Corriere della Sera: l’Autostima dipende dai geni

SEGNALAZIONE:

Egregi colleghi, non sto più neanche a trascrivere l’articolo del corriere della sera di ieri su “L’autostima dipende dai geni” a pag 44, rubrica della Salute

(http://archiviostorico.corriere.it/2009/aprile/26/autostima_dipende_dai_geni_co_9_090426072.shtml),

tratto dalla rivista Behavior Genetics, ormai è evidente che i giornalisti del Corriere per quella rubrica usano referenti medici, nonostante gli argomenti psy…quindi propongo di mettere argine a questa valanga di fango che piove addosso al lettore del corriere ogni domenica! Non possiamo essere gli unici, meglio, gli ultimi della tribù degli psicomoicani, ritengo che anche altri abbiano persino più interesse di noi a difendere tesi non genetiche alla base del comportamento umano.

Lettera firmata.

ARTICOLI CONNESSI:

L’autostima dipende dai geni. Pagina 44 (26 aprile 2009) – Corriere della Sera

(http://archiviostorico.corriere.it/2009/aprile/26/autostima_dipende_dai_geni_co_9_090426072.shtml)
Uno studio su 428 coppie di gemelli, pubblicato sulla rivista Behavior Genetics, ha rilevato che autostima e soddisfazione hanno una base genetica. L’ ereditabilità è risultata del 73% per l’ autostima e del 59% per quel che riguarda la soddisfazione di vita. L’ ottimismo (28%) appare invece influenzato dall’ ambiente. Si tratta di una ricerca coordinata dall’ Iss, in collaborazione con i Dipartimenti di Psicologia delle Università “La Sapienza” di Roma, “Bicocca” di Milano e Stanford (California – USA).

ED ANCHE:

http://www.adnkronos.com/IGN/Salute/?id=3.0.3246829458

Roma, 24 apr. (Adnkronos Salute) – Sicuri di sè e soddisfatti della vita? Bisogna dire grazie ai geni, mentre se il bicchiere è sempre mezzo pieno conta anche l’ambiente in cui siamo cresciuti. Autostima, soddisfazione di vita e ottimismo hanno, infatti, una base genetica comune. Ma nell’ultimo caso l’ambiente sembra avere un peso maggiore rispetto al Dna. Lo rivela uno studio su centinaia di gemelli pubblicato sulla rivista ‘Behavior Genetics’ e coordinato dall’Istituto superiore di sanità, in collaborazione con i Dipartimenti di psicologia delle Università Sapienza di Roma, Bicocca di Milano e con l’ateneo americano di Stanford (California). La ricerca, che ha coinvolto 428 coppie di gemelli, monozigoti e dizigoti, tra i 23 e i 24 anni, iscritte al Registro nazionale gemelli (www.gemelli.iss.it), ha calcolato le stime di ereditabilità di questi tratti del carattere. Ebbene, le percentuali sono risultate del 73% per l’autostima, del 59% per la ‘soddisfazione di vita’ e del 28% per l’ottimismo. Dunque, i dati mostrano che autostima e soddisfazione di vita sono influenzate, in larga misura, da fattori genetici, mentre per l’ottimismo il ruolo dell’ambiente sembra essere preponderante. “Ciò può essere dovuto al fatto – spiega Maria Antonietta Stazi, coordinatrice del Registro nazionale gemelli all’Iss e coautrice della ricerca – che l’incertezza del futuro, specialmente in una fascia di età giovane adulta come quella dei gemelli esaminati, rende il grado di ottimismo particolarmente soggetto all’effetto di esperienze contingenti. Quali, ad esempio, il completamento degli studi, l’inizio di un nuovo lavoro oppure il raggiungimento di una migliore posizione economica”. Ma il risultato “davvero innovativo dello studio – aggiunge Corrado Fagnani, ricercatore del Registro nazionale gemelli che ha sviluppato i modelli matematici per questo lavoro – è sicuramente rappresentato da un’elevata correlazione genetica e da una bassa correlazione ambientale riscontrata tra autostima, soddisfazione di vita e ottimismo. I fattori genetici, quindi, sembrano essere largamente condivisi da queste attitudini caratteriali, mentre le esposizioni ambientali potrebbero essere specifiche per ciascuno dei tratti. I risultati indicano che interventi di tipo ambientale per promuovere la salute mentale – sottolinea – potrebbero avere una maggiore influenza su specifici aspetti del benessere psicologico”. I risultati di questo studio possono costituire la base per future ricerche mirate a individuare varianti geniche che predispongono contemporaneamente all’autostima, alla soddisfazione di vita e all’ottimismo. “Questi tratti – conclude la Stazi – potrebbero rappresentare le dimensioni fondamentali di una ‘sindrome da attitudine positiva’, in grado di proteggere dalla depressione, che vede proprio in un atteggiamento negativo verso se stessi, la vita e il mondo le sue caratteristiche peculiari”. La Banca biologica del Registro gemelli è nata nel 2006 al Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (Cnesps) dell’Iss. Il progetto prevede l’arruolamento di volontari con la raccolta di sangue, saliva e informazioni sullo stato di salute e gli stili di vita di ciascuno. I risultati, insieme all’analisi dei dati clinici e degli stili di vita, contribuiranno a fornire risposte sulle relazioni tra le nostre caratteristiche biologiche e i nostri geni, gli stili di vita e l’ambiente in cui viviamo. Attualmente la Banca biologica conserva materiale raccolto da 1.200 persone (gemelli e non), di varie età, residenti in diverse aree del Paese, per vari progetti di ricerca.

COMMENTO REDAZIONALE A CURA DELLA DR.SSA SARA GINANNESCHI

Segnalazioni sono giunte alla redazione in relazione ai numerosi articoli che hanno invaso la carta stampata ed il web in risposta alla pubblicazione di un articolo sulla rivista scientifica Behavior Genetics a cura di Gian Vittorio Caprara e collaboratori: Human Optimal Functioning: The Genetics of Positive Orientation Towards Self, Life, and the Future. I risultati reali e le intenzioni dei ricercatori sono stati soppiantati da sensazionalistici: “Felici e contenti? È tutta genetica” lasciando i lettori non addetti ai lavori, un po’ confusi e gli “operatori della salute” allibiti!

OPM si è occupato della questione rivolgendosi direttamente agli autori della ricerca ed ha trovato nella figura di una disponibilissima Maria Antonietta Stazi, la portavoce del gruppo. In seguito alla lettura dell’articolo scientifico originale si è quindi pensato di offrire una sintesi degli esiti della ricerca senza addentrarci nella spinosa questione geni v/s ambiente che peraltro non rispecchia neanche le mire degli stessi ricercatori.

Quando si parla di salute è opportuno fare riferimento alla Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Come è ben noto, la salute, non viene intesa come “assenza di malattia” bensì definita come “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale”; la salute è un diritto e come tale si pone alla base di tutti gli altri diritti fondamentali che spettano alle persone. Questo principio assegna agli Stati e alle loro articolazioni compiti che vanno ben al di là della semplice gestione di un sistema sanitario. Essi dovrebbero farsi carico di individuare e modificare, tramite opportune alleanze, quei fattori che influiscono negativamente sulla salute collettiva, promuovendo al contempo quelli favorevoli.

Seguendo lo stesso principio gli scienziati dovrebbero porsi l’obiettivo di comprendere quali siano i sistemi che promuovono uno stato di salute: Clark e Beck hanno individuato da anni un nucleo della depressione, rappresentato dalla triade negativa (visione negativa di sé, del mondo e del futuro), sorge quindi spontaneo chiedersi se in risposta, possa sussistere “una triade positiva antagonista”.

Il professor Caprara ha dichiarato: “Più conoscenze acquisiamo sul patrimonio genetico e più apprezziamo l’ambiente e le possibilità di valorizzare le potenzialità individuali. Il patrimonio genetico corrisponde infatti ad un patrimonio di potenzialità la cui attualizzazione largamente dipende dalle opportunità offerte dall’ambiente e perciò dalla nostra capacità di creare ambienti e promuovere esperienze in grado di favorire le migliori espressioni fenotipiche”; è con questo spirito che Gian Vittorio Caprara e Guido Alessandri, del Dipartimento di Psicologia della Sapienza di Roma, Corrado Fagnani, Antonella Gigantesco e Maria Antonietta Stazi dell’Istituto Superiore di Sanità (che ha permesso il recupero dei dati del Registro Nazionale Gemelli), Patrizia Steca per l’Università Bicocca di Milano e Luigi Luca Cavalli Sforza della Stanford University si sono approcciati a questa ricerca.

Secondo Beck e Clark, l’ideazione depressiva non è secondaria all’alterazione dell’umore. Piuttosto, la risposta affettiva è determinata dalle modalità con cui la persona struttura la propria esperienza; la triade cognitiva non descrive caratteristiche del pensiero presenti durante gli episodi depressivi, ma identifica caratteristiche rintracciabili in forma latente e nascosta (covert) nell’organizzazione cognitiva premorbosa.

Caprara e colleghi sono partiti quindi dal presupposto che allo stesso modo è possibile che esista una sorta di “orientamento positivo” che potrebbe caratterizzarsi come fattore di protezione verso disturbi come la depressione; Nel 2005 e nel 2006 Caprara e Steca hanno rilevato empiricamente che tale individuale “propensione alla positività” può coincidere con una combinazione di autostima alta, soddisfazione nei riguardi della propria vita ed ottimismo, caratteristiche che nel tempo, secondo studi longitudinali, resterebbero costanti e questo indicherebbe che potrebbe esserci una certa base genetica di questi fattori.

Quello che è stato pubblicizzato dai giornali divulgativi come: “l’autostima dipende dai geni” o “felici e contenti: anche l’autostima è scritta nei geni” è solo la spettacolarizzazione del primo studio basato su una popolazione di gemelli, che ha avuto come oggetto l’esplorazione contemporanea di tre dimensioni di personalità: l’autostima, la soddisfazione della propria vita e l’ottimismo, con l’obiettivo di individuare una comune architettura sia genetica che ambientale per aggiungere un nuovo tassello al fitto mosaico della natura umana, che può dimostrarsi miracolosamente resistente a certi disturbi, come può essere tragicamente vulnerabile ad altri.

In base agli esiti di questa ricerca sembra che l’aspetto ereditario, rispetto a quello ambientale, giochi un ruolo più importante nel determinare l’autostima di una persona ed il modo in cui essa è soddisfatta della propria vita, mentre l’ottimismo dipende in maniera più stretta dall’ambiente e dalle esperienze passate. Non stupisce che ci siano persone, di analoga educazione, che hanno la tendenza a “riprendersi” prima od in modo più funzionale dopo un fallimento rispetto ad altre. Dall’articolo di Caprara e collaboratori emerge che “dietro una tendenza genetica ad un orientamento positivo, non deve essere mai trascurato il ruolo dei fattori ambientali…”; i geni potrebbero considerarsi una sorta di set-point di tale orientamento, come altri tratti di personalità ed altrettante dimensioni del benessere, ma si possono osservare variabilità individuali all’interno di un certo range determinate dall’educazione ricevuta, dalle esperienze passate, dagli obiettivi futuri e così via. Questo studio ha l’ambizione di essere il primo contributo alla comprensione delle basi genetiche e delle influenze ambientali che concorrono al benessere psico-fisico di ogni individuo; gli autori auspicano che le ricerche future siano indirizzate all’esplorazione di come un orientamento positivo verso di sé, il mondo ed il futuro, si evolva da un eventuale substrato genetico e si sviluppi con le influenze ambientali, verificando quali altri sistemi siano coinvolti in questo complesso processo personale al fine di favorire tali condizioni ottimali.

PARERE DEL PROF. SANTO DI NUOVO, ORDINARIO DI PSICOLOGIA ALL’UNIVERSITA’ DI CATANIA, METODOLOGO DELLA RICERCA.

Globalizzazione, nuova economia, cellule staminali, clonazione, contraccezione e aborto, educazione dei figli, affidamento familiare e adozione, ecologia, riscaldamento del pianeta, uso del nucleare, alimentazione, cibi geneticamente modificati, uso dei farmaci: in questi – e in tanti altri – campi, abbiamo appreso dai giornali e dalle televisioni che la scienza è capace di dimostrare tutto e il contrario di tutto. Di volta in volta il Dipartimento o Centro di ricerca di turno si fa portavoce di certezze apparentemente inattaccabili, appunto perché ‘scientifiche’: specie se basate sulle neuroscienze e sulla genetica, scienze ‘forti’ per eccellenza fra quelle che si occupano di umanità e dintorni.

Certezze solo per chi le presenta, dubbi e confusione per chi ascolta gli scienziati sostenere certezze diverse, portando prove inconfutabili che altri tentano subito di confutare.

Esempi di teorie a lungo citate come esempi di applicazione sociale della sperimentazione di laboratorio, e successivamente messe in discussione, sono innumerevoli. Eppure gli ‘scoop’ basati su illazioni ‘scientifiche’ sono altrettanto numerosi.

Un esempio tipico – e molto più drammatico della notizia da cui prende spunto questo commento – deriva dalla giustificazione ‘scientifica’ dell’uso, sempre più generalizzato, anche nei confronti dei bambini, degli psicofarmaci. Studi sperimentali controllati sembrano dimostrare, in modo che sembrerebbe inequivocabile, l’efficacia e l’affidabilità di questi farmaci. Non sono però mancate le critiche a questa fiducia nella prova scientifica derivante da studi spesso sponsorizzati dalle stesse ditte multinazionali che producono i farmaci.

Le ‘certezze’ scientifiche sollecitano entusiasmi e paure, timori di ripercussioni e di risvolti etici, considerato che etico è l’uso che si fa della scienza, a tutti i livelli dai comportamenti individuali alle decisioni politiche.

Sulla effettiva dannosità delle droghe, con annessa distinzione fra droghe leggere e pesanti, quante ‘certezze’ abbiamo avuto dalla scienza, e che uso di esse hanno fatto le politiche sociali repressive o anti-proibizioniste?

La scienza viene usata dalla politica, come dice Frank Furedi, per fondare sui risultati delle ricerche decisioni che sono invece da esaminare in termini giusto / sbagliato, o di utile / dannoso (e che però in questi termini sarebbero più difficile da digerire da parte dell’opinione pubblica): per cui la scienza diventa una categoria riportata senza mediazioni alla morale o alla politica1.

La scienza così riportata al grande pubblico serve all’ideologia, intesa nell’accezione di Pareto, come campo che prescinde dall’osservazione e dal ragionamento scientifico e diventa fonte di persuasione e influenzamento dell’azione. In questa direzione la scienza è utile all’ideologia per dare una copertura ammantata di tabelle e grafici, di rapporti tecnici, di citazioni di eminenti camici bianchi, magari estrapolate da testi che vogliono dire tutt’altra cosa.

Sul piano della conoscenza, la scienza non può presentarsi – ed essere presentata – come fonte di certezze definitive, tanto più se le informazioni sono basate su divulgazioni di esperimenti che avevano scopi molto più complessi e articolati di quanto la notizia di stampa può riportare al grande pubblico. E gli scienziati seri sanno bene quanto complesse siano le relazioni fra le variabili in temi di grande portata come quelli citati nell’articolo, quanto sia riduttivo misurarne alcune anziché altre, quanto sia discutibile a volte la stessa ‘misurazione’ di certe variabili, e conoscono bene le riserve metodologiche ed epistemologiche che sono presenti nella letteratura specializzata riguardo alla possibilità di generalizzare certi risultati dipendenti da specifici contesti e metodi di ricerca.

Lo scienziato dovrebbe ritenersi direttamente responsabile della divulgazione e dell’uso delle sue idee, senza lasciarle al giornalista in cerca di scoop o al ‘divulgatore scientifico’ di professione che è spesso al soldo di qualcuno che vuole tirare la scienza dalla sua parte, o più modestamente, dell’editore o redattore televisivo che vuole aumentare l’audience.

Ne va della affidabilità e credibilità dell’intera scienza.

1 Furedi, F., Che fine hanno fatto gli intellettuali? I filistei del XXI secolo, Cortina, Milano 2007.


LETTERA AL CORRIERE DELLA SERA – SALUTE

Gentile Redazione Salute,

in merito al vostro articolo “L’autostima dipende dai geni” a pag 44, rubrica della Salute del 26 Aprile 2009, il nostro Osservatorio ha ricevuto segnalazione.

A seguito di questa segnalazione abbiano proceduto a chiedere parere ai nostri esperti ed abbiamo contattato i ricercatori della ricerca in oggetto chiededo loro il consenso alla divulgazione del nostri pareri.

Trovate relativa documentazione qui: http://www.osservatoriopsicologia.com/2009/05/17/corriere-della-sera-lautostima-dipende-dai-geni/

Certi di fare con il nostro lavoro un servizio per il miglioramento della divulgazione scientifica in psicologia, e disponibili ad ogni contatto o chiarimento, vi porgiamo cordiali saluti.

Dr. Luigi D’Elia

Coordinatore OPM

Fabio Fareri

Author: Fabio Fareri

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