Stupri e solidarietà: il fenomeno “Montalto di Castro”

Il bisogno dell’uomo è di semplificare la realtà. I pregiudizi ci fanno fare economia di ragionamento, le difese ci evitano di soffrire. La tradizione del pensiero occidentale, poi, ci  fa dividere tutto in categorie. Bianco o nero. Tu sei vittima di uno stupro o sei prostituta, tu sei buono, tu cattivo.
A volte, insieme, questi modi di sentire e pensare appaiono tragicamente fallibili o quanto meno insufficienti alla realtà.
A Montalto di Castro accade qualcosa che mette in scacco il pensiero ingenuo, chiamando in aiuto la scienza della psiche. La maggioranza del paese si schiera con i ragazzini stupratori non solo accusando la ragazza (che proviene da un paese vicino) di averli indotti allo stupro, ma riconoscendo nel loro comportamento la legittimità di chiunque si fosse trovato lì in quelle condizioni: “lo avrei fatto anch’io”, si è sentito dire nelle interviste.

In una pubblicazione del 2006, ho definito “la retorica del mostro” questo modo ingenuo di semplificare la realtà. Ciò che fa paura viene messo fuori, allontanato, e attaccato. Il mostro, in questo caso, sarebbero otto adolescenti che per ore stuprano una ragazzina. Mostri, evidentemente, a dare retta alla storia e allo stereotipo dello stupratore per come vive nell’immaginario collettivo. Salvo che il vestito del mostro non si adatta a quei ragazzi per colui che è loro vicino, per gli amici, i parenti, i baristi e gli edicolanti. Chi vede il presunto mostro da vicino e sa che mostro non è. Rimanendo sgomento e bisognoso di semplificazioni mentali.
Loro, i nostri amici, i vicini, i figli, non sono mica stati contagiati dal germe del male, hanno volti normali, Buddha, Tevez, sono bravi ragazzi, sono come noi. Non sono stranieri, gente-di-fuori, “non sono romeni” diceva qualcuno in paese. Non fanno paura.

Rimane una sola possibilità, in apparenza: che siano innocenti, che sia stato tutto un errore, o ancora meglio che la ragazzina fosse consenziente e vera causa efficiente dello stupro. Il che rischia di sposarsi benissimo, per inciso, con la strategia di alcune difese tecniche di avvocati scaltri solo in apparenza e con il desiderio, comprensibile, prima dei genitori e poi dei ragazzi coinvolti, di credere alla medaglia, rovesciata, dell’immagine del mostro. Si crea così di converso una retorica  dell’innocenza, che scatena una gara di solidarietà verso i ragazzi. Un punto è evidente a chi tratta queste vicende: tutto questo non ha nulla a che vedere con il capire come sono andate le cose.
Solo sgretolando infatti il mito dell’esistenza di adolescenti buoni o cattivi , che discende dal desiderio di mettere da qualche parte il fardello della colpa, il modus operandi del reato minorile diventa comprensibile. In questo contesto l’osservazione (diagnosi) precede una serie di interventi, anche all’occorrenza punitivi (cura), ma sempre e comunque dotati di senso, ovvero in grado di tradurre il male in qualcosa di transitorio e guaribile, un sintomo di un disagio evolutivo, un impasse che si traduce, inconsapevolmente in un’alterazione del rapporto con l’Altro.

In questo modello la questione del riconoscimento della responsabilità è centrale. Eliminata la questione della colpa, e l’esportazione dell’immagine del mostro, si può ammettere di “essere stati lì” nel luogo – anche psichico – dove avviene il reato: “io c’ero” – anche se non so perché.  Si tratterà, poi, di un vero “reato” dal momento che questi ragazzi ci appaiono così vicini e così inconsapevolmente innocenti? Ed ecco su questo punto entrare pericolosamente in attrito il sentimento comune ed il senso della legge. Forse allora occorrerebbe depenalizzare questo “reato” laddove la maggior parte di noi lo vive come una comune esperienza giovanile, al limite un incidente. Perché la Legge non comprende questa “normalità” e la punisce?

Cosa sarà successo a Montalto di Castro? Non lo si può sapere, non da così lontano.
Però ci sono dei fatti e dei contenuti nell’immaginario adolescenziale. E c’è il sesso che in adolescenza è una roba complicata, che spesso ha poco a che vedere con il desiderio, con la libido e molto con la reputazione sociale, con la dimensione del narcisismo. Non puoi essere troppo in ritardo, non puoi farci la figura dello sfigato. Devi salire in tempo “l’ultimo gradino” – parole di un adolescente autore di reato sessuale. Più del 90% dei reati sessuali si rivela del resto realmente accaduto (si vedano le pubblicazioni di Villa, o di Carini, in Italia). In più. Il tipico adolescente autore di un reato sessuale di gruppo è un ragazzo giovane, vicino ai 14 anni, spesso profondamente insicuro, con scarse esperienze sessuali pregresse, spinto a interpretare il sesso come gioco di gruppo dalla sensazione di distanza e spesso da una certa diffidenza nei confronti della propria sessualità. Questa è sentita spesso come vagamente “sporca”, qualcosa di poco presentabile ad un Altro sesso vissuto come inarrivabile, proiezione di significanti edipici. Per questi ragazzi diventa conveniente confondere il sesso con un gioco, tentare di incontrare una donna che sembra rendere tutto facile, insieme al gruppo degli amici, che riconduce il sesso a qualcosa di già noto, di più facile.

Ci sono ottime domande da fare a questo gruppo. Con ogni probabilità emergerà un senso di infantilismo, di fragilità, di insicurezza verso il sesso. Forse emergerà anche una sopra-valutazione della valenza dell’esperienza sesso in quanto tale e come trofeo da esibire al gruppo sociale.
La vittima è spesso una ragazza che usa il proprio corpo per esistere nella mente dell’altro; una ragazza con uno sfondo depressivo che in adolescenza scopre di possedere qualcosa di prezioso, un potere che usa nel disperato tentativo di essere cercata, amata. La tipica “vittima” è spesso nota per questi comportamenti; il che inganna l’occhio di chi guarda, abbaglia, la fa sembrare automaticamente a disposizione.
Facile a quel punto sbagliare, andare oltre il confine, non chiedere, non ascoltare i no, esagerare. Il senso della Legge che definisce “reato” quanto accaduto si contrappone, a questo punto, a qualcosa che viene placidamente vissuto come una consuetudine. Come si sia prodotta questa percezione di “normalità” in un dato contesto socio-culturale, è fenomeno tutto da esplorare.
Il desiderio di amore in senso psicoanalitico, il bisogno di autostima in una condizione difficile, la ricerca spasmodica dell’altro, la paura dell’inesistenza. I cosiddetti colpevoli e la cosiddetta vittima convivono nella stessa rete di significanti sessualizzati e di significati che stanno altrove, ben lontani e ben nascosti alla vista e alla luce.

Mauro Grimoldi

Responsabile del Servizio di Consulenza Psicologica per i minori autori di reato presso la Corte d’Appello di Brescia
Responsabile gruppo di lavoro sui reati sessuali

Chiara Santi

Author: Chiara Santi

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1 Comment

  1. Gentile Mauro,

    vorrei sapere la sua opinione riguardo al seguente caso:
    una adolescente di 14 anni che viaggia un estate insieme alla madre, per trovare la famiglia lontana che non vede da 4 anni. Lei è stata manipolata e sedotta per avere dei rapporti sessuali dal cugino di 25 anni, laureato e con un lavoro momentaneamente sospeso. Lui ufficialmente fidanzato con una 18enne.
    Quando la madre commenta alla famiglia del “reato” e decide insieme al padre di non denunciare per l’amicizia e legame che c’era col padre del ragazzo, alcuni membri della famiglia cominciano a colpevolizzare la ragazza e giustificare lui. Come se era lei chi seduceva lui.
    La famiglia sempre lontana, ma sia i genitori che la ragazza non vogliono tornare mai nemmeno in vacanza dalla famiglia, oltre a non vedere più a chi a parlato male della figlia.
    La ringrazio,
    Leticia Marin

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