Anoressia, difetto cerebrale?

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Anoressia, scoperto difetto cerebrale che predispone a malattia
Roma, 30 mar. 2009 (Adnkronos Salute) – Problemi con la famiglia, con i coetanei o semplicemente con la propria immagine. Nessuna di queste motivazioni di natura sociale sembrerebbe essere la vera ragione per cui una ragazza o un ragazzo sviluppa problemi del comportamento alimentare, come l’anoressia. Alla base del disturbo, secondo uno studio inglese, ci sarebbe infatti una predisposizione genetica legata a un difetto nello sviluppo del cervello. Un’anomalia che si sviluppa già nell’utero materno. Parola dei ricercatori del Great Ormond Street Hospital di Londra, che ne parleranno questa settimana in una conferenza convocata all’Institute of Education della capitale inglese.Per la rivoluzionaria ricerca – riporta il tabloid ‘Daily Mail’ – lo psichiatra infantile Ian Frampton ha studiato oltre 200 pazienti anoressici, in maggior parte donne fra i 12 e i 25 anni e di nazionalità britannica, americana e norvegese, ricoverati in cliniche specializzate di Edimburgo e Maidenhead. Dalle analisi è emerso che il 70% del campione ha un danno a livello della rete neurotrasmettitrice del cervello. Si tratta di condizioni tipiche anche di altre malattie come la dislessia, l’iperattività e la depressione. In sintesi, anche l’anoressia potrebbe diventare una malattia curabile con una pillola. “Le motivazioni che finora si pensava fossero alla base dei disturbi alimentari, come la pressione dei modelli di magrezza imposti dai media – sottolinea Frampton – non spiegavano scientificamente come mai alcune persone cadono nella rete dell’anoressia e altre no. Esistono invece fattori predisponenti che, oltretutto, potranno sollevare i genitori dal senso di colpa e di responsabilità di fronte a un figlio malato. Si apre la strada per studiare farmaci che possano ristabilire l’equilibrio cerebrale di chi è colpito da questa malattia”.

PARERE A CURA DEL DR. MAURO GRIMOLDI

Mario è ricoverato per una forma grave di bulimia presso uno dei tanti centri ospedalieri che si sono attrezzati per far fronte a questo problema. Quando la madre lo viene a trovare, le infermiere lasciano trascorrere a Mario una mezz’ora in compagnia della madre, da soli, nel piccolo parco antistante l’ospedale. Al termine della crisi della breve visita, come di consueto, il ragazzo viene perquisito prima del ritorno presso il reparto. Questa volta, però, durante la perquisizione l’infermiera nota qualcosa. Uno strano rumore, una specie di scricchiolio proveniente dalla fodera del giubbotto impermeabile che il ragazzo indossa. Ad un controllo più accurato si scoprirà che il giubbotto è stato interamente foderato di bustine singole di plastica contenenti, ciascuna, un singolo biscotto.

La signora Giovanna chiede urgentemente insistentemente appuntamento per un colloquio nonostante il periodo estivo e alcune evidenti difficoltà nell’organizzare l’incontro in tempi brevi. Giovanna si rivelerà essere la zia di una ragazza affetta da una forma piuttosto resistente di disturbo alimentare. Così, mentre la ragazza dilapida le sostanze familiari involando immense quantità di cibo per poi vomitarle, l’amorevole zia percorre il rigoglioso universo dei centri per la cura della bulimia, incontrando ripetutamente colleghi che la nipote farà fuori nell’arco, dice la motivatissima zia, di un paio di mesi mesi, otto, uno dopo l’altro, come birilli in equilibrio precario in questo complesso gioco di relazioni umane; come una bulimia della cura, in cui lei stessa, inconsapevolmente, gioca un potente ruolo.

Non c’è niente come la vicenda anoressica bulimica che tende a fare gruppo, a coinvolgere in una certa quale follia di un sistema; è tremendamente complessa nella sua capacità, forse unica, di produrre il dolore e di fare sentire il sistema famiglia assiderato in una posizione dalla quale non c’è modo di spostarsi, esattamente come accadeva con certe torture medievali in cui i malcapitati erano costretti a mantenere posizioni innaturali senza potersi mai muovere.

Non è facile avere a che fare con un problema come la rinuncia al cibo quando la lotta che l’umanità ha sostenuto per millenni è proprio quella di riuscire a procurarsi sicurezze e nutrimento, e di elargire questi benefici anche alla propria prole. Inoltre, il fatto che nel gioco anoressico bulimico vengano così spesso chiamati in causa gli affetti familiari, da sempre sinonimo di sicurezza ma altrettanto spesso fonti di ambivalenze e di conflitti crea una forma di ulteriore pressione, una voglia di cercare soluzioni facili, semplici, alla portata di tutti.

Così è raramente per le cose della psiche, che tendono ad essere complicate e a non risolversi nell’arco di poche parole, o nel lasso di tempo necessario per prendere una pillola. L’anoressia e la bulimia, malattie del corpo che nascono dalla mente tendono oltretutto a creare profondo imbarazzo al mondo medico scientifico, che vorrebbe poter confinare il problema ad un corpo affamato o malnutrito.

Correva l’anno 2000 quando, in una pubblicazione cui oggi attribuirei l’aggettivo giovanile, raccontavo dei falsi miti costruiti intorno al desiderio di trovare soluzioni facili ad uno dei problemi più complessi che attraversa l’adolescenza attuale, l’anoressia, appunto. Tra questi miti semplificatori, uno prendeva il nome di “mito del gene ribelle”, ovvero il frequente tentativo di gruppi di ricercatori di trovare nella genetica umana o in qualche altro accidente del corpo il virus dell’anoressia, il germe della bulimia, un qualche cosa che spieghi senza troppo responsabilizzare le persone, senza troppo farle pensare.

Anche questa volta, 10 anni più tardi, ci troviamo di fronte allo stesso tentativo, non senza una qualche colpa. Il tentativo, quasi esplicito, è di annullare l’umanità dell’anoressica e di tutti noi, in definitiva di annullare la psiche, di negare l’esistenza della mente come qualcosa capace di così potente da saper agire anche sul corpo.

Salvo che questo fastidioso accidente, l’anoressia-bulimia, continua a generare enigmi la cui soluzione non è facile per chi ragiona in termini meccanicistici o deterministici, ragionamenti poveri, in cui ad una causa corrisponde un solo effetto.

Gli enigmi in questo caso riguardano tra l’altro anche la stessa capacità dell’anoressia e della bulimia di scegliere le proprie vittime. Quasi avessero una mente propria. Per esempio, un’età d’esordio simile per la gran parte dei soggetti, guarda caso proprio quella adolescenziale, il genere sessuale prescelto che tende ad essere in grandissima prevalenza quello femminile, e infine fatto, tremendamente significante sul piano simbolico, che l’anoressia e la bulimia tendano a venirti solo se vivi in una società in cui di cibo ce n’è in abbondanza, così tanto da non essere più considerato oggetto di bisogno ma strumento di ricatto e potente leva relazionale nel contesto degli affetti più profondi. Domande che è meglio non porsi se si vuole che la risposta sia semplice e univoca.

Fabio Fareri

Author: Fabio Fareri

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