Chissà cosa avrò. A proposito di Ipocondria
SEGNALAZIONE
Ancora confusione sulla malattia. Lo stile sensazionalistico rapisce professionisti e giornalisti e come sempre rischia però di tradire l’utente che ne ricava informazioni parziali e fuorvianti.
Lettera firmata
TESTO ARTICOLO
Tratto da “DITUTTO”, COLLANA: PSICHIATRIA (Pag.78) di GIAMPAOLO PERNA, 20/06/2009.
Eccovi a scrutare ancora il vostro corpo alla ricerca dei segnali che confermino le vostre paure. Paura di avere un tumore, la sclerosi multipla, una malattia al cuore, insomma una malattia molto grave, eccovi incatenati dall’osservazione del vostro corpo. Un dolorino, una tensione, una extra sistole ed ecco la conferma alle vostre paure: siete gravemente ammalati. Ma un momento i medici cosa vi hanno detto?
Avete fatto mille consulti, visite, esami del sangue e altri esami ancora ma niente, i medici non hanno trovato niente oppure solo piccole cose che loro hanno minimizzato dicendovi che siete sani e che sicuramente non avete niente di grave.
Ma voi non ci credete, avranno sbagliato, trascurato qualcosa, siete sicuri che c’è qualcosa di grave che non va nel vostro corpo e quelle piccole anomalie evidenziate negli esami e minimizzate dai medici sono il segnale. L’ansia e la paura sale e vi assale e assillate chi vi sta vicino, vi ama, di aiutarvi portandovi da altri specialisti. Vivete con il pensiero fisso sulla malattia e non riuscite più a concentrarvi, a godere della vita e la depressione vi invade.
Ecco l’immagine di chi soffre di ipocondria, cioè della paura esagerata di avere una malattia grave nonostante i medici abbiano escluso questa possibilità. L’ipocondria può nascere sia dagli attacchi di panico, che sono cresi di sintomi fisici così forti da instillare la paura di avere qualcosa di grave, che dalla tendenza a rimuginare troppo sulle cose, ad essere ossessionati dalla salute. È qualcosa che rovina la vita di chi ne soffre e di chi sta vicino che spesso è davvero esasperato sia dalla sofferenza della persona cara che dalle continue richieste di rassicurazione. Purtroppo la buona volontà ed il buon senso non bastano per ritrovare la libertà da questa paura, purtroppo la logica non funziona. Ma anche qui per voi ipocondriaci una via di uscita esiste: se la vostra paura delle malattie nasce dal panico o dalle ossessioni, potete e dovete curare queste e la vostra paura svanirà di conseguenza; se invece la vostra paura delle malattie è presente senza che abbiate altri disturbi ansiosi, allora potete comunque lottare e vincere. Dovete avere fiducia in un buon psichiatra e nelle medicine che vi somministrerà, avere pazienza qualche mese e il sole tornerà a spuntare nella vostra vita. La scommessa più grossa che dovete fare è quella di non fidarvi delle vostre sensazioni ma dell’esperienza di chi studia il corpo e la mente con dedizione e pazienza da anni e questo anche se la vostra mente grida allarme, allarme. Soltanto una grande fiducia nel vostro medico potrà tirare voi e i vostri cari fuori dal baratro della paura e farvi ritrovare la serenità che meritate.
COMMENTO REDAZIONALE A CURA DELLA DR.SSA SARA GINANNESCHI
Chissà cosa avrò … sì ce lo chiediamo anche noi. A proposito di Ipocondria
Abbiamo ricevuto segnalazione di questo articolo che ben argomentato all’inizio, cade nella consacrazione di metodi terapeutici obsoleti ed inefficaci da soli e talvolta superflui se associati ad una psicoterapia. Una conferma dunque di modelli etiopatologici inadeguati e non al passo con la ricerca attuale.
VEROSIMILE la lista dei sintomi che caratterizzano il disturbo; per una definizione chiara si rimanda al GLOSSARIO, ma per offrire subito un chiarimento è necessario dire che l’ipocondriaco nutre preoccupazioni eccessive e persistenti per la salute, la malattia ed il corpo, associate a paura e SOSPETTO di essere vittima di una patologia che inesorabilmente conduce alla morte. I sintomi corporei sono reali, ma più sono vaghi e aspecifici e meglio si prestano ad un’interpretazione catastrofica. Il nucleo del disturbo è dunque una rappresentazione cognitiva deviata della realtà fisica del paziente, mentre il giornalismo sensazionalistico degli errori medici mette la sua firma nell’amplificare la sfiducia verso le rassicurazioni mediche. Ta
L’ipocondriaco non è tanto interessato al trattamento della propria potenziale patologia, quanto all’ottenere una soddisfacente spiegazione dei suoi sintomi, del come e perché si sia ammalato, di quale sia la natura esatta della sua malattia, delle conseguenze a lungo termine, del decorso e così via.
Quello che non si è letto nell’articolo di Tutto è il disagio che si accompagna al disturbo, un disagio talmente grande che la persona risulta menomata nello svolgimento delle sue attività quotidiane, inoltre, la persona, convinta di essere gravemente malata, assume comportamenti di malattia, quindi esce meno, si riguarda, non fa sforzi eccessivi, non si espone a climi estremi, ecc.
FALSO la relazione causale tra Disturbo di Panico ed Ipocondria e FALSO la definizione di Disturbo di Panico che rimandiamo ancora una volta al GLOSSARIO! Questo rapporto è infatti molto complesso, ma di certo non causale. Circa la metà dei soggetti affetti da un Disturbo di Panico, presenta preoccupazioni ipocondriache, ma raramente tali da poter soddisfare una diagnosi aggiuntiva, se non altro perché le patologie sospettate alla base sono opposte: se durante un attacco di panico, la persona non attribuisce i propri sintomi alla mente, bensì al corpo, convincendosi di stare per morire di un disturbo fulminante come un attacco cardiaco, un ictus od un suicidio dovuto ad un raptus di follia, nell’ipocondria, come abbiamo già spiegato si teme una malattia a lungo decorso. Piuttosto, nel 59 % dei pazienti con diagnosi di ipocondria, si manifesta uno o più attacchi di panico ricorrenti. Se fra i precursori principali del Panico vi è l’iperventilazione, uno stato di forte ansia dovuto ad una preoccupazione ipocondriaca può dare origine al meccanismo panicoso, sovrapponendo temporalmente due entità nosografiche ben distinte sia da un punto di vista funzionale che fenomenologico. La comorbilità tra ipocondria e Panico, come doppia diagnosi è del solo 16%.
FALSO I pazienti ipocondriaci non sono disturbati dal sintomo in sé, quello accade più spesso nei disturbi somatoformi, piuttosto sono preoccupati dell’interpretazione di essi e del significato e delle implicazioni che tali sintomi potrebbero avere.
Allora, se non viene dal Panico da cosa viene l’ipocondria?
Nell’ipocondriaco si riscontra una stabile tendenza ad interpretare erroneamente le informazioni relative ai sintomi corporei, le variazioni corporee e le altre informazioni ritenute rilevanti per la salute; un recentissimo studio di Marcus e Church del 2003 ha dimostrato come la tendenza a sovrastimare la probabilità che alcune sensazioni fisiche innocue siano indicative di gravi malattie sia tipica di questi pazienti e non di altri con disturbi d’ansia diversi.
Questa caratteristica , squisitamente cognitiva, può derivare da un’educazione allarmistica o iperprotettiva, esperienze pregresse di malattie inaspettate a danno proprio o di persone care, informazioni “terroristiche” dei mass media (studi di Miller et al., 1985), o esperienze familiari di gestione medica insoddisfacente. Questo, più sintomi aspecifici, più attenzione selettiva verso di essi permettono di confermare il sospetto catastrofico. Una volta innescata la paura, viene ad attivarsi un circolo vizioso auto-confirmatorio che porta la persona ad individuare continuamente nuovi stimoli ansiogeni, aumentando quindi questi sospetti e la preoccupazione ad essi connessa. Inoltre frequentemente viene a prodursi un circolo vizioso simil-ossessivo per cui il disagio delle preoccupazioni è di per sé intollerabile, tanto da dover mettere in atto comportamenti ripetitivi di controllo sia del proprio corpo che di ricerca di rassicurazioni mediche che a lungo termine hanno effetto iatrogeno, a causa di falsi positivi che possono presentarsi.
Il comportamento ipocondriaco di tipo prudenziale, porta poi queste persone a ridurre ogni possibile stress fisico, adattando il proprio fisico ad un ritmo di funzionamento ridotto, per cui il minimo sforzo, una notte di sonno disturbato, una pietanza più abbondante a pranzo, possono generare una sintomatologia fisiologica importante.
Come si curano gli ipocondriaci?
FALSO La cura farmacologica non è proprio la più indicata in questo specifico ambito. Ci sono pochissimi studi sulla farmacoterapia dell’ipocondria non delirante; molti sono case report e riguardano l’utilizzo di antidepressivi, in particolare della fluoxetina che necessita di tempi molto lunghi di trattamento e di dosaggi decisamente alti .
Un approccio psicoterapeutico improntato sulla fiducia e l’empatia, un aiuto a riconcettualizzare i sintomi in maniera neutra e non pericolosa attraverso un auto-monitoraggio più funzionale, l’uso di diari, il controllo dei comportamenti di rassicurazione è invece la via efficace per aiutare il paziente a costruire delle risposte razionali alternative a questi pensieri automatici di preoccupazione. È importante offrire al paziente una versione alternativa al problema più credibile e spostare il focus d’attenzione dal rischio di potersi ammalare verso una maggiore consapevolezza del terrore di potersi ammalare. Contemporaneamente va fornito un modello alternativo di se stesso, visto come debole, fragile ed esposto alla malattie. Si lavora per modificare il significato delle emozioni negative viste come sintomo di debolezza verso un significato di risposta ad eventi valutati in modo negativo. Tecniche specifiche di esposizione comportamentale completano poi il quadro, garantendo la completa remissione dei sintomi ed una modificazione permanente nell’interpretazione corporea.
BIBLIOGRAFIA:
Fava, G., Grandi, S., Rafanelli, C., Fabbri, S., Cazzaro, M. (2000) Explanatory therapy in
hypochondriasis. J Clin Psychiatry. 61(4):317-322; quiz 323.
Kellner, R., Pathak, D., Romanik, R., Winslow, W. (1983). Life events and hypochondriacal concerns. Psychiatr Med. Jun. 1(2):133-141.
Magariños, M., Zafar, U., Nissenson, K., Blanco, C. (2002). Epidemiology and treatment of
hypochondriasis. CNS Drugs. 16(1):9-22.
Starcevic, V. (2002). Overcoming therapeutic pessimism in hypochondriasis. Am J Psychother. 56(2):167-177.
Kellner (1992). Hypochondriacal fears and beliefs, anxiety, and somatisation. The British Journal of Psychiatry. 160: 525-532.
Pilowsky, J. (1970) Primary and secondary hypochondriasis. Acta Psychiatrica Scandinavica.
Salkovskis, P.M., Clark, D.M. (1993). Panic disorder and hypochondriasis. 15:11, 23-48, Pergamon.
Marcus, D.K., Church, S.E. (2003). Are dysfunctional beliefs about illness unique to hypochondriasis?
Journal of psychosomatic research 54(6):543-7.
PARERE DEL DR. PIERO PORCELLI
Ho poco da aggiungere al commento della collega Ginanneschi con la quale mi complimento per la precisione e la competenza delle opinioni espresse.
La prima parte dell’articolo è ben argomentata e precisa. La seconda parte invece cede a tentazioni giornalistiche, comunicando implicitamente due concetti in realtà abbastanza discutibili. Il primo è che l’ipocondria sia una sorta di malattia a se stante dovuta ad attacchi di panico o ruminazioni ossessive sulla salute. La seconda è che si tratta di una condizione facilmente risolvibile con farmaci e pazienza.
1. E’ vero che l’ipocondria viene considerata una patologia somatoforme specifica dalla attuale classificazione psichiatrica (DSM-IV). E’ tuttavia anche vero, però, che da quando il manuale diagnostico DSM-IV è stato pubblicato nel 1994, gli studi degli ultimi 15 anni hanno fortemente criticato questa impostazione, tanto che il gruppo di lavoro dell’American Psychiatric Association per i disturbi somatoformi sta ripensando molto criticamente sull’eventualità di non mantenere l’ipocondria come entità categoriale distinta nel futuro DSM-V (Dimsdale & Creed, 2009). Utilizzare la parola ipocondria con scarsa cognizione di causa e per un pubblico ampio di non esperti fa correre il grosso rischio di sovra-generalizzare le caratteristiche cliniche e fare di tutta l’erba un fascio. E’ stata infatti riscontrata l’esistenza di un continuum di preoccupazione per il proprio stato di salute che va dalla normale apprensione quando si sta male e si sospetta di poter avere una qualche malattia, soprattutto quando le prime cure mediche non sortiscono effetti positivi, a situazioni via via sempre più serie. Il gradino successivo potrebbe essere costituito dalla cosidetta “ansia per la salute” caratterizzata dalla tendenza a percepire molto intensamente le normali sensazioni fisiche, da una bassa soglia di tolleranza al dolore e dalla convinzione che tali sensazioni siano possibili sintomi di malattia (Taylor & Amundson, 2004). Ad un gradino più alto, vi è quella che il danese Per Fink definisce abridged hypochondriasis, caratterizzata dalla convinzione di essere malato, elevata suggestionabilità, curiosità accentuata verso la medicina, paura delle infezioni e timore di assumere farmaci (Fink et al, 2004). Ad un gradino più alto di gravità vi è quella che il DSM-IV chiama “ipocondria”, caratterizzata dalla triade cognitiva di radicata convinzione di malattia impermeabile a rassicurazioni mediche, disagio clinicamente significativo associato a tale convinzione e ripetute ricerche di cure mediche per il malessere che si prova. La persistenza e la pervasività tanto cognitiva quanto comportamentale di queste caratteristiche hanno portato alcuni autori a ritenere che questa forma di grave di ipocondria sia in realtà un disturbo di personalità più che un insieme di sintomi (Tyrer et al, 1990). I livelli di gravità si riflettono ovviamente nelle percentuali di prevalenza delle varie forme, che vanno dal 20% dell’ansia per la salute (Porcelli & Sonino, 2007) al 10% dell’abridged somatization (Fink et al, 2004) al 4-9% dell’ipocondria secondo i criteri del DSM-IV. Un aspetto ancora più grave del medesimo fenomeno è il delirio somatico in cui è compromesso l’esame di realtà e la preoccupazione per la salute assume caratteri allucinatori, diventando sintomi dello spettro psicotico. In sintesi, quindi parlare di ipocondria senza precisare a quel livello ci si riferisce è come parlare di un’idea omnibus in cui si possono riconoscere tutti in generale e nessuno in particolare.
2. In una recente revisione sistematica della letteratura sul decorso dell’ipocondria (e di altri disturbi somatoformi) secondo i criteri del DSM-IV, è stato trovato che il paziente tipico con ipocondria (di sesso femminile e di età compresa fra i 35 e i 45 anni) resta cronicamente ipocondriaco nel 50-70% dei casi su un periodo variabile da 12 a 64 mesi (Hartman et al, 2009). A conferma di quanto detto in precedenza a proposito del fatto che l’ipocondria va concepita secondo un range di livelli di gravità, i fattori che alla base predicono la cronicizzazione nel tempo sono il numero dei sintomi percepiti, la durata pregressa, il livello di adattamento delle funzioni psicosociali, l’intensità delle paure irrealistiche di malattia, l’amplificazione percettiva dei sintomi fisici e il livello generale di nevroticismo. In altre parole, quanto più è grave il disturbo, tanto più si cronicizza e per i soggetti con livelli elevati di ipocondria la cronicizzazione avviene in oltre la metà dei casi. Nel valutare gli interventi terapeutici è quindi assolutamente necessario capire di quali pazienti si sta parlando, se di soggetti con livelli lievi-intermedi di ansia per la salute o di soggetti con livelli gravi di ipocondria. Per i pazienti con livelli bassi di ansia per la salute, il trattamento psicologico ha generalmente una buona efficacia, anche in forma blanda e meno strutturata di counseling psicologico (vedi ad esempio uno studio sul ruolo che l’ansia per la salute gioca nel predire l’esito positivo di trattamenti integrati medico-psicologici nei disturbi funzionali del tratto gastrointestinale; Porcelli et al, 2004). Per i pazienti con forme più gravi di ipocondria, sono invece stati elaborati alcuni modelli specifici di psicoterapia cognitivo-comportamentale strutturata (Kellner, 1982; Barsky et al, 1988). Queste ed altre forme di psicoterapia cognitivo-comportamentale sono state analizzate con metodi statistici sofisticati da parte di uno dei maggiori istituti internazionali di valutazione dell’efficacia dei trattamenti in medicina, il gruppo Cochrane, ed hanno confermato ottimi risultati in termini di miglioramento dei sintomi cardinali dell’ipocondria (Thomson & Page, 2007). Al contrario, studi altrettanto validi sull’uso di farmaci psicotropi sono molto scarsi in letteratura e significativamente non esiste alcuna revisione del gruppo Cochrane sull’efficacia dei farmaci nell’ipocondria. Recentemente un trial clinico controllato randomizzato ha confrontato l’efficacia di un antidepressivo molto usato nella pratica clinica (paroxetina), un ciclo di psicoterapia cognitivo-comportamentale e pillole di placebo in pazienti diagnosticati con ipocondria secondo i criteri del DSM-IV. I risultati parlano da soli: al termine dello studio, solo il 12% dei pazienti sottoposti a placebo erano migliorati contro il 38% dei pazienti con paroxetina e ben il 54% dei pazienti sottoposti a psicoterapia. Dagli studi finora disponibili, quindi, sia pure ancora scarsi e con parecchie limitazioni metodologiche, si dovrebbe concludere che al paziente-tipo delineato nell’articolo del settimanale in oggetto dovrebbe esser consigliato di rivolgersi ad uno psicoterapeuta esperto e non dal medico, pur avvertendolo che se la sua condizione è clinicamente seria, è molto probabile che di pazienza dovrà averne davvero tanta vista l’elevata probabilità di cronicizzazione del disturbo.
In conclusione, 1) l’ipocondria non è una malattia a se stante ma un insieme di caratteristiche cliniche di tipo cognitivo, affettivo, comportamentale e di personalità che si manifestano con un range di gravità che va da forme più blande e transitorie a forme più severe e persistenti. Il primo consiglio da dare ai lettori è quindi quello di farsi visitare da un esperto per una valutazione del livello di gravità del problema perché il livello iniziale influisce realisticamente sulla prognosi e pertanto anche sulle aspettative ragionevoli del decorso clinico; 2) l’esito degli interventi specialistici nei pazienti con forme più gravi di ipocondria è abbastanza incerto e, stando alle evidenze empiriche finora pubblicate, si ha una maggiore probabilità di miglioramento significativo dei sintomi centrali intraprendendo una psicoterapia cognitivo-comportamentale piuttosto che assumendo farmaci. Tuttavia, essendo l’ipocondria – come dicevamo – una dimensione o continuum, è verosimile che possa essere trans-nosografica e quindi associata in comorbilità con altri disturbi psicopatologici. Ancora una volta, una valutazione clinica attenta del paziente è alla base di qualsiasi decisione terapeutica o aspettativa di miglioramento. Il consiglio di aver fiducia nei farmaci dello psichiatra e armarsi di pazienza, come viene detto nell’articolo in questione, è quanto meno semplicistico o, a esser più severi, fuorviante.
BIBLIOGRAFIA
– Barsky AJ, Geringer E, Wool CA. (1988). A cognitive-educational treatment for hypochondriasis. General Hospital Psychiatry, 10, 322-327.
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– Fink P, Ornbol E, Toft T, et al. (2004). A new, empirically established hypochondriasis diagnosis. American Journal of Psychiatry, 161, 1680-1691.
– Greeven A, Van Balkom AJLM, Visser S, et al. (2007). Cognitive behavior therapy and paroxetine in the treatment of hypochondriasis: A randomized controlled trial. American Journal of Psychiatry, 164, 91-99.
– Hartman TC, Borghuis MS, Lucassen PLBJ, et al. (2009). Medically unexplained symptoms, somatization disorder and hypochondriasis: course and prognosis. A systematic review. Journal of Psychosomatic Research, 66, 363-377.
– Kellner R. (1982). Psychotherapeutic strategies in hypochondriasis: A clinical study. American Journal of Psychotherapy, 2, 146-157.
– Porcelli P, De Carne M, Todarello O. (2004). The prediction of treatment outcome of patients with functional gastrointestinal disorders by the Diagnostic Criteria for Psychosomatic Research (DCPR). Psychotherapy and Psychosomatics, 73, 166-173.
– Porcelli P & Sonino N, eds (2007). Psychological factors affecting medical conditions. Karger, Basel.
– Taylor S, Amundson GJG (2004). Treating health anxiety: a cognitive-behavioral approach. Guilford, New York.
-Thomson AB & Page LA. (2007). Psychotherapies for hypocondriasis. Cochrane Database of Systematic Reviews, 4, Art. No: CD006520; doi: 10.1002/14651858.CD006520.pub2.
– Tyrer P, Fowler-Dixon R, Ferguson B, Kelemen A. (1990). A plea for the diagnosis of hypochondriacal personality disorder. Journal of Psychosomatic Research, 34, 637-642.
22 luglio 2009
In tema di ipocondria, segnalo ai colleghi l’articolo:
Vito A., Mauriello S., Nardini G., Viparelli G., “Chi ha paura dell’Aids? Il trattamento psicologico dei Worried Well” in “Ecologia della Mente”, Il Pensiero Scientifico, vol. 29, n° 2/2006, pp.147-157.
Descriviamo il modello che utilizziamo presso l’U.O. di Psicologia Ospedaliera dell’A.O. Cotugno di Napoli (un ospedale di malattie infettive), ove seguiamo con una certa frequenza pazienti definiti
“worried well” (preoccupati sani), ovvero che temono di aver contratto l’Hiv, spesso anche in assenza di effettivi comportamenti a rischio, e che si sottopongono al test più volte, nonostante l’esito negativo.
Si tratta di una particolare sottocategoria di pazienti ipocondriaci e ci siamo chiesti cosa differenzia questi pazienti dagli altri ipocondriaci, mettendo a punto un modello di intervento psicologico.
Alberto Vito