonimo a questo comportamento,che pure condivide in qualche recesso inconscio. Secondo W. Bion il capo di questo gruppo viene designato perchè promette di soddisfare certi desideri inconfessabili alla coscienza, per esempio quello di non rispettare le leggi e fare ciò che si vuole, e si tratta in genere di un paranoico, narcisista, o perverso e comunque molto disturbato, che promette di soddisfare appunto tutti i bisogni inconsci del gruppo ( perversi, narcisisti e paranoici). Che ciò possa realmente avvenire è dimostrato dai più recenti fatti storici del ‘900 in cui troviamo esempi molto significativi di personaggi pazzi e perversi che sono giunti al potere tramite normali elezioni (Hitler 1933). In queste situazioni il singolo, che coscentemente non condivide la mentalità del gruppo a cui appartiene, può sentirsi in conflitto col gruppo, oppresso e perseguitato dal clima dominante. Forse il Tartaglia esprime questo conflitto, anche se a sua volta in modo disturbato.
    Credo che piuttosto che studiare il comportamento del Tartaglia sarebbe più utile chiedersi che cosa sta succedendo in Italia, perchè Berlusconi ha tanto successo, perchè la menzogna ha così tanto seguito e in che modo possono sentirsi coloro che ancora riescono a pensare in una situazione gruppale opprimente, che non permette appunto di pensare. Nei dibattiti politici tutti parlano di aggressività in modo aggressivo e nessuno si chiede il perchè di tutto questo.

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    • @Brunella,
      L’autrice di questo commento, Brunella, sembra essere invece una collega Psicoanalista SPI… (giusto per riconoscere anch’io le matrici culturali) ;o).
      Il suo contributo lo trovo interessante ed assolutamente in articolazione con il mio contributo.
      Solo, devo precisare, che il mio articolo intendeva utilizzare il gesto di Tartaglia come pretesto proprio per rileggere e possibilmente comprendere alcune matrici della attuale violenza, a partire dalla condizione di chi non sta bene e che proprio per questo è maggiormente vulnerabile alle dinamiche gruppali e istituzionali. E come tale violenza sia isomorfa con quanto quotidianamente siamo costretti ad osservare su tutti i media, dove la negazione della verità, della storia, del pensiero, è operazione comunissima.
      Tutti parlano di aggressività senza costrutto, è vero, e tutti tendono ad esiliare il gesto di Tartaglia come quello di un folle derubricandolo nell’incomprensibilità della follia. Ed invece, altroché, si tratta di un gesto sì folle, ma comprensibilissimo (che non vuol dire giustificabile).
      Invece di focalizzarsi sull’illegalità/perversità diffusa (e sono già tanti e autorevoli coloro che ne parlano), dal mio punto di vista è sembrato più opportuno partire da questa clamorosa “conseguenza” per poter fare il percorso a ritroso.
      Grazie del tuo contributo
      Luigi D’Elia

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      • @Luigi D’Elia, Trovo interessante il contributo di Brunella, e molto attento. Credo che si possa ritenere la situazione descritta da brunella, come una identificazione proiettiva che molti individui hanno nei confronti dei governanti da loro portati al potere, governanti che appunto incarnano i desideri nascosti e “proibiti” di molti elettori. Buon lavoro, un saluto, simone

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  5. Violenza Sociale o Violenza Istituzionale? Parto con una Poesia del sacerdote Ernesto Cardenal, BEATI I POVERI- BEATI I UOMINI LIBERI.
    “”Chi ha ideato il mondo degli ultimi 30 anni? Io non so dire con essatezza, chi ha cominciato,chi ha pensato/ ma so dire che oggi siamo tutti piu infelici/ i poveri oggetto di puro scherno/ come mai in precedenza, e i ricchi, opressi dai sensi di colpa/ e dalla costante insodisfazione/ a cui il loro costume di vita, li condanna”.
    Il vero delitto, e far pensare alla gente- Lo sapeva bene Socrate – Atene (469-399 ac.).Beve la cicuta, e dimostra ai suoi acusatori che é rispetoso delle leggi della città, e non uno sovversivo/terrorista si direbbe oggi?. I suoi acusatori avevano bisogno de un capro espiatorio, per la guerra persa nel Peloponeso- Socrate, padre della Psicoanalisi -con il suo Gnose te ipsum, e del Gruppo Operativo con la sua maieutica, dimostra che lo schiavo pensa -non é solo soma, o un animale di lavoro. Dimostra ché é un essere umano- E se penso, esisto, dira secoli dopo Cartesio, avelennato pure lui dal potere di turno- Infine Hegel dira che il Padrone, ha vinto veramente, quando riesce a farse amaree lo schiavo non è solo sottomesso,sino che lo ama—
    Nel modello di dominio Patriarcale, sinteticamente presentato nel Antico Testamento, si legge: “IL FIGLIO RIBELLE- Il figlio ubidisce ai genitori, la moglie al marito e questi agli anziani della Tribù-Se un genitore ha un figlio ribelle, sara lapidato, cosi tutta Israele lo saprà e ne avra timore ” Sia il leader, sia il capro espiatorio, sono i due volti de una stessa medaglia, sono RUOLI COMPLEMENTARI- nel modello Patriarcale-

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