Come si racconteranno le favole ai bambini di domani. Racconto creativo di una vecchia storia.

Di Gabriella Alleruzzo

Wittgenstein disse: “Se anche il leone sapesse parlare, noi non capiremmo ciò che dice”. Perché? E’ semplice, perché non viviamo nello stesso “mondo”. I nostri universi percettivi, la nostra struttura cognitiva e motivazionale non sono sovrapponibili, non abbiamo terreni comuni su cui comprenderci linguisticamente che non siano quelli già condivisi nella comunicazione non verbale.

Linguaggi diversi. Eppure anche tra gli esseri umani esistono linguaggi diversi, e non mi riferisco all’esistenza di diversi idiomi. E’ all’interno di uno stesso idioma che coesistono modalità comunicative molto differenti.

Ben lo sapeva Raymond Queneau, che nei i suoi “Esercizi di stile” ci offrì ben novantanove variazioni stilistiche dello stesso raccontino, che di volta in volta diventa comica, epica, cronaca, lirica, ermetismo, dramma, gioco di parole.

E in anni più recenti Bandler e Grinder hanno studiato approfonditamente i modelli linguistici creando una nuova disciplina, la Programmazione Neuro-Linguistica (PNL). Essi hanno teorizzato che gli stimoli ricevuti dagli organi di senso vengono elaborati e organizzati in una percezione, dotata di senso, che dà una rappresentazione della realtà, e che tale rappresentazione può essere espressa mediante il linguaggio. La cosa interessante che hanno scoperto è che ciascuno di noi veicola mediante il proprio stile comunicativo la propria soggettiva mappa del mondo.

Da un altro punto di vista, la stessa cosa è messa in evidenza da Oliver Sacks nel suo bellissimo “Un antropologo su Marte” – frase coniata da una sua paziente autistica per descrivere come si sentisse nel mondo dei “normali” – e che è divenuto il titolo di una raccolta di sette racconti, i cui protagonisti sono persone che comprendono e comunicano in modi che gli altri non sanno capire. Leoni parlanti. Abitanti solitari del loro mondo, ma talmente radicati in esso dalla malattia al punto che la “guarigione” diventa un problema anziché una soluzione.

E proprio la paziente autistica di Sacks, donna intelligentissima e laureata in ingegneria ma con difficoltà a comprendere le emozioni, potrebbe aver realizzato questo delizioso racconto visuale, il cui autore invece è lo svedese Tomas Nillson. Egli ci presenta una favola familiare come Cappuccetto Rosso mediante una visione inusuale del mondo. Gli oggetti sono isolati, presentati con disegni tecnici accompagnati da didascalie esplicative, l’emozione e la morale assenti. Per inciso, la storia può essere compresa da parlanti di qualsiasi lingua.
Colonna sonora dei Slagsmålsklubben.
Bandler, R., Grinder, J. La struttura della magia, Astrolabio, 1981

Gabriella Alleruzzo

Author: Gabriella Alleruzzo

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1 Comment

  1. Gabriella Alleruzzo

    Del rapporto tra bambini e linguaggio cinematografico credo non si potrebbe mai parlare abbastanza. La gran parte della produzione per l’infanzia non è ben comprensibile ai bambini, a causa del ritmo assai veloce delle immagini, della complessità cognitiva dell’associazione tra immagini e parlato, dei nessi impliciti, del tipo di linguaggio impiegato e anche, nel caso degli “anime” che lei cita, di determinate cifre stilistiche, che hanno un significato specifico nell’animazione e nei fumetti orientali.

    E’ chiaro che sulle possibilità di decodifica dei linguaggi spetta alla famiglia un ruolo primario, e che essa potrebbe giovarsi di tali gradevoli mezzi di intrattenimento come stimoli di crescita e non come baby-sitter.

    La ringrazio per l’apprezzamento.

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