Perché ci vogliono privare della storia

La genetica secondo i mass-media

La moda del pangenetismo nell’informazione massmediatica in psicologia. Cautela e modestia della conoscenza scientifica (quella vera) non si conciliano con certa divulgazione scientifica che ama saltare a conclusioni sensazionalistiche pur di gridare la meravigliosa notizia che siamo tutti… geneticamente prevedibili!

Luigi D’Elia e Sara Ginanneschi

Cosa sarebbe l’uomo senza il suo DNA?
Nulla. Neppure un’intenzione.
La psicologia non spiega il mondo, per fortuna. Un mondo spiegato solo da psicologi sarebbe semplicemente… sbilanciato.
La ricerca biologica è la migliore amica della psicologia in quanto ne rappresenta il giusto radicamento ed il giusto limite.

Ma proviamo con la stessa onestà a farci quest’altra domanda.

Cosa sarebbe l’uomo senza la sua storia?

È chiaro che questa domanda ce la poniamo innanzitutto come psicologi, ma non solo. E comunque anche se non rappresentassimo unicamente la prospettiva psicologica, la risposta sarebbe comunque la stessa: nulla, l’uomo è nulla senza la sua storia.

Immaginiamo un uomo senza memoria. Senza memoria di sé e della sua biografia e dei suoi vissuti, della sua storia familiare transgenerazionale, della storia delle sue appartenenze sociali e comunitarie. Dal punto di vista psicologico, sarebbe un individuo deprivato delle sue basi identitarie e del suo mondo di relazioni (storicizzate), qualcuno angosciato in preda ai suoi istinti più contingenti.

Negli ultimi decenni abbiamo assistito all’accelerazione della storia, quella che Virilio descrive come prospettiva dromologica, come vera e propria “derealizzazione”.

Baumann dal canto suo ci descrive un tipo d’uomo liquido, leggero, veloce, delocalizzato, capace di scelte coerenti con le attuali tecnologie e con le logiche dell’economia.

È folle, ma viviamo dentro questa utopia rifondativa, un uomo accelerato e privo di storia è forse meno uomo, ma sicuramente un migliore abitante/suddito del presente, più performativo, idealmente più adattabile all’attualità, meno problematico, meno inquieto, e soprattutto più incline ai consumi. Un uomo senza storia è il massimo della prevedibilità (e programmabilità).

Ogni regime del passato ha tentato di ri-disegnare il tipo d’uomo più adattato alle nuove condizioni che esso si augurava e s’immaginava: siamo passati dagli stati etici dei totalitarismi del secolo scorso, all’attuale era della tecnica dei modelli neoliberisti e alle nuove modalità di coltivazione del tipo umano prima attraverso la televisione e la pubblicità, ed ora anche attraverso la potenza amplificata e stroboscopica delle tecnologie comunicative che attengono all’attuale semeiotica economicistica globalizzata.

E veniamo finalmente al cuore di questo contributo: il pangenetismo, ossia il tripudio della vulgata genetista nei mass-media alla quale assistiamo attoniti ormai da diversi anni (vedi ad esempio 1 e 2 ).

Sul rapporto tra genetica e ambiente nell’influenza differenziale sulle vicende umane, si sono spesi e continuano a spendersi molti pensieri da parte di studiosi di ogni tipo.

Si tratta in realtà di uno di quei classici temi che potremmo definire, usando una metafora matematica, “asintotici”, cioè che non trovano risposte certe, momenti di risoluzione definitivi, se non all’infinito. Uno di quei temi che l’epistemologia (quella branca della filosofia che studia modi e regole della conoscenza stessa) affronta sempre con particolare circospezione proprio perché consapevole del ginepraio nel quale in genere ci si infila.

In realtà questa dialettica è molto più antica rispetto ai recenti sviluppi tecno-scientifici, e riecheggia vecchie e consumate diatribe filosofiche del passato (corpo e anima, res extensa e res cogitans, natura e cultura, etc.), tramandate fino ai nostri giorni e trasferite in ambito scientifico.

Quello che spesso accade è che ogni studioso legge la realtà dal proprio vertice e tende a selezionare il materiale osservato e da osservare a partire da esso. Questo è fatale.

Nel procedere della conoscenza scientifico ciò non costituisce alcun problema: si formulano le ipotesi, si eseguono le relative pratiche di verifica e falsificazione, e ci si muove all’interno di questo complesso procedimento con estrema cautela, talvolta utilizzando dei disegni sperimentali atti a non distorcere le informazioni acquisite e a valutarle con la massima oggettività.

Le ricerche sono vagliate sotto molteplici aspetti, per garantirne la validità a livelli diversi, e, qualora vi siano caratteristiche del disegno che potrebbero gettare un’ombra sui risultati, queste vengono discusse ed analizzate ipotizzandone i limiti che comportano. Al termine di questo processo viene formulata la significatività dello studio, ossia quanto i risultati dipendono dalla reale combinazione delle variabili in esame e quanto essi siano rilevanti in termini di scoperte.

I risultati così ottenuti vengono spesso organizzati in studi di meta-analisi, dove sono confrontati tra loro, utilizzando parametri quantitativi, ma introducendo delle variabili qualitative implicite date dallo stesso lavoro di confronto.

È proprio a questo livello che diverse discipline vengono comparate e ri-analizzate dai professionisti ed i vari vertici osservativi s’incontrano (e si scontrano) per provare a raggiungere nuovi paradigmi comuni.

Quindi, il cosiddetto progresso scientifico non è rappresentato tanto dall’accumulo di conoscenze nei vari sotto-settori (o sotto-prodotti) della scienza, quanto dalla capacità di collocare le conoscenze acquisite su scenari nuovi. Nuove sintesi, dunque, di conoscenze già a disposizione che disegnano nuove consapevolezze e forse nuovi strumenti di analisi e di risoluzione di problemi.

La scoperta e classificazione del genoma umano rappresenta certamente uno degli sviluppi più importanti degli ultimi decenni. Ma l’aver classificato il genoma umano è solo il primissimo passo di un lunghissimo percorso sulla strada della conoscenza del ruolo della genetica nella determinazione dell’essere umano e soprattutto nella relazione tra tutti gli altri fattori, educativi, sociali, culturali che, in continua combinazioni tra loro, ne garantiscano lo sviluppo nella sua unicità.

Le implicazioni e le ricadute sulla vita di tutti noi di questo lungo itinerario di ricerca sulla genetica sono immense, e talvolta inimmaginabili, soprattutto se ci si focalizza sullo stretto rapporto tra genetica e psicologia.

Il nostro obiettivo non è però quello di restare intrappolati nella fitta ed insidiosa rete dei luoghi comuni della metodologia empirica.

Per disilluderci immediatamente basterebbe introdurre il concetto di mente (o se volete, soltanto di vissuto o di coscienza), e si scatenerebbe, tra vertici osservativi diversi (già solo dentro la psicologia), una guerra di religione senza fine, vista l’irrisolubilità di questo concetto e la sua incalcolabile complessità sia sul piano filosofico che sui piani della scienze naturali e storiche, complessità che ci racconta solo della nostra ignoranza.

Ci serva da monito per comprendere piuttosto come, a partire da concetti e costrutti così ipercomplessi, sia a maggior ragione del tutto improponibile una manovra riduzionistica del rapporto tra genetica e psiche.

Se persino Luigi Luca Cavalli Sforza, il noto genetista, uno dei principali fautori del progetto genoma, nel suo “L’evoluzione della cultura” (Codice edizioni, 2004) pur assimilando alcune leggi dell’evoluzione genetica a quella culturale, le distingue nettamente riconoscendone differenze qualitative non secondarie, noi ben più modesti curiosi, non osiamo avventurarci in tale dedalo.

Il nostro obiettivo è invece interrogare le regole della comunicazione scientifica nei mass-media e dedurne le coordinate culturali che le presiedono.

Ebbene, se la conoscenza scientifica (quella vera) si muove con lentezza, cautela, circospezione, modestia, non si può dire altrettanto della divulgazione scientifica che al contrario salta con estrema facilità a conclusioni affrettate, a scoop sensazionalistici e infondati, a dedurre ogni amenità dalla singola ricerca di periferia pur di gridare la notizia.

Ciò è vero soprattutto quando il tema emergente riguarda proprio l’interfaccia tra genetica e psicologia.

Ed allora, proprio perché siamo psicologi, non crediamo che ciò avvenga a caso (gli psicologi in genere non credono nel caso), e ci domandiamo: come mai?

Come mai la matrice genetica di comportamenti, tratti psicologici, propensioni, visioni del mondo, è diventata talmente eccitante da dover essere sbandierata ai quattro venti come la scoperta di verità fondamentali per la nostra vita, quasi come rivelazioni?

Proviamo a formulare questo interrogativo in quest’altro modo.

Perché lasciar passare – ormai sono diversi anni – il messaggio, neanche tanto subliminale, che ogni realtà della vita mentale sia determinata da prevalenti fattori genetici e solo da essi?
Gli stessi ricercatori genetisti, con i quali ci siamo interfacciati in relazione alle ultime segnalazioni (vedi qui) hanno infatti dissipato un già remoto dubbio di un loro “coinvolgimento”; non giova a nessuno considerare l’una o l’altra matrice predominante ed al contrario, tutto indica che le future ricerche dovrebbero basarsi sull’analisi di architetture complesse di ereditarietà ed influenze, per trovare la migliore chiave di lettura dei processi umani.

Se ogni segmento della nostra identità, delle nostre emozioni e finanche i nostri modi di pensare e i nostri gusti musicali, ebbene se tutto ciò è davvero geneticamente determinato, governato, orientato, come ci vogliono persuadere la maggior parte degli pseudo-divulgatori, è chiaro che la memoria, l’esperienza, l’educazione, i vissuti, i valori acquisiti, in una parola, la storia, si azzera e non conta nulla, lindividuo diventa una morbida tabula rasa dove poter incidere ogni cosa.

Perché far passare questo messaggio così manipolatorio, così svuotante, così deformante nel suo essere puerilmente riduttivo, così mortificante della complessità umana, delle sue radici antropologiche, e allo stesso tempo così scientificamente inconsistente, perché?

Perché continuare a raccontare favolette rimasticate? Di cosa ci vogliono convincere, cosa ci vogliono vendere? Qual è l’aspetto consolatorio, rassicurante, equilibratore di questo genere di vulgata?

Inquietanti domande per altrettante, inquietanti, possibili risposte.

Antonietti, A., Cantoia, M., Crisafulli, L. Conoscere la metodologia. Dentro la ricerca psicologica. (2000). Franco Angeli, Milano. Baumann Z.: Modernità liquida, Roma-Bari 2002 Cavalli Sforza L. L.: “L’evoluzione della cultura” Codice edizioni, 2004 Virilio P. Città panico. L’altrove comincia qui. Cortina 2004

Fabio Fareri

Author: Fabio Fareri

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