L’Espresso e l’ansia: qualche precisazione
COMMENTO REDAZIONALE A CURA DELLA DR.SSA CARLOTTA LONGHI
Il servizio di copertina che L’Espresso del 03/04/2009 dedica all’ansia:
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/lansia-mi-da-la-felicita/2077086//0 è un esempio di un tipo di comunicazione molto diffuso su tematiche psicologiche. Si tratta di un articolo che, come tanti altri, non riporta informazioni palesemente false su temi di natura psicologica, ma che affianca ad affermazioni che possono essere considerate corrette altri aspetti che sono parziali o contraddittori, e che rischiano di ingenerare confusione nel lettore che non conosce approfonditamente la materia.
In questo caso, l’articolo parte dall’assunto che l’ansia sia un meccanismo di allerta utile alla sopravvivenza e che solo in alcuni casi risulti dannosa alla persona che la prova.
Innanzitutto l’evidenza che l’ansia sia un meccanismo necessario ad affrontare le emergenze, e quindi con una funzione di aiuto nelle situazioni difficili, è presentata come una novità, una recente “scoperta” di alcuni ricercatori, mentre si tratta di una informazione di base sull’ansia, presente da decenni in ogni testo specialistico che si occupi dell’argomento. Come spesso accade nella comunicazione mediatica, troviamo evidenziata come la scoperta del momento, associata ad uno specifico gruppo di ricercatori, con tanto di intervista e riferimento al testo fresco di stampa, un’ovvietà per chiunque operi nel settore.
Proseguendo nella lettura dell’articolo, incontriamo un altro aspetto ricorrente della comunicazione su temi psicologici: il ricorso alla “medicalizzazione” di qualsiasi manifestazione della psiche umana, per cui il disturbo d’ansia è definito dallo psichiatra intervistato come “una vera e propria malattia legata ad un malfunzionamento di sistemi cerebrali”. Dalla definizione come malattia discende la necessità di distinguere tra normalità e patologia, intese come categorie discrete. La distinzione richiede una competenza diagnostica che, dato che si parla di patologie, è attribuita unicamente allo psichiatra. Insistere sugli aspetti di “malattia” è quindi funzionale a giustificare il mantenimento di un’esclusiva competenza medica nel campo della diagnosi e, come spesso succede, nella scelta dell’intervento terapeutico da mettere in atto.
A livello di intervento è indicata correttamente come trattamento di elezione la psicoterapia, anche se non è chiaro come tale conclusione discenda dalle premesse esposte precedentemente sulla natura del disturbo. Si parla della psicoterapia cognitivo comportamentale, citando le altre solo in quanto genericamente “potrebbero essere d’aiuto”.
In conclusione, poi, con il rischio di ingenerare confusione, lo psichiatra intervistato afferma che, dato che gli ansiolitici non sono più la terapia di elezione in questi casi, chi necessiti di un rimedio al bisogno può proficuamente rivolgersi ad un preparato a base di erbe, come camomilla, passiflora e valeriana, e ad un allenamento aerobico.
Se dovessimo seguire alla lettera i passaggi esposti nell’articolo, dovremmo dedurre che una persona che soffre di un disturbo d’ansia ha una malattia dovuta ad un malfunzionamento cerebrale, che deve essere diagnosticata unicamente da uno psichiatra, che come intervento non prescriverà però dei farmaci, ma una psicoterapia cognitivo comportamentale, e, al bisogno, rimedi a base di erbe e tanta ginnastica!
Sembra evidente come, nonostante le informazioni esposte prese singolarmente non siano false o del tutto scorrette, l’articolo letto nel suo complesso risulti parziale e confusivo.